L'approvazione della maggioranza è solo uno dei fattori che entrano in gioco nelle scelte di tipo etico e politico, dove s'impegna il cuore stesso della libertà umana. E questo è tanto più vero nelle scelte religiose. All'epoca delle persecuzioni romane essere cristiani era una scelta piuttosto minoritaria e impopolare. Applicando la teoria rigida dell'identificazione sociale, i cristiani sarebbero dovuti sparire rapidamente. Come sappiamo, è successo precisamente il contrario.
del 05 aprile 2011
 
 
          La settimana scorsa l'americana Northwestern University - non conosciutissima in materia di religioni, ma che deve avere un formidabile ufficio stampa - è arrivata sui principali quotidiani italiani con due studi piuttosto curiosi.
          Il primo, criticabile per il campione relativamente esiguo sulla cui base si pretendono di trarre conclusioni generali, ci spiega che la religione fa male perché fa ingrassare. Se vai in chiesa o preghi stai seduto e sottrai tempo alla fitness. Tesi curiosa nel paese, gli Stati Uniti, dove migliaia di “runner cristiani” pregano mentre continuano a correre.
          Il secondo studio ci spiega che la religione è in via di estinzione. A metà del secolo in Occidente le persone religiose saranno solo il 30%, nel 2100 non sarà rimasto quasi nessuno. Le proiezioni sono realizzate tramite dati di nove Paesi: Australia, Austria, Canada, Repubblica Ceca, Finlandia, Irlanda (nell’articolo: il comunicato stampa parla di «Islanda»), Olanda, Nuova Zelanda e Svizzera. Ci si assicura che anche gli Stati Uniti, nonostante le apparenze in contrario, si stanno lentamente conformando a questo modello.
          Vorrei concentrarmi su questo studio, anche perché ho l’impressione che nessuno di quelli che lo hanno commentato in Italia lo abbia letto nella sua versione integrale. Ci si è limitati, come avviene spesso, a commentare un comunicato stampa ripreso dalle agenzie. Se invece si legge l’articolo, si scopre anzitutto che gli autori sono un matematico, Richard J. Wiener, e due ingegneri, Daniel M. Abrams e Haley A. Yaple. Nessuno di loro si è mai occupato di sociologia delle religioni.
          L’articolo mostra un notevole virtuosismo nell’uso di equazioni che sono in effetti diffuse nelle scienze sociali. Ma mostra anche una desolante lontananza dai dibattiti in materia di religione e - oserei dire - di fenomeni sociali in generale. L’unica ipotesi sociologica che i tre autori citano è quella dell’identificazione sociale, secondo cui i costi sono minori e i benefici maggiori se ci si affilia a un gruppo popolare e in crescita rispetto a un gruppo non popolare e in declino. Per questo, una volta conseguita, la popolarità diventa essa stessa uno strumento di proselitismo. Nel comunicato stampa si è citato l’esempio di Facebook: se tutti i miei amici sono iscritti a Facebook, sarò incline a iscrivermi anch’io. Se il gruppo di coloro che disprezzano Facebook è ultraminoritario tra le mie conoscenze, non troverò socialmente attraente continuare a farne parte.
          Questo è vero, ma nello stesso tempo è vecchio. La sociologia ha da tempo dimostrato che le mode passano e che crescono le affiliazioni sociali a gruppi che garantiscono reali benefici. Per esempio, il gruppo delle persone che usano Internet cresce costantemente mentre decresce il numero di coloro che non lo usano: questo avviene perché Internet garantisce reali vantaggi, non solo perché usando Internet si diventa popolari tra gli amici. Lo stesso vale per il gruppo di chi viaggia in aereo, o di chi usa un telefono cellulare. Modelli socio-matematici che giudichino della crescita di certi gruppi con puri parametri statistici senza considerare il contenuto dell’offerta del gruppo sono vittima di una forma ormai nota di fallacia psicologica.
          Inoltre, quando parliamo di Internet, degli aerei, dei telefoni cellulari e anche di Facebook parliamo di prodotti tecnologici, di strumenti. Le cose si complicano ancora quando parliamo di idee e di affiliazioni culturali o politiche. Qui è del tutto evidente che la teoria dell’identificazione sociale funziona fino a un certo punto. Applicandola nel modo meccanico di Wiener, Abrams e Yaple dovremmo concludere che se in un paese della Lombardia la Lega Nord è al 60%, e cresce ogni anno, in quel paese è socialmente molto più attraente essere leghista che antileghista. Dunque fra vent’anni tutti gli abitanti di quel paese - tranne forse alcuni rari asociali disinteressati all’identificazione con i valori e le idee dei loro vicini - saranno leghisti.
          In pratica però le cose non vanno così, perché l’approvazione della maggioranza è solo uno dei fattori che entrano in gioco nelle scelte di tipo etico e politico, dove s’impegna il cuore stesso della libertà umana. E questo è tanto più vero nelle scelte religiose. All’epoca delle persecuzioni romane essere cristiani era una scelta piuttosto minoritaria e impopolare. Applicando la teoria rigida dell’identificazione sociale, i cristiani sarebbero dovuti sparire rapidamente. Come sappiamo, è successo precisamente il contrario.
