Incontro con Emmanuel III Delly, patriarca dei Caldei: «In Iraq noi diciamo: “A noi la nostra patria e tutto il resto per il Signore”. Non importa se il mio vicino sia musulmano o cristiano, sciita o sunnita; questo riguarda lui, è una cosa tra lui e il Signore. Ciò che devo fare e per cui devo lavorare è la fedeltà alla patria»
del 11 dicembre 2008
Prima di potersi preparare all’Avvento, Emmanuel III Delly ha dovuto viaggiare molto. Per tanti motivi. Il Sinodo, alcune cure da tempo rinviate, visite pastorali alle numerose comunità caldee in Europa e negli Stati Uniti. È da cinque lunghi anni – dal dicembre del 2003 – che è stato eletto patriarca di Babilonia dei Caldei. Cinque anni con la guerra in casa. Da Baghdad ha visto, vissuto, testimoniato le sofferenze del popolo iracheno e tra queste la persecuzione dei cristiani, che nei momenti topici riesplode puntualmente (così è stato in ottobre, nei giorni del Sinodo), ma continua anche quando non fa più notizia.
      In Iraq, dove la guerra ha portato anche la persecuzione, il patriarca non si avventura in dichiarazioni da prima pagina. Come iracheno e come pastore della più grande comunità cristiana del Paese, sua beatitudine Delly, creato cardinale da papa Benedetto XVI nel novembre del 2007, rende quotidianamente la sua testimonianza. E ci lascia immaginare, senza recriminare, tutta la realtà (del martirio) dietro la prudenza.
 
Beatitudine, dall’ultimo Sinodo, sulla Parola di Dio, che cosa ha portato a casa di buono?
EMMANUEL III DELLY: In Iraq non c’è una famiglia, una sola, che non abbia in casa una copia della Sacra Scrittura, la Parola del Signore. Cosa possiamo fare ancora? Cercare di vivere questa Parola, incarnarla nella nostra vita, come la Madonna ha fatto andando verso Elisabetta per servirla e mostrare la carità fraterna. Possiamo leggerla. Conoscerla non basta, ma può essere un aiuto. Così, se possibile, ogni giorno, almeno la sera prima di andare a letto, invece di passare due o tre ore davanti alla televisione, i genitori aprano il Vangelo e leggano la Parola del Signore ai loro figli. Anche i più piccoli ascolteranno e, poco per volta, metteranno in pratica la Parola di Dio nella loro vita quotidiana. Così il Signore ci benedirà, ci darà le Sue grazie, ci aiuterà e mostrerà le vie che conducono al bene.
 
Mentre lei si trovava a Roma, e anche nei giorni seguenti, in particolare a Mosul, sono riprese le violenze settarie contro i cristiani.
DELLY: Non solo contro i cristiani... Le notizie che vengono dall’Iraq non sono buone per nessun iracheno. Quando uno non sa da dove viene il male, cerca di trovarne l’origine ma non la trova, e allora sta sempre in ansia, sempre triste. Capita questo ai miei concittadini. In Iraq non passa un giorno senza che essi non abbiano un guaio. Per me non è mai tramontato il sole senza aver sentito una cattiva notizia o incontrato un problema che riguarda il bene dell’Iraq, non soltanto quello dei cristiani.
 
Non c’è solo Mosul.
DELLY: Ciò che è accaduto ai cristiani di Mosul avviene da tempo anche altrove, e semplicemente questa volta ha provocato un po’ di chiasso in più. Molti hanno dovuto lasciare le proprie case, spinti dalla paura o da altre ragioni più concrete... Hanno visto i loro vicini fuggire al nord e li hanno seguiti lasciando la città. Sicuramente c’è qualcosa che non va… Ma cosa? La colpa è di alcune persone che non credono in Dio, non sono musulmani né cristiani, non hanno altre credenze all’infuori del proprio interesse e minacciano tutti coloro che possiedono qualcosa o un po’ di denaro. Gli impongono di lasciare le case e andare via, e girando in auto per le vie gridano: «Non comprate queste case, le avremo gratis!».
 
