L'attenta analisi dell'antropologa, già docente dell'università La Sapienza di Roma, mette in luce le grandi contraddizioni che sono tuttora legate all'uso della croce nei più vari contesti del vivere quotidiano. In particolare il testo offre una sintetica ma esauriente carrellata di come, soprattutto nel corso dell'ultimo cinquantennio, siano mutati sia l'utilizzo, sia la percezione di questo simbolo irrinunciabile della fede cristiana.
del 16 febbraio 2008
Di agile e facile lettura si presenta il testo di Clara Gallini, Croce e delizia. Usi, abusi e disusi di un simbolo, edito da Bollati Boringhieri. Anche recentemente il simbolo cristiano per eccellenza ha fatto tanto discutere, animando dibattiti politici, talk show televisivi e occupando le cronache dei giornali. Noto è il motivo:  la presenza o meno del Crocifisso nei locali pubblici, in particolare nelle aule scolastiche e in quelle di tribunale. Si scopre così una società che si interroga davanti a un riferimento di primaria importanza non solo religiosa ma anche storica e culturale e che sembra non sapersi sempre orientare tra una professata laicità di stato e una giusta salvaguardia delle specifiche radici culturali e di una garantita libertà religiosa.
L'attenta analisi dell'antropologa, già docente dell'università La Sapienza di Roma, mette in luce le grandi contraddizioni che sono tuttora legate all'uso della croce nei più vari contesti del vivere quotidiano. In particolare il testo offre una sintetica ma esauriente carrellata di come, soprattutto nel corso dell'ultimo cinquantennio, siano mutati sia l'utilizzo, sia la percezione di questo simbolo irrinunciabile della fede cristiana. L'autrice inizia così un curioso percorso attraverso dei luoghi in cui la croce ha da sempre trovato una sua collocazione, non tanto o non solo fisica ma anche e soprattutto semantica.
Una prima serie di contesti è quella che si potrebbe definire domestica:  dalla camera da letto della famiglia, ove immancabile era la presenza del sacro legno, alle porte delle case, sulle quali la croce svolgeva una precisa funzione di protezione contro le forze del male. Nei poveri ambienti delle case di un tempo, il cui arredo era spesso rispondente più a esigenze funzionali che estetiche, la presenza di immagini sacre era un elemento significante per lo spazio. La casa stessa veniva ad assumere un suo preciso connotato sacrale; non solo la chiesa quindi, ma anche l'ambiente domestico diveniva luogo in cui si attuava la comunicazione con il divino, recepito e proposto come tratto distintivo del vivere quotidiano.
La croce, quasi sempre accompagnata da un rametto di ulivo benedetto, vegliava sul letto:  luogo sintesi dell'intera esistenza:  talamo nuziale per gli sposi, dove era accolta una vita nascente, spazio che dava riposo nel momento della malattia o, ancor più, dell'estrema agonia. Il Crocefisso era lì, muto testimone dell'umano cammino, segno di speranza per una vita destinata a una trasfigurazione nell'eterno; eppure anche questi più riservati spazi hanno assunto altri significati. Senza clamore, quasi in modo impercettibile, poco alla volta croce e crocifisso sono stati estromessi da questo contesto, magari sostituiti da più dolci, ma forse più sdolcinate, riproduzioni della Vergine, di santi o di angeli, sempre meno connotati di quella drammaticità storica che ha comunque riguardato il mistero del Verbo incarnato.
Casa privata e chiesa vengono così ad assumere progressivamente differente caratterizzazione simbolica, quasi che l'esistenza umana possa essere frammentata in una pluralità di contesti che, anche se non ostili tra loro, sono comunque nettamente separati. Aspetto curioso, sottolineato dall'autrice, è che questo cambiamento non si è verificato, almeno nel nostro paese, sulla base di esplicite spinte o proposte contrarie alla religione, ma in modo forse più subdolo, con l'adeguamento del singolo a una mentalità che giunge a inficiare anche i più reconditi spazi dell'agire umano, senza che il singolo spesso abbia coscienza del cambiamento di cui è, allo stesso tempo, soggetto e oggetto.
In passato il segno della croce infisso sulle porte, dipinto sul muro o scolpito nella pietra, veniva considerato come un vero proprio antidoto contro le mai arrese forze del male. Fermare, al di fuori delle mura domestiche, gli influssi del tentatore, divenne motivazione per un vasto utilizzo del simbolo, quasi che in esso risiedesse una sorta di forza, operante nel e tramite il simbolo stesso. L'utilizzo della croce come sorta di talismano ancora sopravvive, ma senza una diretta ammissione da parte di chi la esibisce su se stesso.
