Convertiti da Karol

Mariella Mancini, separata e divorziata, abbandonata dal marito 23 anni fa: «Le parole di papa Wojtyla “non abbiate paura, aprite le porte a Cristo” mi hanno dato la possibilità di capire che la mia fede era intatta e mi hanno riempito il cuore anche se la regola cristiana non mi permette di ricevere la comunione». È una delle tante attestazioni sulla santità diffusiva di papa Wojtyla che abbiamo raccolto...

Convertiti da Karol

da Quaderni Cannibali

del 12 luglio 2011

 

 Un’inchiesta sulla santità diffusiva del beato Wojtyla

           Mariella Mancini, separata e divorziata, abbandonata dal marito 23 anni fa: «Le parole di papa Wojtyla “non abbiate paura, aprite le porte a Cristo” mi hanno dato la possibilità di capire che la mia fede era intatta e mi hanno riempito il cuore anche se la regola cristiana non mi permette di ricevere la comunione». È una delle tante attestazioni sulla santità diffusiva di papa Wojtyla e sul cristianesimo di conversione da lui predicato. Qui le passo in rassegna come un contributo alla comprensione della beatificazione celebrata da papa Benedetto il 1° maggio e di quella folla che nessuno poteva contare.

  

CHI ERA IN PIAZZA PER LUI E NON ERA CREDENTE

          Le prime 13 attestazioni sono inedite: le ho raccolte con un’inchiesta tra i miei conoscenti e i frequentatori del mio blog. Mi sono rivolto alle persone convertite alla fede cristiana, o aiutate a non abbandonarla, o soccorse nella fatica di vivere dalla testimonianza di Giovanni Paolo II. L’idea mi è venuta sentendo di non cristiani, o di non credenti, o di cristiani dubbiosi, non praticanti, conviventi, divorziati risposati e simili che raccontano di essere stati aiutati a credere dal papa polacco. Il volume Vivi dentro di noi di Aleksandra Zapotoczny (Mondadori, Segrate [MI] 2011) documenta una trentina di questi casi attestati nel processo di canonizzazione. Altri se ne possono leggere nei volumi Caro signor papa. Cosa scrivono i fedeli a Giovanni Paolo II (Messaggero, Padova 2010) di Elisabetta Loiacono e Il miracolo di Karol. Le testimonianze e le prove della santità di Giovanni Paolo II (Rizzoli, Milano 2011) di Saverio Gaeta.

          La mia ricerca si è mossa in campo aperto, partendo dalle mini-storie di chi è venuto a Roma il 1° maggio non essendo un praticante regolare, o di chi – vivendo ai margini della Chiesa – già era venuto per l’ultimo saluto nell’aprile del 2005. Cinzia è un’altra donna con un matrimonio a pezzi, convivente con un uomo che non è suo marito: «Guardandolo non vedevi l’uomo o il papa, ma gli occhi di Cristo che stavano guardando proprio te e insieme a te abbracciavano la tua sofferenza. Ascoltando le sue parole, aggrappandomi a quelle mani su uno schermo televisivo sono riuscita a non perdere la mia piccola fede». Cinzia è tra i pellegrini virtuali più attaccati al nuovo beato: «Attraverso la webcam del Vaticano, non passa giorno che io non preghi sulla sua tomba affidandogli famiglia, amici e nemici». Un prete ambrosiano in risposta alla mia inchiesta: «Proprio il giorno che mi hai scritto, un giovane di 20 anni che da tempo era lontano dalla Chiesa venne a confessarsi e mi disse che aveva partecipato con commozione alla beatificazione e aveva deciso di ritornare alla fede».

 

MI HA GUARDATO E QUELLO SGUARDO È SEMPRE CON ME

          Medico chirurgo di 50 anni, romano, non credente, partecipa alla beatificazione cercando un posto tra le prime file «perché lo considera una grandissima figura che ha saputo meglio di altri trasmettere valori cristiani e umani, come solidarietà e attenzione ai più deboli; e ha avuto il merito di scegliere i giovani come interlocutori». Ha trovato «affascinante» il clima di emozione di quel «mondo di fedeli» che – confida – «terrà fede in qualche modo all’esempio del beato». Juliana e Luisita sono due transessuali brasiliane di stanza a Roma che stanno per rientrare in Brasile dove apriranno un ristorante: partecipano alla veglia del 30 aprile al Circo Massimo in segno di «riconoscenza e devozione » per lo «sguardo» che avevano avuto dal papa nel 1980 durante la sua prima visita in Brasile, quando i loro occhi di bambini «invisibili» si erano incrociati con quelli dell’uomo vestito di bianco e «scoppiò» in loro l’amore per lui. Una ragazza fiorentina ricorda di aver incontrato Giovanni Paolo durante la visita a Firenze del 1986, trovandosi in un gruppo di bambini nel Battistero che è sulla piazza di Santa Maria del Fiore: «Mi ha guardato. Per la prima volta ho sentito uno sguardo paterno su di me. Io non sono credente però, ecco, quello sguardo l’ho ritrovato fisso su di me sempre, quando ero proprio al limite. Al limite, mi capisci?»

