Rubrica di educazione a cura di Richard Kermode.
Capita al mattino di fare qualche passo in cortile, ed assistere a scenette deliziose, ve ne regalo una, che ha una certa frequenza.
Il papà arriva a scuola, parcheggia e scende, va ad aprire la portiera opposta, fa scendere la figlia, uno scricciolo di non più di 7 anni. Il papà intanto aziona il baule che magicamente si solleva. Il papà prende lo zainetto, direttamente proporzionale alle dimensioni della sua padroncina. Il papà, novello cavalier servente, fa indossare con grazia lo zainetto sulle spalle della figlia, le dà un bacio sulla fronte e le dice «ti voglio bene». La bambina aggiusta un po’ meglio lo zainetto, il papà prontamente le dà una mano; nuovamente un bacetto e la frase «ti voglio bene». Sembra tutto a posto… sembra. La bambina si incammina per la via – perigliosa – che la porterà dai suoi compagni, traversata di qualche decina di metri… ma un impulso irrefrenabile del padre la ferma e per la terza volta, tre è numero sacro per il logos biblico, consegna la formula della vita: «ti voglio bene». Tutto bene? Certo! Salutiamo volentieri questo oceano di sensibilità e di emotività… ma, da grande appassionato del bans “C’è un buco nel secchio”, sento che qualcosa non funziona, forse manca qualcosa? Forse…
Il mio demone personale mi ferma per un po’ su quanto la realtà mi ha donato, perché non essere soddisfatto di vedere dei genitori così affettuosi nei confronti dei figli?
Mumble… mumble… si scriveva in Topolino quando uno dei personaggi pensava.
Poi un’intuizione… ammesso che lo sia veramente: ma quella bambina sa aprire la portiera da sola a 7 anni? Sa aggiustarsi da sola lo zainetto sulle spalle? Un dubbio amletico: saprà allacciarsi la scarpa da sola? La sottolineatura va sul “da sola”… e infine l’illuminazione (sfioro il nirvana): tre «ti voglio bene», potevano valere almeno una, una sola, volta: «fai la brava, mi raccomando»?
Livello altro della vita, comunque da tenere in vita… Pensieri educativi mattutini…
So long!
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