Sul piano civile 18 Paesi africani hanno istituito Commissioni Verità e riconciliazione, per arrivare a una giustizia di transizione e creare un futuro con il perdono...
del 28 ottobre 2009
Nelle piccole comunità ecclesiali del Congo viene chiamato msimamizi wa amani (in swahili «responsabile della pace»). È un uomo o una donna da tutti riconosciuto/a come persona di grande fede, con il dono particolare di facilitare la pace: un vero «ministro» che mette a servizio della comunità cristiana il carisma di rappacificare individui, gruppi, famiglie che per anni hanno litigato per un insulto o un'offesa ricevuta e mai perdonata.
 
 
In Africa rivolgersi a un tribunale civile non sempre dà risultati: la sentenza finale spesso non spegne il desiderio di vendetta. Per i cristiani, invece, domandare a un msimamizi wa amani di intervenire in una disputa non solo non ha tariffe, ma è nel Dna di ogni comunità. Tanto è vero che in ogni incontro di cristiani - a cominciare dal più importante, l'Eucaristia festiva - c'è un invito costante, da parte della Parola di Dio, a rimanere in pace o a ritrovare la pace perduta.
 
Dal 4 al 25 ottobre i vescovi africani, in rappresentanza delle loro comunità, sono convocati a Roma da Benedetto XVI per il secondo Sinodo continentale a riflettere su: «La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace». Negli ultimi vent'anni il continente ha attraversato guerre e conflitti di ogni genere. Sul piano civile 18 Paesi africani hanno istituito Commissioni Verità e riconciliazione, per arrivare a una giustizia di transizione e creare un futuro con il perdono. La Chiesa non solo ha incoraggiato il sorgere di queste commissioni, ma vuole ora far scaturire una spiritualità e una cultura di perdono e riconciliazione.
 
Una lezione per tutta la Chiesa. Compresa quella italiana. È sensazione diffusa che le nostre comunità abbiano molta strada da fare per passare da una compattezza formale a un'unità sostanziale, riconciliandosi al loro interno, anche a prezzo di un confronto severo. Solo una Chiesa capace di far pace al suo interno, re-inventando spazi e dinamiche di dialogo e confronto reali, può proporsi come strumento di pace dentro e a servizio di una società segnata da frammentazione, dissidi, tensioni notevoli.
           
Perdonare significa rinunciare al diritto del risentimento per storie passate e impegnarsi a formare un rapporto diverso, nel segno della fraternità e della solidarietà. Eppure, nonostante gli sforzi recenti per renderlo più sociale e aggiornato, il sacramento della riconciliazione rimane troppo spesso legato all'individuo. Recuperare la dimensione comunitaria e sociale della riconciliazione ci pare una priorità che il Sinodo dell'Africa ripropone con urgenza.
 
Ebbene, noi missionari crediamo che la figura del «ministro straordinario della riconciliazione» allargherebbe il ventaglio dei ministeri come servizio alla comunità cristiana italiana. Se in Africa si litiga per un pezzo di terra o per una capra che ha rovinato un raccolto, nelle nostre assemblee condominiali fedeli cattolici, che poi si incontrano alla Messa festiva, si azzuffano su cose di poco valore ma che lasciano strascichi di incomprensioni e tensioni. Una Chiesa riconciliata al suo interno, dove i membri imparano a fare il primo passo - chiedendo o accettando il perdono - è una Chiesa più vera e credibile. Perché la Chiesa italiana non fa sua l'esperienza delle giovani Chiese africane, preparando uomini e donne, operatori e operatrici di pace, per il «ministero straordinario della riconciliazione» in ogni comunità parrocchiale?
 
Federazione Stampa Missionaria Italiana
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