 

LA SUA GIOIA NELLO STARE IN MEZZO AI GIOVANI

          Omosessuale, convivente, viene a Roma con il suo compagno per assistere alla beatificazione e al ritorno ne parla con entusiasmo essendo invece normalmente molto critico di ogni evento di Chiesa e sempre sul punto di «perdere la poca fede che ho»: dice di aver trovato in Giovanni Paolo un uomo di straordinaria umanità e un papa «più vicino», che associa a Madre Teresa e dal quale «non si è sentito del tutto respinto» ma anzi in qualche modo «attratto». Gaetano è un omosessuale che vive con un ragazzo più giovane: «Non ho partecipato alla beatificazione perché non amo le folle ma andrò alla tomba. Ha svecchiato il vecchio continente con il suo forte carisma e soprattutto negli ultimi anni, con la sua malattia, ha trovato il modo di essere più vicino alle persone, ma purtroppo è stato anche lui un papa conservatore.

          Doveva secondo me dare un contributo di progresso, ad esempio per l’uso dei condom per evitare malattie o gravidanze non volute, e doveva aprire alla comunità omosessuale “dichiarata” perché quella non dichiarata, dalla doppia vita, è accettata. L’amore non ha sessi». «Sono stata aiutata e sostenuta dalla sua figura in un momento critico », dice una che da allora gli è legata. Un’altra dice di «dovergli tutto», a partire dal giorno in cui «senza sapere perché» – non essendo praticante e non amando le folle – si era trovata in uno stadio a una sua celebrazione: «E quale lampada si accese allora per lei». «La sua gioia nello stare in mezzo ai giovani, cantando con loro, era travolgente e me lo faceva sentire ancora più vicino», dice Sabrina che l’ha amato per la sua vicinanza ai poveri, per la predicazione della pace e per «l’insegnamento nella sofferenza». Lei è in difficoltà con la disciplina della Chiesa ma il legame con Giovanni Paolo è più forte di quelle difficoltà: era in piazza San Pietro – venuta da lontano – quando morì ed è tornata a festeggiarlo per la beatificazione, che è stata – dice – «una luce per tutti».

 

HO PIANTO TANTO QUANDO HO SENTITO CHE ERA MORTO

          Andrea è un «marito felice» che proprio nei giorni della morte di Giovanni Paolo è a Roma travolto da un’improvvisa passione per una ragazza «molto più giovane» la quale, a sua volta, stava per separarsi dal marito; si rivolge al papa cantore dell’amore sponsale, gli chiede di «condurlo per mano» e il giorno dopo trova la forza di staccarsi da quella ragazza. Ho altre attestazioni che non posso narrare. Hanno in comune la non pratica o la non fede, la marginalità ecclesiale o la situazione di contrasto con le leggi della Chiesa, o l’attraversamento di un momento difficile. Persone dunque per le quali la figura del papa polacco è stata un richiamo o un’àncora. Difficile dire che richiamo e per quale via: chi dice una carezza avuta da piccolo, chi lo sguardo, cioè il suo lume d’umanità; chi l’amore ai giovani, chi il coraggio nella malattia, chi la forza del mettersi in Dio, chi la notizia della morte.

          «Ho pianto tanto quando ho sentito in televisione che era morto e dentro mi si è sciolto un groppo», mi ha detto una collega giornalista che a prima vista non diresti cristiana. Romano Martinelli – un prete ambrosiano che sta vivendo una lunga prova di salute – mi ha mandato questa riflessione: «Stando con lui, ci si poteva fidare di Dio, quell’Invisibile la cui apparente assenza sembra talvolta ucciderci. Con lui, la Chiesa ci è apparsa ricca di un’umanità che non poteva venire dalla sua povertà, ma dall’Unico che per sempre si è fatto uomo».

          Io credo che una buona quota dei presenti alla beatificazione – un milione e mezzo, secondo la Questura di Roma – fosse di persone che si sentono marginali nella Chiesa e che sono venute in proprio, non con la parrocchia o con le associazioni. Quelli che si considerano credenti ma non vanno in chiesa, o se ci vanno non fanno la comunione. O sono in polemica con l’ufficialità ecclesiastica.  

 

SONO ANDATA ALLA SUA TOMBA CON IL MIO COMPAGNO

          Ecco altre 20 storie, simili a quelle già narrate, che ho preso dal citato volume di Aleksandra Zapotoczny che ha avuto accesso alle carte processuali e al deposito dei messaggi lasciati sulla tomba. Il volume ne offre alcune centinaia, ho scelto quelle che attestano l’attrazione alla fede esercitata dalla figura del papa (tra parentesi la pagina di riferimento). Annunziata racconta di un pellegrinaggio alla tomba di papa Karol da Novara a Roma fatto «con il mio compagno » per chiedere aiuto per il padre malato di tumore e dice di averlo avuto (26). Janusz – che «non è stato mai praticante » – naufrago nell’Atlantico grida «Wojtyla aiutami» e narra di aver avuto quell’aiuto (34). Un nonno sposato solo civilmente e non praticante narra di averlo invocato a soccorso di una figlia e di essere stato ascoltato. L’aveva mosso a invocarlo il ricordo del papa che durante un’udienza gli aveva «posato » la mano sulla testa: «Da quel momento cambiò tutto» (79).

