D'Avenia:«Trasgressivo parlar di Dio»

E lei come insegnante è padre? Cerco di esserlo, ma so che il mio compito è quello di proteggerli dall'esterno e sfidarli dall'interno. I ragazzi vanno protetti a volte da loro stessi perché si sentono incapaci, dunque bisogna promuovere la bellezza che in loro non vedono, ma vanno sfidati nel campo delle qualità...

D'Avenia:«Trasgressivo parlar di Dio»

da Quaderni Cannibali

del 13 marzo 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

          I produttori che stanno realizzando il film tratto dal suo primo libro, “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, di lui dicono che è trasgressivo. «E’ perché ho fatto un libro su un professore che ama il suo lavoro, che parla di dolore e di Dio». Alessandro D’Avenia scava nel significato etimologico delle parole per restituircene la freschezza originaria.

          Le presentazioni dei suoi libri poi, l'ultimo è “Cose che nessuno sa”, vengono accolte con ovazioni da star, ma il prof-scrittore fa di tutto, e la sfida è titanica, per mantenersi normale: sa infatti che il primo obiettivo è difendere dall'esterno la materia prima dei suoi libri, che sono poi quegli adolescenti invischiati, troppo invischiati con la modernità 2.0, che lo hanno eletto a loro punto di riferimento. A loro parla di padri e talenti, di dimensione verticale da ricercare e della funzione terapeutica di Dostoevsky, di dolori da superare e di abbandoni da colmare. Decisamente trasgressivo.          Eppure tanto normale non deve esserlo questo palermitano destinato a imbracciare il trapano del dentista come il padre, ma oggi in missione in un liceo milanese, se i suoi libri sono dei veri e propri casi letterari: e non solo per i dati di vendita, ma forse proprio per quella caratteristica che lo fa essere l'unico esempio vivente di scrittore che sa mettere d'accordo insegnanti e studenti.

          Di solito al termine delle sue presentazioni qualche 15enne se ne esce sempre con la domanda delle domande: “Prof, perchè non viene lei a farci lezione”.Già D'Avenia, a conciliare insegnanti sindacalizzati e demotivati e studenti persi dietro il mare vischioso del web, non ci era ancora riuscito nessuno. Chi sono questi adolescenti 2.0?

          Sono adolescenti la cui dimensione verticale va risvegliata. La cultura delle immagini li abitua ad una grande curiosità, ma anche ad una grande passività. Loro se la fanno bastare, ma non è detto che sia il nutrimento giusto.Dunque, web bandito?

          No, il web gli fa avere uno sguardo a 360°, entrano in contatto con tante cose, ma il rischio è che non riescano ad andare a prendere quello che serve. Così come insegnante ti ritrovi a lavorare su quel nucleo interiore da cui loro guardano per renderli più attivi: la svolta del 2.0 è non subire il web, ma sono io che metto e oriento i contenuti.Tra la nostra generazione, lei ha 34 anni, e quella dei suoi studenti, c'è un salto breve: eppure è già così diverso.

          La nostra generazione unisce due mondi e noi non apparteniamo del tutto a nessuno dei due. Ma questo ci aiuta a conciliare la loro dimensione orizzontale con una dimensione verticale. In classe la sfida più difficile è trovare il modo di arrivare a questa modalità di apprendimento: la pagina web è tutta sullo stesso piano orizzontale: proviamo ad entrare dentro e andare in profondità verso l’alto.Appunto, la dimensione spirituale dei giovani: assente o addormentata?

          Direi addormentata, d'altra parte più la addormenti, più cresce la sete. Spesso mi faccio questa domanda: vado in un posto a parlare a mille studenti che si trovano di fronte ad un prof che parla loro di un libro: cioè ciò da cui sono “scappati” alla mattina. I ragazzi hanno le antenne perché a lungo l'orizzontalità annoia. Ogni adolescente va alla ricerca di questo e se i miei libri risvegliano questo non credo che sia solo marketing editoriale.Ecco, nell'ultimo libro si parla del tema dell'abbandono. Da chi sono abbandonati questi ragazzi?

          Hanno bisogno di maestri, oggi c’è una grande nostalgia di padri. La parola padri la possiamo declinare con la p minuscola per arrivare alla P maiuscola. Facciamoci caso: i primi 4 libri dell’Odissea non parlano di Ulisse, ma di Telemaco che va alla ricerca del padre. Ogni uomo fa una ricerca di se stesso e questa incomincia con il confronto con la generazione precedente e serve come termine di paragone, ma se questo padre non c’è, a partire da che cosa scopro la mia originalità? E si badi bene che per originalità non intendo il suo significato corrente...... cioè eccentricità...

          L'originalità ha che fare con le origini. I ragazzi cercano dei padri tra gli adulti per capire da cosa distanziarsi. Ogni figlio lo fa incominciando a chiedere spazi e tempi propri, ma se non hai nessuno a cui chiederli come fai?E' perchè oggi i padri sono assenti?

          E da qui nasce il senso di abbandono perché non si sa dove andare e la vita non viene percepita come un progetto che ti fa staccare dalla casa. Io me ne andai a 18 anni da casa non perché ero un ribelle, ma perché i miei genitori mi lasciarono libero di prendere il largo dopo questo percorso di distacco.Dunque se i figli sono dei bamboccioni è colpa dei loro padri?

A volte i figli diventano una soddisfazione per i genitori: o li trattieni troppo a te o li trascuri.Quali sono i padri che possono dare questa opportunità se i padri biologici non ci riescono?