          Wiener e i suoi colleghi non ci dicono in realtà nulla di nuovo. Che la religione sia in via di estinzione ce lo raccontano scienziati laicisti da oltre un secolo. Fu Alfred Russell Wallace (1823-1913), il biologo darwinista gallese, a scrivere agli inizi del secolo XX che «il futuro evolutivo della religione è l’estinzione». Chi ragiona così e cerca un conforto statistico deve, anzitutto, selezionare alcuni Paesi dove il numero delle persone che si dichiarano non religiose in effetti cresce. Se mette dentro la Francia e la Repubblica Ceca otterrà più facilmente un pronostico infausto per la religione. Osservo peraltro che lo studio fa una certa confusione fra persone «non religiose» e persone «non affiliate a una Chiesa».
          Una rapida lettura di un manuale di sociologia delle religioni avrebbe convinto il matematico e i due ingegneri che non si tratta della stessa cosa. Altro è misurare il believing, cioè le credenze religiose, altro il belonging, cioè l’appartenenza a una Chiesa o la frequenza a un rito domenicale. In un libro scritto a quattro mani dal più illustre sociologo delle religioni viventi, Rodney Stark, e dal sottoscritto - Dio è tornato (Piemme, Casale Monferrato 2003) - abbiamo spiegato come anche nel presunto «Paese più ateo del mondo», l’Islanda, un’ampia maggioranza della popolazione non va in chiesa ma condivide un solido plesso di credenze religiose.
          Stiamo dunque parlando non di una crisi «della religione» ma «dell’affiliazione a una Chiesa» o della frequenza alle funzioni religiose. Questa crisi c’è - particolarmente nei Paesi dello studio, e in una certa e controversa misura anche in Italia - ma le previsioni sul futuro condotte secondo equazioni lineari sono certamente sbagliate. Le equazioni lineari usate nello studio misurano la crescita delle persone «non affiliate a una Chiesa» - che dunque non sono semplicemente «non religiose» - in un arco di tempo più o meno ampio secondo i dati disponibili, fino a un massimo di cento anni. Si suppone poi che questo tasso di crescita si mantenga costante nei prossimi cento anni e si arriva alle previsioni sull’estinzione «della religione» (in realtà, della frequenza ai riti religiosi).
          Ma è la supposizione che è sbagliata. Applicando le stesse equazioni lineari Stark ed io ci siamo divertiti a mostrare come - se il tasso di crescita dei mormoni nel mondo, Cina e India escluse, si mantenesse inalterato - alla fine del secolo XX oltre metà della popolazione mondiale - sempre a eccezione di quella cinese e indiana - sarebbe mormone. Se un matematico nel 1990 avesse calcolato il tasso di crescita fra il 1950 e il 1990 dei Testimoni di Geova in Italia, e avesse supposto che si sarebbe mantenuto costante fra il 1990 e il 2010, avrebbe facilmente concluso che nel 2010 i Testimoni di Geova in Italia sarebbero stati almeno il 30% della popolazione. Sono invece rimasti sotto l’uno per cento. Tornando all’esempio politico precedente, se nel Nord Italia la Lega continuasse a crescere alle elezioni con lo stesso tasso di crescita degli ultimi dieci anni, nel 2030 sarebbe inutile fare le elezioni perché la Lega avrebbe il cento per cento dei voti.
          Tutto questo ci dice che le equazioni lineari in religione non servono, e neanche in politica. Né è sufficiente introdurre alcuni correttivi cui pure gli autori fanno cenno. I processi politici e religiosi sono tipici processi sociali che si autolimitano. Tassi di crescita troppo alti generano fenomeni di reazione, e possono anche rapidamente convertirsi in tassi di decrescita. Se le persone che si dichiarano non affiliate a una Chiesa sono passate dal 25% al 50% in cinquant’anni in Francia, questo non significa che passeranno dal 50% al 100% nei prossimi cinquant’anni. Molto semplicemente, il mondo reale non è il mondo della matematica. I sociologi delle religioni lo hanno scoperto da tempo, tanto che oggi moltiplicano i titoli non sull’estinzione ma sul «ritorno» o la «rivincita» della religione, sul «reincanto del mondo» e sulla «de-secolarizzazione».
          Questo significa che tutto va bene per la religione? No, certamente. Ci sono casi limite come la Francia, la Repubblica Ceca e l’Olanda - peraltro molto diversi tra loro - che chiamano in causa anche scelte pastorali sbagliate delle Chiese. Più che degli atei militanti - come è emerso anche nelle parole del Papa al Cortile dei gentili di Parigi - occorre preoccuparsi dei troppi indifferenti, che mantengono qualche credenza religiosa ma con la Chiesa non hanno più alcun contatto. Ma si tratta di cosa affatto diversa dalla presunta estinzione della religione, che è solo un’illusione ottica e il frutto di una cattiva scienza.
Massimo Introvigne
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