Mi sto cercando, ma non mi trovo. Sbaglio ogni giorno eppure non faccio nulla per evitare di sbagliare, continuo a ripetere gli stessi errori. Scusi per lo sfogo, scusi per le mie paranoie e grazie infinite.
del 18 novembre 2009
 
 
 
“Per comprendere gli altri e me stesso, ho deciso di cominciare a considerare non le loro azioni ma i loro desideri” (Cechov).
 
 
 
 
Proseguo il tentativo di inoltrarmi nel cuore del giovane d’oggi, tra contesto nichilista e desiderio di senso, desiderio insito nella struttura dell’io, desiderio che spezza le catene del nulla.
Utilizzo il testo di un componimento scolastico, uno dei tanti testi della sterminata, sconosciuta e meravigliosa letteratura giovanile.
 
“Ho il terrore di crescere, di cambiare, di invecchiare. La mia morte non mi fa paura, anzi a volte vorrei correre verso di lei, per vedere cosa ci sarà e scappare dal dolore che si insidierà piano piano nella mia vita. Spero davvero che stia nascendo una nuova F., perché quella che sono
ora non l’accetto più... non accetto più la continua insoddisfazione per la mia vita e per chi mi
circonda. Quello che più mi manca e sento il bisogno di avere per vivere serenamente, con la speranza e la fiducia che dopo la fine ci sarà l’eternità, è la fede che in fondo non ho.
Vorrei che Dio mi desse un cenno, un segno, perché credo che solo così potrò avere fede. Invece niente. Dove è Dio??? Non lo sento, né vicino a me, né dentro me. Oggi a messa mi sentivo una
bugiarda, un’ipocrita, a recitar preghiere e rispondere durante l’offertorio a cose che non comprendo, a cose di cui in realtà non colgo una verità. Guardavo i bambini, completamente distratti e distanti dalla messa, facevano altro e mi chiedevo il perché fossimo lì tutti a pregare qualcosa che non sentiamo. La vita deve essere bellissima se si ha fede, se si crede in
qualcosa, invece la mia è piena di paure, di ansie ed è vuota spiritualmente.
Ho un vuoto dentro che credo nessuno potrà mai colmare. Non so cosa è l’amore, perché per me non passa da Dio. Vedo il papa come un deficiente e tutti i suoi ministri allo stesso modo (scusi la schiettezza, mi perdoni) e non desidero vederli in altro modo. Voglio avere la fede, quella per cui non serve andare a messa, la voglio sentire dentro, cerco un rapporto con Dio, cerco la
fiducia e la speranza. Sono sbagliata profe, non sto bene con me stessa, mi sembra che la mia vita sia solo un palcoscenico su cui recito e basta. Non sento la mia anima, né il mio cuore, lo sento sugli altri ma non in me stessa, non so chi sono, non mi conosco veramente. Faccio pensieri osceni che non riesco a controllare, mi sento sempre fuori posto. Da bambina era diverso. Era bello. Lei dice che sono riuscita a mantenere l’innocenza di un bambino, ma a me non basta.
Mi sto cercando, ma non mi trovo. Sbaglio ogni giorno eppure non faccio nulla per evitare di sbagliare, continuo a ripetere gli stessi errori. Scusi per lo sfogo, scusi per le mie paranoie e grazie infinite”.
 
Ti rispondo in modo personale, con la tua stessa schiettezza. Innanzitutto ti ringrazio per avermi detto queste cose: sfogati, butta fuori tutto quello che vuoi chiarire, perché questo è l’inizio del cambiamento. Ho pensato a lungo a queste parole e nel momento più intenso mi sono accorto… che stavo vuotando i sacchi della pattumiera, puzzava e stavo lavando i contenitori. La vita è così: non devi scandalizzarti dei tuoi limiti e di quelli degli altri (il papa, i preti, i bambini distratti, i pensieri osceni…): tutte le cose più grandi le vedrai sempre convivere, realizzarsi dentro dei limiti, delle circostanze banali.
 