E questo ha spaventato i cristiani, che fuggono...
DELLY: I cristiani iracheni sono in genere persone che vivono del proprio sudore e sono un poco benestanti (e ringraziamo il Signore perché lavorano…). Così molti sono andati via, specialmente quando hanno visto che qualcuno era stato ucciso. Da chi? Non lo sappiamo. Io non accuso nessuno. Molti dicono che sono responsabili forze straniere, ma io ripeto sempre fra me e me: «È mai possibile che gli stranieri sappiano che il tale o il talaltro è un benestante, e che abita in quella casa, se non c’è una guida irachena con loro?». Dunque, io biasimo anche i miei fratelli iracheni e chiedo loro di amarsi.
 
Lei pensa che la politica interna del Paese potrà avere la forza, in un prossimo futuro, di risolvere i problemi? Oppure sarà sempre necessaria un’autorità esterna?
DELLY: La situazione non è stabile, pertanto non credo si possa parlare di una “politica interna”. Esistono però la carità e l’amore fraterno. Il Signore ci ha comandato di amarci gli uni gli altri: questa è la nostra politica, la politica dei cristiani, che esorto ad amarsi e a perdonarsi vicendevolmente, anche per il bene del Paese. E a essere fedeli prima di tutto al Signore e poi ai fratelli, di diversa origine, con i quali dobbiamo convivere pacificamente. Questa è la nostra politica, non abbiamo altra politica interna o estera. Quelli che cercano di agitare le acque sporche non sono veri iracheni né uomini che amano la propria patria, e men che meno sta loro a cuore la volontà del Signore.
 
Un partito cristiano organizzato, di minoranza, che cosa potrebbe fare?
DELLY: Purtroppo ogni partito insegue i propri interessi. Prima di tutto quello di affermare che è migliore degli altri, e questo non mi piace. Dobbiamo invece formare un solo “partito fedele alla patria”, cioè mettere fra noi la carità fraterna, essere uniti e lavorare con un cuore solo per tutti i nostri fratelli iracheni. E dobbiamo incitare anche i connazionali all’estero a mettere in pratica questa politica: in una parola, dobbiamo fare tutto il possibile per il bene della nostra nazione.
 
Lei continua a incontrare autorità di governo e leader religiosi.
DELLY: Ho fatto appello, prima di tutto, ai responsabili politici, che possono realmente cambiare qualcosa nel Paese. Dal presidente della Repubblica al presidente del Consiglio, ai ministri, ai capi dei partiti, allo stesso Ali al-Sistani, grande ayatollah sciita. E inoltro il medesimo appello a tutti i capi politici del mondo, che finora non hanno fatto molto: sentono le notizie dall’Iraq, si dispiacciono, ma non fanno niente, a parte dirci belle parole; poi ognuno torna alla propria casa e si dimentica di noi. Perché non parlano ai nostri responsabili in Iraq, al capo della Casa Bianca, ad altri leader potenti che potrebbero influire? Io continuo a fare appello a tutti, dentro e fuori l’Iraq.
 
Accennava allo sciita Ali al-Sistani. Lei sa quanto è grande l’influenza dell’Iran nel garantire una stabilizzazione pacifica dell’Iraq.
DELLY: Parlo con i leader senza badare se siano sciiti o sunniti. Mi avvicino a loro come iracheni, per amore della patria e dei nostri comuni confratelli iracheni, non come sciiti appartenenti a una potenza straniera. Ed è per questa ragione, credo, che tutti mi rispettano e mi incontrano senza difficoltà, o vengono da me per dare o avere consigli. Sanno che non parteggio per questo o per quello. In Iraq diciamo: «A noi la nostra patria e tutto il resto per il Signore». Non importa se il mio vicino sia musulmano o cristiano, sciita o sunnita; questo riguarda lui, è una cosa tra lui e il Signore. Ciò che io devo fare e per cui devo lavorare è la fedeltà alla patria.
 
Che rapporti ha mantenuto con la diaspora irachena e con i cristiani che sono andati via?
DELLY: Vorrei che coloro che sono nella diaspora ritornassero in patria. Ma se non possono, se la diaspora è diventata per loro la seconda patria, allora restino dove sono. Per il bene loro e del Paese in cui ora si trovano e anche per il bene della loro patria. Però… vorrei che tornassero… Non vogliamo che l’Oriente si svuoti dei cristiani, questo Oriente che il Signore ha amato tanto. È lì che Lui ha vissuto e non vogliamo che quelle terre siano svuotate del cristianesimo per colpa di qualcuno.
 
