Dio che vieni

Sei tu l'eterno avvento, che deve sempre venire, e non vieni mai in modo da adempiere ogni aspettativa? Sei tu l'irraggiungibile lontananza a cui vanno pellegrini tutti i tempi e tutte le generazioni e la nostalgia di ogni cuore, per vie che non hanno fine; sei tu il lontano orizzonte attorno alla terra del nostro lavoro e del nostro patire, sempre ugualmente lontano, dovunque si spinga il nostro cammino?

Dio che vieni

da L'autore

del 01 gennaio 2002

Ecco, è di nuovo avvento nell'anno della tua Chiesa, mio Dio. E le preghiere della nostalgia e dell'attesa ci escono ancora dal cuore, i canti della speranza e della promessa. E dolore e nostalgia e fedele aspettativa s'addensano ancora nella invocazione: vieni!

Strana preghiera. Tu sei già venuto e hai piantato fra noi la tua tenda, hai diviso con noi la nostra vita con le sue piccole gioie, la sua lunga monotonia e l'amara sua fine. A che ti potevamo più invitare con il nostro « vieni»? Ti potevi avvicinare di più di così a noi col tuo avvento, che sei entrato tanto nel nostro povero mondo, che non ti ritroviamo quasi più in mezzo agli altri uomini, o Dio che ti sei chiamato il figlio dell'uomo. E tuttavia noi preghiamo: vieni. E tuttavia questa preghiera ci sale dal cuore, come un tempo ai patriarchi, re e veggenti, che videro solo da lungi il tuo giorno e lo benedissero. E' solo che noi celebriamo l'avvento, o è avvento sempre in verità? Sei tu davvero già venuto? Tu stesso, proprio quello che la nostra nostalgia voleva, quando invocavamo colui che deve venire, il Dio forte, il padre del secolo futuro, il principe della pace, la luce e la verità e l'eterna beatitudine? Nella prima pagina della Sacra Scrittura è già promesso il tuo avvento, e, pure, nel suo ultimo foglio, a cui nessuno più se n'ha ad aggiungere, sta ancora la preghiera: vieni, Signore Gesù.

Sei tu l'eterno avvento, che deve sempre venire, e non vieni mai in modo da adempiere ogni aspettativa? Sei tu l'irraggiungibile lontananza a cui vanno pellegrini tutti i tempi e tutte le generazioni e la nostalgia di ogni cuore, per vie che non hanno fine; sei tu il lontano orizzonte attorno alla terra del nostro lavoro e del nostro patire, sempre ugualmente lontano, dovunque si spinga il nostro cammino? Sei tu solo lo eterno presente, a tutto ugualmente vicino e da tutto lontano, che comprende ogni tempo e ogni vicissitudine nella sua indifferenza? O non vuoi tu affatto venire, poi che tu possiedi ancora ciò che noi eravamo ieri e oggi non siamo più, e dall'eternità hai superato il nostro più remoto futuro? Tu ci sfuggi sempre nella infinità sterminata, che riempi della tua realtà, sempre doppiamente lontano di quanta strada abbiamo battuto, e insanguinato, cercando la tua eternità! Ti s'è avvicinata di nulla l'umanità, da quando, da mille e mille anni, s'aprì al dolcissimo e terribile ardimento di mettersi alla tua ricerca? E io mi sono avvicinato a te nella mia vita, o non è ogni vicinanza che ho conquistato, in fondo, solo più la forte amarezza che la tua lontananze mesce alla mia anima? Siamo noi condannati a restarti sempre lontani, forse, perchè tu, Immenso, ci sei sempre vicino, e non hai bisogno di avvicinarti a noi, nè c'è luogo alcuno a cui tu debba ancora cercare la via.

