Convivenza?

Anche solo analizzando l'obiettiva dinamica affettiva, la convivenza risulta controindicata all'amore poiché ne mina il dinamismo di fiducia che ne sta alla base e il dinamismo di dedizione in cui consiste.

Convivenza?

da Quaderni Cannibali

del 05 marzo 2010

 

 

 

 

0.  Propongo 5 sottolineature, per dare risalto alla sconvenienza affettiva – non solo cristiana! – della convivenza:

  

 

 

- sull’aspetto diagnostico: convivenza come scelta che è meno frutto di decisione che di pressione personale e sociale. Identità fragili, isolamento affettivo, timore del fallimento, scadimento della considerazione morale a considerazioni utilitaristiche o funzionalistiche, assenza di ostacoli simbolici o addirittura rinforzo parentale, carenza di visione cristiana del matrimonio, che sia teologica e non moralistica, tutto questo spinge in maniera convergente verso la convivenza.

- sul nodo teorico-pratico: convivenza come deficit di decisione che compromette il rapporto fra affetti ed effetti, spontaneità e responsabilità, sentire e volere.

 

1. Si osserva un deficit di libertà, il cui riscontro macroscopico è che alla precocità delle esperienze amorose corrisponde un ritardo delle decisioni di vita.

Pensare di fare esperienza per prendere una decisione è in realtà illusorio. È vero piuttosto il contrario: è la decisione ciò che consente di fare veramente esperienza. La decisione è infatti ciò che pone in atto la libertà, ed è ciò che determina e non lascia indeterminato il rapporto con le persone, gli eventi, gli oggetti (Es. una mela può essere accostata come alimento, come corpo contundente, come occasione per la scoperta della legge di gravità…)

Ciò vale a maggior ragione nelle cose più delicate della vita, dove sono in gioco i misteri più grandi della vita, la profondità della realtà. Si pensi come un atto sessuale è al tempo stesso celebrazione dell’amore, generazione della vita, collaborazione all’atto creatore di Dio. È dunque  ragionevole pensare che lì, più che altrove, i gesti hanno una densità che non può essere colta integralmente e pienamente, dunque significativamente e felicemente, a procedere dalla loro semplice materialità.

Occorre insegnare che quando l’intimità precede la libertà c’è sempre un danno: si rischia di perdere il bello della vita per incapacità di decifrarlo e apprezzarlo. Si pensi a un’intimità consumata in una situazione di bassa autostima, o di dipendenza affettiva, o di scarso controllo delle pulsioni, o di totale disattenzione al possibile evento della generazione…

 

2. Nel mondo giovanile, si osserva che ci sono identità deboli, fragilità affettive, scarsa capacità di leggere e regolare le emozioni, e di interpretare e integrare i vissuti e le relazioni. Risulta oggi sempre più difficile capire se si è innamorati, e meno ovvia è diventata addirittura l’eventualità di riuscire a innamorarsi.

Ora, la convivenza va giudicata inutile e dannosa – ribadiamo, anche in prospettiva laica –perché, sostituendo in maniera più o meno cosciente la maturazione affettiva con l’esperimento effettivo, non favorisce la crescita personale e di coppia. Il rischiaramento dei cuori non avviene per esperimento ma per discernimento.

Non si tratta di provare se “noi due andiamo bene”, ma bisogna imparare a leggere gli eventi esterni e le risonanze interiori che interpretano, convalidano o invalidano, mostrano la consistenza o denunciano l’inconsistenza, della promessa inscritta nell’evento dell’innamoramento. In questo senso, si può dire che la convivenza realizza il contrario delle intenzioni per cui è messa in atto: intesa come tappa di maturazione, in realtà ne ostacola il processo. Dall’analfabetismo affettivo non si esce provando ad esprimersi lo stesso, ma mediante una paziente (ri)alfabetizzazione. La sintassi amorosa non è articolabile senza la grammatica dei sessi, dell’amore, della vita.

Occorre perciò maggior impegno di formazione, cosa che la convivenza non può surrogare o sostituire. Se per assurdo la convivenza fosse lecita, bisognerebbe dire ai giovani d’oggi che per loro è comunque controindicata, perché la loro identità è debole, e ridotta è la loro capacità simbolica.