          Letizia abbandona la Chiesa dopo la morte di giovani amici e nello smarrimento scrive al papa già morto chiedendogli di «aiutarla» e promette: «Prima o poi verrò a trovarti» (83). Una donna di Cracovia alcolizzata e figlia di alcolizzati, lontana dalla fede, si «sveglia dal letargo» udendo in TV la notizia della morte di Wojtyla, piange e abbandona l’alcool (91). Daniela, divorziata e risposata, scrive al papa una lettera che «non era tanto carina»; il papa «mi rispose e pregò per me e per la mia famiglia» e lei – già prima di ricevere la risposta – si procura una Bibbia e inizia un cammino di riavvicinamento (92). Maria Luigia racconta la conversione del fratello Dino «che non aveva mai voluto credere in Dio» e che vicino a morire chiede i sacramenti, chiarendo che ha ripreso a credere «il giorno della morte del papa, perché ho visto che ha portato la sua sofferenza fino alla fine» (93). Una giovane donna si professa atea ma si «commuove profondamente nell’ascoltare in televisione l’omelia della Giornata mondiale della gioventù del 2000» è in piazza San Pietro quando il papa muore e ora cerca di «seguire e amare Dio» (95).

 

HO CAMBIATO LA MIA VITA E TI RINGRAZIO PER QUESTO

          Diletta è una «fuori dal coro» e si allontana sempre più dalla Chiesa, ma torna a credere «grazie alla testimonianza di fede del papa che ha portato la croce del Signore» ed è a Roma durante la veglia funebre (96). Stefania, «peccatrice, persa in un’esistenza frivola »: «Il giorno in cui te ne andasti sentii dentro di me un vuoto lacerante che mi spezzò l’anima. Ho cambiato la mia vita e ti ringrazio per questo» (98). Eleonora, «cresciuta in una famiglia di separati» e scappata da casa a 19 anni, torna alla fede spinta dal «dolore che le stringe il cuore alla notizia della morte del papa». Si mette in fila per salutarlo e per la prima volta ha la «sensazione di non essere sola» (99).

          Tomek è in carcere e in carcere era nato e sente dalla televisione che è morto il papa: «Le lacrime sono scese sulle mie guance». Grida «Perdonami Gesù Cristo e anche tu, padre santo» e si converte; ora «in carcere sono felice» (101). Benedetta, 30 anni, orfana e atea, piange alla morte del papa: «Da allora non ho avuto più alcun dubbio: Dio esiste ed esistono persone in grado di mostrare la grandezza del suo amore anche in punto di morte» (103). Una donna con esperienza di aborto scrive che alla morte del papa ha «capito il grande dono della bontà e della santità » di cui era portatore e lo invoca: «Aiutami tu, donami un’altra possibilità » (104). Barbara si accompagna a un uomo sposato che ha trent’anni più di lei e per nulla si cura della fede, ma si interessa al papa quando «la malattia lo stava crocifiggendo », legge discorsi e libri e durante l’ultima sua malattia prende lo zaino e parte per Roma, partecipa alla veglia del 2 aprile e ne torna con «una speranza accesa» (105). Una filippina viene a Roma da Parigi per la veglia al papa morente, la cui sofferenza l’ha tanto impressionata da farle decidere di «ricominciare la sua vita cristiana» (109).

 

FACCIO LA PROSTITUTA E NON HO NESSUNO – SOLO TE

          Lidia: «Io chiedo il tuo aiuto per me e per i miei due figli. È tutta la vita che soffro. Faccio la prostituta, neanche la mia mamma mi voleva bene. Io non ho nessuno, solo te. Ti prego, fa che mi ritorni la fede. Ti voglio bene» (112). Gabi: «Mio marito e i miei bimbi… Tu sai tutto, della droga, dei peccati e di tutto il male fatto. Tu ci hai mostrato cosa significa amare il prossimo. Abbi pietà di me e presenta le mie suppliche davanti alla misericordia di Dio» (115). Una donna nello smarrimento ricorda di aver «incrociato» un giorno gli occhi del papa: «Uno sguardo che non ho mai più rivisto in nessuno» e ha capito che «amare era possibile» (121). Antonella e Massimo «lontani mille miglia da Dio e dalla Chiesa» raccontano di essere «tornati al Padre» in morte del papa, quando «la sua anima santa ci prese per mano facendoci rinascere » (140).

          La conclusione è breve ed è in forma di proposta: che nelle facoltà teologiche diano tesi sulla santità attrattiva e contagiosa di papa Karol. Con le Giornate mondiali della gioventù egli aveva mostrato la possibilità di una nuova inculturazione del messaggio cristiano nella nostra epoca. Di quella seminagione ora abbiamo i germogli. Interrogandoli potremo comprendere dove abbiano a portarci. 

 

Luigi Accattoli

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