Come puoi dire di essere “spiritualmente vuota”? Tutte le domande che hai sono una ricchezza spirituale. Dio è amore, quando si ama si intuisce Dio. A Gesù sulla croce i farisei dicevano: “Dacci un segno che sei Dio, dov’è il tuo Dio?”. Lo denigravano: l’hanno così tentato che anche lui è caduto nella sfiducia. Dio l’ha lasciato morire, perché condividesse la sorte degli uomini fino in fondo. Ma è risorto: ecco il segno. Se al dolore e alla morte sei già arrivata, ora devi sperimentare la resurrezione: la vittoria sul male. Reciti? Tu sei capace di accettare situazioni difficili, sei grande, sarebbe razionalmente più comprensibile se non lo facessi: hai già vinto i limiti della natura umana.
 
L’uomo è incapace di non commettere errori, sempre gli stessi: non è questo il punto, tu ne senti il dolore e questo è tutto, questo è più grande del non riuscire a evitarli.
Tu hai doni e ricchezze spirituali enormi: vai alla radice della tua umanità, guarda solo quello, dove il cuore si sente sfinito, ha sete, grida, ha bisogno. Questo desiderio è come l’alba di un giorno di luce infinito e, nella lacrima che ti scende dagli occhi, Gesù piange perché tu Lo riconosca. Non devi fare niente: solo vivere fino in fondo i tuoi desideri.
 
Chi sono io? Cosa sono? Chi sei tu? Cosa sei? Sono il mio cuore, sei il tuo cuore… Esso è essenzialmente desiderio: di amare, di essere amato… in ciò sta la felicità.
Io ti guardo così: per ciò che sei, io vedo questo in te.
 
E so una cosa: non riesco, non posso non pensare al destino di questo tuo desiderio. Destino vuol dire: prospettiva, destinazione, verità. Chi o cosa compie, realizza, soddisfa esaurientemente il tuo desiderio. Nessun uomo, nessun essere umano basta ad un altro uomo, ne è il senso, il compimento… né padre, madre, figlio, marito, moglie,… nessuno, nessuno. Amare la verità è riconoscere questo: il nostro desiderio è infinito, la soddisfazione di questo non può che essere infinita. Il nostro destino è Dio, Lui cerchiamo, di Lui abbiamo sete. Bisogna andare al fondo. Bisogna percorrere la strada, anche quando è sacrificio, anche quando non si capisce. Se Dio non ci fosse, la prima evidenza per me è che tutto sarebbe niente, perché il destino naturale di tutto è la fine, che finisce, tutto finisce in polvere, cenere.
 
Posso dire “tutto” a te, al tuo volto, perché Dio esiste, perché tutto ha un destino buono e il tuo destino è tutto: tu sei il tuo destino. Il tuo destino è Dio, perché il tuo essere è immagine e somiglianza di Dio. Tutto ciò che esiste ha origine e fine in Dio, ne è segno, impronta, derivazione.
 
Implicare Dio significa amare con più verità, desiderando l’un per l’altro il compimento del bene intravisto, amare fino in fondo, dove si capisce che l’amore è ciò che fa dire: “tu sei tutto”, tutto, il tuo cammino va verso un destino più grande. Tu sei tutto, tutto, e io ti offro tutto di me, la mia vita, la mia sofferenza, la mia anima. Ti chiedo di cercare la verità.
 
L’insoddisfazione per la propria vita è l’inizio del cambiamento: leggi i capitoli dell’Innominato. La tua inquietudine è Dio che ti sta cercando e ti chiede di aprirti alla pace che vuole darti e che nemmeno immagini.
 
Dice Pavese: “E’ facile essere buoni quando non si è innamorati… Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra – che già viviamo – e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi… Com’è grande il pensiero che ogni sforzo è inutile! Basta lasciare affiorare il nostro io, accompagnarlo, dargli mano, come se si trattasse di un altro: avere fiducia che noi siamo più definitivi di quanto noi non sappiamo… Dato che conoscere gli altri (e l’unica vera conoscenza avviene per identificazione amorosa) è un arricchimento, chi si rifiuta di amarli (=conoscerli) s’impoverisce. Di qua nasce la pienezza giovanile, ché nell’intemperanza di quell’età si prova il brivido della conoscenza universale… La felicità è inseparabile dalla dedizione di sé agli altri… si è felici soltanto uscendo da se stessi”.
 
E’ facile conoscere: occorre amare!
 
Matteo Lusso
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