Un giovane chiese a don Bosco come facesse a conoscere l'avvenire e a indovinare tante cose segrete. Gli rispose: ‚Äì «Ascoltami. Tutto si spiega con: Otis, botis, pija tutis. Sai cosa significano queste parole?... "Quando ti dan botte, pigliale tutte"
del 19 gennaio 2011
             Se con i suoi ragazzi Don Bosco scherzava volentieri per vederli allegri e sereni, con i suoi Salesiani rivelava anche nello scherzo la stima che di essi aveva, il desiderio di vederli formare con lui una sola grande famiglia, povera sì, ma fiduciosa nella Divina Provvidenza, unita nella fede e nella carità.   I feudi di Don Bosco            Nel 1830 Margherita Occhiena, vedova di Francesco Bosco, fece la divisione dei beni ereditati dal marito tra il suo figliastro Antonio ed i suoi due figli Giuseppe e Giovanni. Si trattava, tra l’altro, di otto appezzamenti di terreno a prato, a campo e a vigna. Nulla sappiamo di preciso sui criteri seguiti da Mamma Margherita per la divisione tra loro tre dell’eredità paterna. Però tra gli appezzamenti di terreno vi era una vigna presso i Becchi (al Bric dëi Pin), un campo a Valcapone (o Valcappone) e un altro al Bacajan (o Bacaiau).            Ad ogni modo questi tre terreni costituiscono i «feudi» nominati a volte scherzosamente da Don Bosco come sua proprietà. I Becchi, tutti lo sappiamo, sono l’umile frazione della borgata dove Don Bosco era nato; Valcapponé (o Valcapone) era un sito ad est del Colle sotto la Serra di Capriglio ma a valle nella zona detta Sbaruau (= spauracchio), perché fitta di boscaglie con qualche casotto celato tra le frasche che serviva da ripostiglio a lavandai e da rifugio a briganti. Bacajan (o Bacaiau) era un campo ad est del Colle tra il lotto Valcapone e Morialdo.            Ecco i «feudi» di Don Bosco! Dicono le Memorie Biografiche che da tempo Don Bosco aveva conferito titoli nobiliari ai suoi collaboratori laici. Quindi c’era il Conte dei Becchi, il Marchese di Valcappone, il Barone di Bacaiau, e cioè dei tre terreni che Don Bosco doveva conoscere come parte della sua eredità. “Con questi titoli egli era solito chiamare Rossi, Gastini, Enria, Pelazza, Buzzetti, non solo in casa ma anche fuori, specialmente quando viaggiava con qualcuno di essi” (cf MB 8,98-99).            Tra questi «nobil» salesiani, sappiamo di sicuro, che il Conte dei Becchi (o del Bricco del Pino) era Rossi Giuseppe, il primo salesiano laico, o «Coadiutore » che amò Don Bosco come un figlio affezionatissimo e gli fu fedele per sempre. Un giorno Don Bosco si recò alla stazione di Porta Nuova e Rossi Giuseppe lo accompagnò portandogli la valigia. Arrivarono che il treno stava per partire e le carrozze erano strapiene di gente.            Don Bosco, non potendo trovare posto, si rivolse a Rossi e, ad alta voce, gli disse: – Oh, signor Conte, mi rincresce che si prenda tanto incomodo per me! – S’immagini Don Bosco, per me è un onore! Alcuni viaggiatori ai finestrini, udendo quelle parole «Signor Conte» e «Don Bosco», si guardarono in faccia meravigliati e uno di essi gridò dal carrozzone: – Don Bosco! Signor Conte! Salgano qui, ci sono ancora due posti! – Ma io non vorrei dar loro incomdo, – rispose Don Bosco. – Salgano! È un onore per noi. Ritiro le mie valigie, ci staranno benissimo!... E così il «Conte dei Becchi» poté salire sul treno con Don Bosco e la valigia.   