Dalla pillola anticoncezionale alla Ru486 sono passati cinquant'anni. Forse davvero un ciclo si è chiuso. Forse faranno fatica a spingersi più in là. Cos'altro potranno inventarsi sul fronte della “salute riproduttiva” e della vita nascente?
del 12 aprile 2010
 
          Quando un mese fa, nella riunione di redazione, decidemmo di titolare la puntata mensile “E l’uomo creò la pillola”, non potevamo immaginare la bagarre che si sarebbe scatenata, di lì a poco, attorno alla Ru486, la pillola dell’aborto chimico. Sta di fatto che abbiamo colto nel segno. Abbiamo cioè individuato uno dei temi “sensibili” con i quali tanto la società italiana quanto la politica non possono non fare i conti da subito.
 
          Per non parlare delle coscienze individuali chiamate a valutare una possibilità nuova messa a disposizione dalla scienza per una delle pratiche umane più antiche, ma anche più cariche di dolore e di sofferenza. Dunque, un percorso pubblico e privato pieno di insidie e di scelte.
          La vicenda della Ru486 è a suo modo emblematica perché pone in rilievo tutte le contraddizioni che noi abbiamo voluto mettere in fila e che registrano l’affollarsi di interrogativi, dai quali dipende anche una parte essenziale del futuro di tutti noi. Volendo elencare, solo per titoli, le conseguenze che l’introduzione dell’aborto chimico nel sistema sanitario pubblico reca con sé, dobbiamo ricordare innanzitutto quelle attinenti alla sfera della “salute riproduttiva”, ci sono poi quelle economiche, sociali, relazionali, culturali e politiche. Ultime, non meno importanti, quelle antropologiche ed etiche. Tutto questo troverete negli approfondimenti che arricchiscono la puntata.
          A noi, però, preme offrire una chiave di interpretazione generale: con l’aborto chimico si avvia a chiudersi, in Italia, un ciclo storico-culturale-antropologico cominciato molti anni fa, nel lontanissimo 1961. In quell’anno approdò e si diffuse in Italia la pillola anticoncezionale, la pillola delle avanguardie femministe che hanno legato a quella molecola l’affermazione della liberazione della donna. In realtà quella pillola portò con sé il primo grande strappo fra sessualità e procreazione che ha trovato slancio e si è proiettato sino ai nostri giorni guadagnando spazi nella legislazione (pensate alla procreazione medicalmente assistita) e nel dibattito pubblico (fecondazione eterologa, Pma estesa alle coppie gay e ai single, adozione a coppie gay).
          Come vedete tutto si tiene e affonda le radici in quel primo atto, apparentemente liberatorio, in realtà foriero di profondi cambiamenti socio-culturali. Sull’onda della pillola anticoncezionale l’Italia ha vissuto la stagione del divorzio (1970/74) e poi dell’aborto sino al varo della legge 194 (1978). Fra i cui obiettivi anche quello di portare alla luce i drammi degli aborti (tutti allora clandestini) e di garantire alle donne condizioni di tutela della salute per pratiche che spesso venivano realizzate in condizioni disumane. L’aborto, dunque, sottratto al privato e al nascondimento per essere “tutelato” dallo Stato. E perciò fatto riaffiorare socialmente. Ecco, però, come in un’eterogenesi dei fini, irrompere un’altra pillola, la Ru486 a risospingere l’aborto nel mondo privato delle donne. Si discute, infatti, della possibilità di favorire l’assunzione della pillola in regime di day hospital. In tal caso, le donne potranno tornare a casa per consumare, in solitudine, il dramma dell’aborto.
          Sorpresa: chi sostiene questa soluzione? Sì, sono sempre loro: quelli che hanno sponsorizzato la pillola anticoncezionale, la scissione fra sessualità e procreazione, hanno alimentato il mito dell’aborto come frontiera della libera scelta individuale, hanno trascurato la parte preventiva della legge 194 perché interessava solo far abortire. E oggi, stanchi di praticare aborti, se la sbrigano così: la donna venga in ambulatorio, prenda una pilloletta e vada ad abortire da sola a casa.
          Irresponsabili? No, semplicemente cinici. E cultori dell’autodeterminazione assoluta che lascia la donna, nel caso dell’aborto, sola davanti alla consumazione del proprio dramma. Così come vorrebbero che fossero soli, gli uomini e le donne del nostro tempo, dinanzi alla scelta di morire mediante l’eutanasia.
          Dalla pillola anticoncezionale alla Ru486 sono passati cinquant’anni. Forse davvero un ciclo si è chiuso. Forse faranno fatica a spingersi più in là. Cos’altro potranno inventarsi sul fronte della “salute riproduttiva” e della vita nascente? Sin dove potranno e vorranno spingersi nella loro ricerca della “leggerezza” che sconfina nel cinismo? Il mondo in una pillola? No, grazie.
Domenico Delle Foglie
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