 

3. Si osserva che i giovani pensano la convivenza come momento di consolidamento di coppia in vista del matrimonio. La convinzione è erronea: essa, come tale (cioè se non ci sono o non intervengono altri fattori favorevoli), non consolida, ma rende fragile l’esperienza amorosa.

    Anche solo analizzando l’obiettiva dinamica affettiva, la convivenza risulta controindicata all’amore poiché ne mina il dinamismo di fiducia che ne sta alla base e il dinamismo di dedizione in cui consiste. Poiché l’amore è il dono di sé e l’accoglienza dell’altro, l’amore non può essere mimato, e con la convivenza resta minato.

 

4. La convivenza, in ottica cristiana, è contrassegnata dall’autoreferenzialità affettiva, che isola gli affetti umani dalla loro dimensione sociale (epoca della famiglia affettiva) ed ecclesiale (sacramentalità del matrimonio).

    La convivenza dice obiettivamente: “quanto alla felice riuscita del nostro amore, il sacramento non serve, o comunque non è urgente, decisivo. Noi due possiamo capire e far crescere il nostro amore senza una particolare effusione della Pasqua del Signore”. Con tale implicita o esplicita convinzione, la coppia convivente mostra di non comprendere che l’amore di Gesù espresso nella sua Pasqua ed elargito nei sacramenti non corona semplicemente l’amore umano, che in tal senso è ritenuto presupposto, ma lo istituisce e, in quanto ferito dal peccato, lo restituisce al suo splendore.

    Convivere è dunque, obiettivamente, cioè al di là di ogni buona intenzione, marginalizzare, neutralizzare, rendere irrilevante il carattere sacramentale del matrimonio. È non riconoscere che Dio è la sorgente e la salvezza dell’amore.

    Più semplicemente, ci si può chiedere: se l’esperienza di coppia potesse confidare sulle proprie risorse interne, perché il Signore avrebbe istituito il sacramento del matrimonio? O, per i più esigenti: perché lo Spirito del Signore, che guida in defettibilmente e infallibilmente la sua Chiesa, avrebbe fatto maturare lungo i secoli la sacramentalità del matrimonio?

 

5. Si osserva che la preparazione al matrimonio arriva disastrosamente in ritardo rispetto alla scelta della convivenza, e che molto frequentemente nulla viene detto sulla sua sconvenienza – quando non venga positivamente raccomandata – inducendo una coscienza erronea che tende in larga parte ad avere effetti presuntivamente invalidanti circa il successivo matrimonio.

    La Chiesa ha il dovere di dire, e i fidanzati hanno il diritto di sentirsi dire, che la convivenza non è moralmente accettabile, per poter partire o ripartire con il piede giusto.

    È necessaria in tal senso una pastorale decisamente preventiva, che preveda percorsi di educazione affettiva, sessuale, ecclesiale e sacramentale, che consentano di orientare il desiderio, l’incontro, la vicenda amorosa secondo verità.

    Preparare il matrimonio in situazione di convivenza compromette gravemente la capacità di cogliere “cose spirituali in maniera spirituale”. È perduta quella verginità del cuore e del corpo che sola consente di apprezzare la bellezza e l’elevatezza del discorso cristiano sull’amore umano.  

    La caduta del costume cristiano come realtà socialmente condivisa e l’istintivo credito accordato a una morale individualistica impongono di uscire dall’alternativa di non dire niente o dire tutto subito: la prima alternativa manca di verità, l’altra manca di carità. Ora, , poiché la visione cristiana sulla sessualità, la coniugalità, la fecondità e i loro intimi rapporti non dispongono più di alcuna ovvietà culturale, pastoralmente bisogna prendere tempo e chiedere tempo per quel minimo di itinerario formativo che consenta di vedere il disegno di Dio in tutta la sua estensione, nei suoi fondamenti teologici, nella sua rilevanza antropologica, nelle sue implicazioni morali, nella sua efficacia testimoniale.

   

L’esperienza, ma anche il conforto dei migliori sviluppi filosofici e antropologici contemporanei, assicurano che tra l’immediato appello ai dati di fede e il richiamo erroneamente scontato all’universalità della natura umana, esiste la possibilità di una fenomenologia dell’amore che esplicita il senso profondo e implicito del desiderio, al quale la rivelazione offre fondamento, compimento, riscatto dal male.

don Roberto Carelli

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