In questi giorni, allora, pesiamo le nostre discipline, affinché suscitino veri desideri e pensiamo a stimolare attraverso la nostra presenza virtuosa e virtuale profonde domande di senso nei nostri studenti.
di Marco Pappalardo
Pesare e pensare. Dopo diversi giorni di attività didattiche fuori dalle mura scolastiche, pesare e pensare mi sembra che siano due verbi adatti per continuare il percorso e migliorare. Ho letto e ascoltato i commenti di studenti, di docenti, di dirigenti, di genitori su come sia questo fare scuola a distanza, e le riflessioni in merito potrebbero andare in varie direzioni. Eppure mi ritornano sempre davanti i due verbi come chiave affinché dal lato non si esageri o non si faccia neanche troppo poco, mentre dall’altro si colga l’occasione ed il tempo in più per lo sviluppo della persona. Ora che più o meno abbiamo preso le misure con gli alunni, è necessario fermarsi ed operare una verifica partendo dal punto fermo che non è possibile né sano modellare la didattica su quella in aula, per esempio mantenendo l’orario, il cambio degli insegnanti, ecc. Non è del resto neanche una corsa all’istituto che deve mostrare a tutti l’eccellenza dei metodi e della tecnologia, poiché non c’è proprio bisogno di questo adesso! E non si vuole – speriamo - neppure sfruttare tale condizione forzata per recuperare quanto non svolto nei mesi precedenti o andare a chiudere i programmi persino in anticipo. Pesare e pensare ci serve per capire che siamo in un tempo così complesso per tutti che la staticità, la routine, il tutto come si è sempre svolto, la voglia di mantenere la normalità non sono la soluzione migliore per attutire il colpo. Del resto ci stiamo accorgendo tutti che la cosiddetta scuola tradizionale, tanto odiata almeno a parole, quando ci viene tolta per forza e per bisogno, ci manca terribilmente. E non è neanche la tecnologia usata e tutte le applicazioni possibili, nonostante i grandissimi sforzi della maggior parte dei docenti, a poter offrire quanto di utile veramente per una scuola che sia scuola con la “S” maiuscola pur stando a casa. Riceviamo sicuramente moltissimo, superiamo un enorme ostacolo, ci sembra quasi di essere vicini, eppure è un altro mondo, non il nostro, estraneo persino ai cosiddetti nativi digitali. Certo i ragazzi ci seguono, si collegano, scaricano materiale, svolgono le prove, ci inviano i compiti svolti; ma qual è la loro vera domanda in questo tempo? Possibile che sia solo la richiesta di come affrontare un testo o in esercizio, o magari come o dove scaricare un documento o un video? Ogni domanda nasce dal desiderio di qualcosa e ogni desiderio è un segno vitale, non sempre però si sanno esprimere le domande o dar voce ai desideri, a volte perché non ci sono spazi e momenti per tirare fuori se stessi. In questi giorni, allora, pesiamo le nostre discipline, affinché suscitino veri desideri e pensiamo a stimolare attraverso la nostra presenza virtuosa e virtuale profonde domande di senso nei nostri studenti. Paradossalmente è una condizione favorevole per riappropriarci tutti di qualcosa di prezioso: gli insegnanti della passione educativa e della docenza come atto creativo, gli studenti dello studio come passione e dell’apprendimento come azione di libertà e non costrizione.
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