Sulle Ande del Perù ho trovato giovani dell'Operazione Mato Grosso, alcuni sono là da anni, senza stipendio, senza alcuna assicurazione sulla vita, senza preoccupazione per la pensione. Sono là per i poveri, con i poveri, condividendo la loro vita, curando la salute, l'istruzione, la formazione al lavoro, alla famiglia, cercando con loro di passare dal buio di chi vive senza speranza all'incontro con Gesù, che illumina la vita e dà respiro al futuro.
del 26 gennaio 2008
Nei miei viaggi in terra di missione per motivi pastorali, ho incontrato dei giovani stupendi, che mi hanno dato una carica di speranza, che mi porto dietro quando incontro altri giovani spenti, demotivati, indifferenti.
I giovani sono come degli stupendi «Serassi» (i famosi organi a canne dei secoli scorsi!), che hanno bisogno di qualcuno che dia loro fiato, per eseguire armonie, che si portano dentro da sempre.
Sulle Ande del Perù ho trovato giovani dell’Operazione Mato Grosso, alcuni sono là da anni, senza stipendio, senza alcuna assicurazione sulla vita, senza preoccupazione per la pensione. Sono là per i poveri, con i poveri, condividendo la loro vita, curando la salute, l’istruzione, la formazione al lavoro, alla famiglia, cercando con loro di passare dal buio di chi vive senza speranza all’incontro con Gesù, che illumina la vita e dà respiro al futuro.
 Alcuni di questi giovani hanno fatto una scelta totale di dono: sono diventati sacerdoti, i preti dei poveri. Qualcuno è morto per testimoniare la carità. Giulio è stato ucciso perché la carità è contro la rivoluzione.
Altre ragazze sono diventate «madri» dei poveri più poveri, quelli più abbandonati, gli ammalati più gravi, che nessun ospedale accetta. Hanno scelto di essere suore oranti in un convento di clausura andino che richiama i nostri di san Benedetto.
Non sono pochi questi italiani in America Latina: li trovi in Brasile, in Ecuador, in Bolivia, là dove «Lazzaro» sta fuori dalla porta del ricco, per averne almeno le briciole. Con questi giovani non stanno fuori casa ma siedono al banchetto con loro e da loro hanno ricevuto dignità, per dirla con don Bosco «pane, lavoro e paradiso».
Chi ha fatto risuonare il loro cuore è stato un prete valtellinese, padre Hugo De Censi, un artista dell’immagine, del colore, ma soprattutto uno che vive a cuore aperto, con il solo desiderio di salvare Dio da chi lo vuole eliminare dall’orizzonte dei giovani, salvare Dio nella carità, salvando il povero.
Giovani stupendi ho trovato anche tra i miei educatori e ragazzi di Arese, da dove è partita l’Operazione Mato Grosso, ma da dove è partito Gigi che con la moglie Chiara sta lavorando con i ragazzi di strada di Addis Abeba; da dove è partito il progetto Rwanda, che in Massimo e Angela, nei Barabba’s Clowns ha cuore e anima. Lavorano per la gente di Musha, dove il genocidio ha ucciso più di mille giovani della parrocchia salesiana. L’anno dopo la strage, che ha insanguinato il paese dalle mille colline, Massimo ha dato il via all’opera di fraterna solidarietà, che ha ridato agli orfani una casa, una scuola e alle famiglie la possibilità di riprendere il lavoro nei campi.
E i Barabba’s sono stati laggiù come erano stati prima sulle Ande, in Bosnia, in Georgia e tra i gitani della Spagna. Sono gemme queste che ci assicurano che l’albero dell’umanità è ancora vivo. Non bisogna disperare dei giovani, almeno fino a che ci sono degli adulti che danno fiato a questi stupendi, meravigliosi «Serassi» del nostro tempo.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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