C’è ancora la volontà politica di trasferire i cristiani, per motivi di sicurezza, in alcune “zone franche” del Paese?
DELLY: Che io sappia, tutti i responsabili, a partire dal presidente e dal primo ministro, vorrebbero che i cristiani rimanessero nel Paese perché sono la forza dell’Iraq. Le statistiche dicono che i cristiani sono appena il tre o quattro per cento della popolazione, ma non è vero... Significano molto di più perché anche la qualità conta, e i nostri cristiani iracheni sono istruiti, desiderosi di far bene, e conoscono il mondo fuori del Paese. Così quel “tre o quattro per cento”, anche se è un numero piccolo, non identifica in realtà una minoranza, perché si riferisce a persone che sono in Iraq da prima che arrivasse l’islam. Originari del Paese, non immigrati.
 
Che cosa ha significato per il patriarca vivere cinque anni di guerra e di persecuzione?
DELLY: È una cosa naturale, non dobbiamo meravigliarci. Nostro Signore ha trascorso tre anni facendo del bene ai suoi compatrioti, dando loro il pane, guarendo i loro malati, e nonostante la domenica delle Palme avessero gridato al suo passaggio: «Osanna! osanna!», il venerdì seguente hanno ripetuto tutti: «Deve essere crocifisso!». Così è la vita! L’uomo dimentica presto, noi invece dobbiamo fare del bene sempre, seguire l’esempio di nostro Signore, le tracce che ha lasciato camminando. Come lui ha salito il Golgota, sopportando tutto, ma poi è risorto, così anche noi dobbiamo passare per la stessa via di sofferenze, critiche, maltrattamenti, ma siamo sicuri che alla fine avremo la risurrezione e la vittoria.
 
C’è una nuova amministrazione in America. Ha un commento in proposito?
DELLY: No, queste cose non mi riguardano… Invece sono contento dei nostri cristiani, che sono veramente saldi nella fede, nonostante le difficoltà nelle quali si trovano oggi.
 
Qualche episodio da raccontare al riguardo?
DELLY: Posso solo dire che sono veramente devoti, hanno fede, conoscono i loro doveri religiosi e li compiono facilmente, nonostante le difficoltà, nonostante la paura. Ogni domenica portano i figli a messa, e questa è una buona cosa. È vero, la situazione non è facile, anche le scuole talvolta sono minacciate; così molti non vi mandano più i figli temendo che vengano sequestrati o ammazzati.
 
Quindi i gruppi di violenti contro i cristiani continuano a operare?
DELLY: Si tratta di fanatici che agiscono per interesse proprio… Ma quando il governo lo viene a sapere la smettono. Il nostro governo è indipendente, nonostante sia sciita cerca di fare del bene anche ai cristiani, per guadagnarne il rispetto e le lodi, non il sospetto. Come le dicevo non abbiamo mai sentito di un decreto contro i cristiani in quanto cristiani, almeno finora. Gli sciiti difendono i cristiani. Dicono che bisogna aiutarli e che bisogna dare loro lavoro, perché fanno parte dell’Iraq e l’Iraq non può vivere senza cristiani.
Ci sono però anche alcuni che badano solo ai propri interessi, alcune frange musulmane…
La Costituzione irachena mantiene la sharia come fonte del diritto.
DELLY: Ma non tutti sono d’accordo sul testo della Costituzione, anche tra i musulmani.
C’è ancora la possibilità di una riforma del testo costituzionale?
DELLY: Ci sono tante questioni ancora aperte riguardo alla Costituzione: la libertà religiosa, che, ad esempio, non c’è. La Costituzione si basa sul Corano, che non può essere contraddetto da nessuna legge, mentre le fonti del diritto potrebbero essere tante, perché esistono altre religioni. Fosse questo l’unico dei nostri problemi…
Chissà quanti consigli spassionati o interessati su come risolverli avrà ricevuto...
DELLY: Dei giorni a Roma, da studente seminarista, ricordo un mio professore che mi spiegava che cos’è la filosofia: «È la scienza con la quale, o senza la quale, l’uomo rimane tale e quale».
 
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