Nostalgia: ritorno di chi o di che cosa? Un ritorno che riguarda il futuro: il desiderio acuto e inguaribile che hanno l'esiliato, il pellegrino e chi si trova lontano dalla propria casa e dalla propria terra. Altri ritorni si volgono invece al passato: è nostalgia il desiderio di tornare agli anni della spensierata giovinezza, di rivivere l'inizio di un amore...
del 26 luglio 2011
 
 
          Nostalgia è una parola che deriva dal greco ed è composta da due elementi. Il primo è il suffisso algìa, che indica un dolore, una sofferenza. La parte che precede il suffisso descrive la causa di quel dolore.          In ambito genericamente medico il percorso è lineare: per esempio, sciatalgia vuol dire che a far soffrire è il nervo sciatico. Nel nostro caso è un po’ diverso; la prima parte della parola - nostos - non è ciò che fa soffrire; anzi è la sua mancanza che provoca il dolore. Nostos significa ritorno; quindi la nostalgia è quella sofferenza, meglio sarebbe dire struggimento, che si prova aspettando un ritorno.          Ma ritorno di chi o di che cosa? Originariamente - e la parola è stata ideata proprio in questo contesto - la nostalgia riguarda il desiderio acuto e inguaribile che hanno l’esiliato, il pellegrino, chi per svariate ragioni si trova lontano dalla propria casa e dalla propria terra di farvi ritorno. È un ritorno che riguarda il futuro.          Altri ritorni si volgono invece al passato; è nostalgia il desiderio di tornare agli anni della spensierata giovinezza, di rivivere l’inizio di un amore quando esso aveva tutta la sua intensità e purezza, di riandare ai primi passi di un’amicizia non ancora macchiata da incomprensioni o tradimenti.          A livello non più personale ma sociale, si può accennare al grande mito del ritorno all’età dell’oro, che ha caratterizzato numerose culture; di fronte a un presente troppo complesso e duro, gli uomini hanno immaginato, con infinite sfaccettature, una mitica società primitiva del tutto esente dai dolori e dalle criticità dell’esperienza presente e a quell’età dell’oro, ormai sfumata nelle nebbie di un passato lontanissimo, hanno rivolto il loro nostalgico sguardo.          La nostalgia può anche riguardare il ritorno di qualcuno diverso dal soggetto che la prova. È una forma di nostalgia quella del bambino che attende con ansia che la mamma venga a riprenderlo all’asilo, quella dell’adolescente che sbircia fuori dalla finestra in attesa che lei passi di fronte a casa sua, quella di chi desidera che un caro amico torni da un lungo viaggio.          In questo caso, il movente della nostalgia non è più l’assenza incolmabile di un passato che non può tornare, bensì quella infinitamente più dolce di una presenza che c’è, anche se è lontana e quindi deve tornare.          È evidente che, quanto più forte è il legame che ci lega alla persona attesa, tanto maggiore è la forza della nostalgia. In sommo grado, quindi, la nostalgia è di colui il cui ritorno e più di ogni altro desiderato e desiderabile, Dio.          Ma da dove dovrebbe mai tornare Dio? Egli, dice il vecchio, catechismo, «è in cielo, in terra e in ogni luogo» e quindi il suo ritorno è per forza molto diverso da quello di un amico che vive lontano e molto diversa sarà la nostalgia che ne deriva. Se Dio è la consistenza ultima e profonda - tenax vigor dice un inno - di tutte le cose e il significato di ogni avvenimento, il suo tornare non può che essere il manifestarsi chiaro di questo.          La nostalgia è dunque paradossalmente del ritorno di uno che non se n’è mai andato. L’amico lontano era già tornato e io non lo sapevo o non me n’ero accorto perché guardavo altrove. E ora che so che è qui ho ancora più nostalgia perché vorrei sapere tutto di lui e dirgli tutto di me.Pigi Colognesi
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