Davide: la vocazione come autenticità

La vocazione, per definizione, è la rivelazione della nostra identità, di quello che siamo chiamati a essere. Ma se l'evento vocazionale è proposta di una particolare rassomiglianza con Dio, ne consegue che ogni chiamata è anche rivelazione di Dio. Così è nel caso della vocazione di Davide.

Davide: la vocazione come autenticità

da Teologo Borèl

del 25 ottobre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

 “L’uomo guarda all’apparenza, il Signore guarda il cuore”.

          La vocazione è rivelazione dell’identità più autentica della persona, ma è anche rivelazione della vera natura di Dio. Il cuore dell’uomo, e quello di Dio: il primo scrutato nella sua verità dallo sguardo “cordiale” del Dio chiamante; il cuore di Dio che invita l’uomo ad amare sulla sua stessa lunghezza d’onda, in piena libertà, per essere unici e grandi nella propria piccolezza.

          La vocazione, per definizione, è la rivelazione della nostra identità,  di quello che siamo chiamati a essere, per realizzare sempre più quell’immagine e somiglianza di Dio secondo la quale siamo stati creati. Qualsiasi catechesi vocazionale sottolinea questo punto.

          Ma se l’evento vocazionale è proposta di una particolare rassomiglianza con Dio, ne consegue che ogni chiamata è anche rivelazione di Dio, di un particolare aspetto della sua identità, o magari di un suo modo d’essere e di agire con l’uomo.  

Così è nel caso della vocazione di Davide.

Il pi√π giovane

          Quando Samuele è inviato da Dio a scegliere e ungere il nuovo re tra i figli di Iesse, Davide non è nemmeno convocato. È il più piccolo della famiglia e dall’aspetto insignificante, al punto che suo padre lo manda a pascolare il gregge, mentre i suoi fratelloni vengono presentati al profeta, con la speranza ognuno di essere il prescelto. Ma il Signore non guarda all’apparenza come l’uomo, bensì al cuore (1 Sam 16,7). E l’ultimo diventa il primo, il pastore è scelto come unto del Signore. 

          È lo strano stile di Dio, che anzitutto segnala un suo modo singolare di guardare alla realtà: l’uomo guarda all’esteriorità, si lascia impressionare da quel che appare a prima vista, Dio si pone in contatto col cuore, ne legge desideri e intenzioni, magari anche paure e rigidità. E al cuore rivolge la sua proposta, perché lui l’ha fatto, lui vi ha posto una straordinaria sete d’infinito e d’eterno. La sua chiamata è la risposta a quella sete. Ed è rivolta al cuore anche perché è lì che l’uomo si decide o no per Dio. 

Ecco perché occorre che ognuno torni al proprio cuore, impari a guardarlo e scrutarlo, per cogliervi sguardo e voce del Dio chiamante.

Il pi√π debole

          Seconda scena: Davide dinanzi a Golia. Ovvero il gigante possente dinanzi all’adolescente un po’ raffinato, suonatore di cetra; il guerriero armato fino ai denti contro il pastore munito di fionda e cinque ciottoli, ma con una certezza rassicurante: “Tu vieni a me con le armi…, io vengo a te nel nome del Signore”. E nel nome del Signore il ragazzino fulvo di capelli e di bell’aspetto abbatte quell’armadio d’uomo con tutto il suo armamentario. 

          È ancora lo stile di Dio, o la strana e pur vincente “teologia del nulla”, come la chiama qualcuno. Il nulla dell’uomo attira sguardo e azione di Dio. Il quale ama agire nell’impotenza dell’uomo, soprattutto ama l’uomo che si fida così tanto di lui da sfidare il Golia della situazione e buttarsi in imprese impossibili. 

Oggi non c’è crisi vocazionale, semmai c’è crisi di questo tipo di fiducia. E prevale così, purtroppo, la paura dinanzi ai vari Golia. 

Invidia vocazionale

          Ma le difficoltà più grosse per Davide non vengono tanto dai nemici di Israele o dall’esterno, ma dal suo popolo, da chi un tempo egli aveva difeso e per il quale aveva combattuto. È sconcertante l’agire di Saul che a un certo punto si lascia prendere dai peggiori sentimenti nei suoi confronti e lo perseguita, tenta addirittura di ucciderlo… Anche Saul era stato chiamato dal Signore, anche lui aveva sperimentato la potenza dell’Altissimo agire nella sua debolezza, ma ora non sopporta che un altro possa succedergli ed essere considerato migliore di lui (“Saul ne ha uccisi mille, Davide i suoi diecimila”, cantavano le donne). 

          È l’invidia vocazionale. Terribile virus di antiche radici, evidentemente. Che ignora un dato fondamentale: ogni vocazione è la più bella e la più grande per chi è chiamato, perché è fatta proprio per lui e solo per lui. Non esiste il confronto delle vocazioni, con relativa graduatoria. È cosa imbecille, perché la chiamata di Dio non è per la carriera del singolo, né nel suo Regno c’è competizione, i suoi “posti” non sono a concorso né sono contati, ed è altra la logica delle chiamate divine, è la grammatica del dono di sé e della rinuncia a quell’autorealizzazione che è il sogno stupido e disperato di chi deve provvedere per suo conto alla propria vita. Ma non è il caso del cristiano. 

Amicizia vocazionale

          C’è un altro bellissimo aspetto nella vita e nella vocazione di Davide: l’amicizia con Gionata. Esattamente il contrario dell’invidia vocazionale. E che fa onore soprattutto a Gionata, il figlio del re, che magari avrebbe potuto avere qualche motivo per ingelosirsi di Davide, giovane come lui e molto più valente e capace di lui. E invece gli vuol bene, gode dei suoi successi, condivide con lui i propri beni, lo difende dal padre invidioso fino a correre qualche rischio per lui…

          Che è la cosa più logica e naturale per chi vive l’amicizia nel Signore: essere chiamati a lavorare nella sua vigna dovrebbe far nascere spontanei sentimenti di amicizia e fraternità fra coloro che sono chiamati. Poiché la causa è la stessa, e il successo dell’uno è gioia per l’altro. Nessuno qui lavora per sé, e tutti invece faticano non solo per la salvezza di tutti, ma perché ognuno si senta responsabile della salvezza dell’altro.

Il non vendicativo

          Infine sottolineiamo un ulteriore aspetto di Davide nella sua relazione con Saul, di cui è chiamato a prendere il posto, e da cui è costantemente attaccato. Davide ha più volte la possibilità di rifarsi nei confronti di colui che lo opprime e attenta alla sua vita; ma non si permette mai la minima offesa nei confronti di colui che Dio ha scelto, e semmai rimprovera e persino fa uccidere chi gli racconta, credendo sia cosa a lui gradita, di avere eliminato il re. Quando Saul muore Davide intonerà un lamento sincero.

          È una bella dimostrazione di libertà interiore. Quel Dio che guarda al cuore e non all’apparenza ha dato a Davide un cuore grande, capace di accogliere il male senza restituirlo. Come il cuore di Dio. Ogni vocazione è chiamata ad amare col cuore di Dio!

Amedeo Cencini

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