          Non servono surrogati, la stagione delle ideologie è in archivio: servono dei padri veri nonostante la crisi della famiglia: oggi non c'è quantità nei rapporti perché i ritmi di lavoro non lo permettono, ma bisogna che i padri di oggi investano in qualità. Il ragazzo deve guardare quel nucleo attraverso cui osservare il mondo, ma il nucleo deve essere protetto, coltivato e amato. Però in generale è padre chiunque riesca a proteggere questo nucleo.Lei che padri ha avuto?

          Tanti, ad esempio don Giuseppe Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia. Aveva un ruolo di guida, di potere e lo viveva in un'ottica di servizio. Invece oggi si esercita un paternalismo egoista, che altro non è che una forma di controllo. Come a dire: “Ti comprendo, ma ti tengo sotto controllo perché mi servi”.Chi sono i padri della letteratura da riscoprire?

Sono sempre gli stessi: Omero, Dante, Shakespeare...I classici.

          Li chiamiamo così proprio perché sono dei padri. Una volta instaurai un bel rapporto con un alunno difficile. Gli dissi: “Leggiti Dostoevsky. E' uno dei miei autori preferiti, poi ne parliamo”.Come è andata?

          Stiamo ancora continuando il discorso. Il fatto è che i padri della letteratura sono tali perché hanno le parole per possederti nel momento in cui tu ti identifichi e dici: “Ecco, questo sono io. Ecco cosa ci stiamo a fare”.E lei come insegnante è padre?

          Cerco di esserlo, ma so che il mio compito è quello di proteggerli dall’esterno e sfidarli dall’interno. I ragazzi vanno protetti a volte da loro stessi perché si sentono incapaci, dunque bisogna promuovere la bellezza che in loro non vedono, ma vanno sfidati nel campo delle qualità: se un alunno può dare 8 devo chiedergli dieci, magari mi dà 9, ma se gli chiedo sette lo sto prendendo in giro.Un insegnante che ama il proprio lavoro, che non si lamenta dei tagli alla scuola, dei colleghi, dei ragazzi, del magro stipendio. Come si fa?

          Sono i ragazzi stessi che non sopportano chi non è professionale. Amare i giovani vuol dire che io sono implicato nella loro vita e questo richiede che ogni giorno mi devo mettere in gioco e continuamente reinventarmi.Domanda marzulliana, ma decisiva: si sente un insegnante che fa lo scrittore o uno scrittore che insegna?

          Un insegnante. La scrittura è arrivata come conseguenza: ho capito a poco a poco che le due cose hanno un'origine comune. Raccontare storie è ciò che faccio anche in classe.Nel primo libro ha affrontato il tema del dolore. Perché oggi non sappiamo soffrire?

          Perché del dolore non si parla. Quando incontrai i produttori del film da cui è tratto il libro mi dissero che avevo scritto un romanzo trasgressivo. Sa perché?Perché?

Perché sono un insegnante che ama il suo lavoro, che parla di dolore e di Dio.Bè, allora, trasgressioni ordinarie.D'altra parte come si fa a non affrontare le ombre della vita quotidiana?In quanto a Dio, immaginiamo i soliti cliché.E' perché c'è una domanda su Dio, che però va tematizzata non solo come domanda sulla fede. I ragazzi mi scrivono perché sono alla ricerca di un senso che abbracci la loro vita. La nostra società spesso ti dà degli strumenti, ma non ti spiega a che cosa servono. Così quando la vita ti presenta il conto non sappiamo perché.Domanda impertinente. Non teme di essere classificato come il Moccia dei cattolici?Le etichette sono il privilegio di voi giornalisti perché fa sempre comodo incasellare. Rispedisco al mittente la provocazione. Mi sono ritrovato a scrivere a questo tipo di pubblico perché è questo che vivo adesso, ma questo è un libro trasversale. Se è tra i primi dieci della narrativa italiana non può non parlare che a più generazioni. E poi il libro che sto scrivendo ora parla di 30enni.D'accordo, ma il mercato editoriale vive di fissazioni. E uno scrittore cattolico rischia sempre l'etichetta...Come ci si attrezza?Questa cosa del cattolicesimo come colpa mi infastidisce. Cattolico vuol dire universale, dunque se cattolico significa affrontare la realtà a 360° mi sta bene, ma se qualcuno ci vede una lezione di catechismo, bè, semplicemente non è il mio ruolo.Oggi nel mondo della scuola e dell'impresa sono richieste sempre più competenze tecniche. Il mercato richiede ingegneri, tecnici specializzati, il saper fare. Le discipline umanistiche sono in crisi e un laureato in lettere se non un disoccupato è destinato a diventare un precario a vita. Non è più sufficiente dire: fai quello che ti piace. Che cosa consiglia ai suoi ragazzi?

          Il problema è l'emergere del talento in ogni ragazzo. E' sposare ciò che ti piace fare con ciò che sai fare. Che senso ha incoraggiare una ragazza che vuole ballare, ma che non sa ballare perchè non ha il talento?Allora, fai quello che serve al mercato?

          Se avessi ascoltato tutti quelli che mi consigliavano di fare il dentista o che mi dicevano che facendo l'insegnante sarei morto di fame, sarei stato frustrato e adesso non sarei qui a fare questa intervista. E poi, diciamolo, ha letto “Non per profitto” di Martha Nussbaum?L'elogio del pensiero umanistico...

          La tecnica la usiamo e i ragazzi si sentono nello spazio e nel tempo perché hanno l'I-phone, ma quando si rompe l'I-phone? Se non spieghi il senso per cui lo usi sei fregato.Allora che cosa risponderà in classe?

          Guardate a ciò che sapete fare, a quel talento nascosto che vi fa aprire al mondo con la vostra curiosità.

Andrea Zambrano

http://www.labussolaquotidiana.it

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