Le pompe e una baracca           Don Bosco visse e morì povero. Nel vitto si accontentava di ben poco. Anche un bicchier di vino era già troppo per lui, e lo annacquava sistematicamente. «Spesse volte si dimenticava di bere essendo assorto in ben altri pensieri, e toccava ai vicini di tavola di versarglielo nel bicchiere. Ed allora egli, se il vino era buono, cercava subito l’acqua “per farlo più buono”, diceva. E aggiungeva sorridendo: “Ho rinunciato al mondo e al demonio, ma non alle pompe”, alludendo alle trombe che estraggono l’acqua dal pozzo» (cf MB 4,191-192).            Anche per l’alloggio sappiamo come viveva. Il 12 settembre 1873 fu tenuta la Conferenza Generale dei Salesiani per rieleggere un Economo e tre Consiglieri. In quella circostanza Don Bosco proferì memorabili e profetiche parole sullo sviluppo della Congregazione. Giunto poi a parlare del Capitolo Superiore, che ormai pareva aver bisogno di residenza adatta, disse, tra l’universale ilarità: «Se fosse possibile, mi piacerebbe fare in mezzo al cortile una “sopanta” (leggi: supanta = baracca), dove il Capitolo potesse stare separato da tutti gli altri mortali.            Ma poiché i suoi membri hanno ancora diritto di stare su questa terra, così potranno stare ora qui, ora là, nelle diverse case, secondo che parrà meglio!» (cf MB 10,1061-1062).   Otis, botis, pija tutis            Un giovane gli chiese un giorno come facesse a conoscere l’avvenire e a indovinare tante cose segrete. Gli rispose: – «Ascoltami. Il mezzo è questo, e si spiega con: Otis, botis, pija tutis. Sai cosa significano queste parole?... Stai attento. Sono parole greche, e, – compitando, ripeteva: – O-tis, bo-tis, pi-ja tu-tis. Capisci? – È un affare serio! – Lo so anch’io. Non ho mai voluto manifestare a nessuno che cosa significhi questo motto. E nessuno lo sa, né mai lo saprà, perché non mi conviene dirlo.            È il mio segreto col quale opero cose straordinarie, leggo nelle coscienze, conosco i misteri. Ma se tu sei furbo, puoi capirne qualcosa. E ripeteva quelle quattro parole puntando il dito indice sulla fronte, sulla bocca, sul mento, sul petto del giovane.            Finì per dargli all’improvviso uno schiaffetto. Il giovane rise, ma insisteva: – Almeno mi traduca le quattro parole! – Posso tradurle, ma non capirai la traduzione. E scherzosamente gli disse in dialetto piemontese: – Quand ch’at dan ëd bòte, pije tute. (Quando ti dan botte, pigliale tutte) (cf MB 6,424). E voleva dire che per farsi santi occorre accettare tutte le sofferenze che la vita ci riserva.   Protettore degli stagnini            Tutti gli anni i giovani dell’Oratorio di San Leone in Marsiglia facevano una scampagnata alla villa del Sig. Olive, generoso benefattore dei Salesiani. In quell’occasione il padre e la madre servivano a tavola i superiori, e i loro figli gli alunni. Nel 1884 la gita si fece durante il soggiorno di Don Bosco a Marsiglia. Mentre gli alunni si divertivano nei giardini, la cuoca corse tutta affannata dalla signora Olive a dirle: – Signora, la pentola della minestra per i ragazzi perde e non si riesce in nessun modo a rimediarvi. Dovranno stare senza minestra!            La padrona, che aveva gran fede in Don Bosco, ebbe un’idea. Mandò a chiamare tutti i giovani e: – Sentite – disse loro – se volete mangiare la minestra, inginocchiatevi qui e recitate una preghiera a Don Bosco perché faccia ristagnare la pentola. Obbedirono. La pentola cessò all’istante di perdere. Ma Don Bosco, sentendo contare il fatto, rise di gusto, dicendo: – D’ora in avanti chiameranno Don Bosco patrono degli stagnin (= stagnai). (cf MB 17,55-56).Natale Cerrato
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