Un successivo e molto interessante settore di indagine è quello della strada e delle vette, queste ultime immancabilmente contrassegnate dall'erezione di una croce votiva. Compiendo un rapido excursus sulle posizioni conquistate dal simbolo nei secoli della cristianità, se ne sottolinea il significato sacralizzatore dello spazio e del territorio, al di là di una specifica appartenenza giuridica, spesso dell'autorità laica. La croce è ancor oggi il più diffuso simbolo sacro visibile, compagna, certo un poco più discreta di un tempo, del cammino dell'esistenza umana. I giudizi sulla presenza del segno cristiano sulle vette dei monti sono divergenti; l'autrice non manca di ricordare come proprio l'alpinista certamente più famoso in Italia, Reinhold Messner, trova di pessimo gusto le croci collocate in cima alle montagne, in quanto turberebbero, a suo parere, lo spazio incontaminato di natura che ancora esiste in questi luoghi spesso irraggiungibili. Voci di dissenso sono segnalate anche a proposito della proposta di erigere sulla cima del Monte Bianco, il tetto d'Europa, una grande croce, in quanto tale iniziativa sembrerebbe più un simbolico gesto di conquista di uno spazio che espressione di un sentimento di fede e dunque atto religioso.
La croce è poi analizzata dalla Gallini come segno per rimarcare il concetto e il valore della nazione, secondo schemi che vedono accomunati schieramenti politici o ideologici di segno opposto. Nel saggio vengono ricordati sia i giovani di destra, che collocano croci nel bel mezzo del quartiere Esquilino per commemorare i morti dell'attentato alla base italiana di Nassiriya, sia quelli che organizzano una Via Crucis intorno alla base americana di Aviano, nel segno della pace. Azioni che sono eco di quello stretto legame di dipendenza tra religione e stato che, iniziato all'epoca dell'imperatore Costantino, che della croce fece il suo emblema di vittoria, è proseguito, pur con alterne vicende, lungo il corso della storia. Uno stretto rapporto esiste anche tra croce e vita militare, non fosse altro per quelle centinaia, migliaia di sepolture di caduti che sono appunto contrassegnate da quello che fu il patibolo di Cristo. Come poi non ricordare che della croce si è fatto anche un simbolo di riconoscimento di particolari virtù e azioni spese e compiute per il bene della collettività? Nonostante un dilagante tentativo di epurazione del segno, a nessuno è ancora venuto in mente di sostituire con altro oggetto il conferimento dell'onor militare o civile o del cavalierato.
Una più attenta analisi dell'utilizzo della croce in politica viene offerta nel capitolo intitolato, eloquentemente, 'Scudi e crociati'. Nato all'indomani del primo conflitto mondiale, come emblema dell'allora nascente Partito popolare italiano, fondato da Luigi Sturzo, lo scudo crociato è divenuto emblema del partito dominante la scena politica nazionale per decenni, per finire conteso tra i gruppi sorti dalla dissolta Democrazia cristiana cui affermano di ispirarsi. All'utilizzo della croce sono però anche approdate altre formazioni politiche che dell'ideale cristiano non sono certo peculiare espressione. Il recupero di memorie storiche neo-pagane, derivanti da una ipotizzata connotazione celtica del contesto sociale e culturale del nord Italia, è stato associato alla riproposta di idee medievali di autonomia civica, rilette su scala nazionale. Conoscendo quanto sacralizzata fosse la compagine delle comunità medievali, non deve stupire che il vessillo della croce campeggiasse sui carrocci utilizzati nelle battaglie intestine che a lungo insanguinarono i nostri territori. Da lì, riutilizzata spesso a proprio uso e consumo, la croce è tornata a sventolare su bandiere di gruppi politici che si propongono, tra le tante cose, di difendere credenze e valori della civiltà occidentale che, si sa, ha nella religione cristiana il suo tratto distintivo.
Un ultimo e forse più delicato settore resta da indagare, quello dell'utilizzo della croce come elemento dell'abbigliamento personale, o appositamente collocato all'interno di campagne pubblicitarie ed esibito in momenti di spettacolo. Gallini si chiede se si tratti, anche in questo ambito, di una nuova interpretazione del simbolo stesso o non, più propriamente, di uno svuotamento del suo senso. L'attuale utilizzo della croce può, in certi casi, anche giungere a urtare la sensibilità di chi, in essa, vede innanzitutto il segno più grande della propria esperienza di fede. Vi sono ovviamente abbigliamenti di cui la croce è, o dovrebbe essere, parte integrante:  dalla pettorale dei vescovi a quella che i sacerdoti spesso appuntano alle loro giacche. Oggi si riscontra un utilizzo improprio, o per lo meno distante dal primario significato della croce:  più che sulle pareti delle case, la croce va rintracciata all'interno di capi di abbigliamento o di collezioni di oreficeria, impreziosita materialmente, ma privata del suo primario e necessario rimando cristologico.
La ricerca non esaurisce tutti i possibili settori di indagine in cui potrebbe articolarsi un discorso sull'utilizzo della croce, ma offre la possibilità di richiamare all'attenzione del lettore l'importanza che il linguaggio dei segni viene ad assumere nella nostra società.
 
(©L'Osservatore Romano - 16 febbraio 2008)
Damiano Pomi
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