Tu mi dici che in verità sei già venuto: Gesù, figlio di Maria, è il tuo nome, e io dovrei sapere luogo e tempo dove trovarti. Oh, perdonami, Signore; chiamalo piuttosto un andare questo tuo venire. Ti sei velato « in forma di servo, e, trovato come uno di noi», tu, Dio nascosto, silenzioso e inosservato, sei entrato nelle nostre file e sei andato con noi che andiamo sempre, e non arriviamo mai, poiché ogni nostro arrivo è solo un toccare il termine: la fine. E noi t'invochiamo tuttavia: vieni, vieni tu che non vai, che non passi mai perchè il tuo giorno non ha sera, la tua realtà non ha fine; vieni tu perchè noi, noi siamo sempre in questo andare, in via verso la fine.

Noi t'invochiamo perchè disperiamo di noi, e poi, più spesso, quando tranquilli e coscienti ci rassegniamo al nostro essere finito. Abbiamo invocato la tua infinità e solo dal tuo avvento, Dio infinito, ci è rimasta speranza di una vita infinita. Perchè gli uomini, quelli almeno cui tu hai donato l'ultima speranza di questa vita, hanno imparato che era inutile quello sforzo a cui ci spingeva l'angoscia della nostra impotenza, per tentare noi, effimeri, per mille vie, di sottrarci alla sorte di questo nostro essere e arrivare a qualcosa di eterno. Ma ogni nostro sforzo è inutile, e noi non ci possiamo rimediare da noi stessi; e perciò abbiamo invocato su di noi la tua realtà, la tua verità, la pienezza della tua vita; abbiamo invocato la tua sapienza, la tua giustizia, la tua bontà, la tua compassione, perchè venissi tu a demolire i limiti in cui siamo chiusi, a cambiare in ricchezza la nostra povertà, in eternità il nostro tempo.

E tu ci hai promesso che verresti, e sei venuto. Ma come sei venuto, e cosa hai fatto? Hai assunto a tua propria vita una vita umana, in tutto simile a noi: nato di donna, hai patito sotto Ponzio Pilato, fosti crocifisso, morto, sepolto. Hai assunto quanto noi fuggiamo; hai cominciato anche tu quello che volevano finisse con la tua venuta; la nostra vita e l'impotenza, l'intima angustia e la morte. Proprio questa natura umana hai assunto, non per trasformarla, per eliminarla, o per divinizzarla visibilmente, o per sommergerla almeno in quei beni che noi, come umani beni eterni, cerchiamo di strappare, con lavoro e dolore, al campo piccolo e avaro del nostro tempo. Hai assunto la nostra vita, così com'è. L'hai trascorsa così come noi sulla terra; e l'hai toccata con tanto riguardo, che non versasse una sola goccia del suo dolore, della sua angustia, prima che tu la gustassi tutta. Il rullo compressore della cieca natura è passato anche sulla tua vita, come pure la consapevole cattiveria umana. E se dalla tua realtà umana alzavi lo sguardo a colui che con verità e con ardente amore chiamavi padre, vedevi, come noi, il Dio delle vie Incomprensibili, dei giudizi imperscrutabili, che porge il calice e lo £a passare così come a lui piace. E non c'è in eterno nessun perchè che mostri i motivi di questa volontà, che poteva volere altrimenti e ha voluto quello che è l'incomprensibile per me. Dovevi venire a redimerei da noi stessi, e tu, unico libero e senza confini, sei diventato anche tu « come noi». So bene che sei rimasto quello che eri, ma... non hai avuto orrore tu immortale della nostra morte, tu infinito della nostra angustia, tu verità della nostra parvenza di essere? Ti sei crocifisso da te alla creatura: ti sei unito, vicino e stretto, e hai assunto a tua propria vita quello che prima" quasi lontano, avevi solo disteso come fondo oscuro alla tua luce inaccessibile. Non è la croce del Golgota solo l'immagine visibile di quella che ti sei esteso da te negli spazi eterni?

Questo dunque è il tuo avvento? Ed è a questo avvento che gli uomini hanno elevato quell'unica immensa invocazione, quel coro sterminato che è la storia intera? Ché, anche chi bestemmia invoca in questo coro. E' dunque finita la nostra miseria dacché tu hai pianto? Non è una forma di disperazione, la più orribile, questa rassegnazione al nostro essere finito, da quando nella tua umanità hai pronunciato con noi la tua parola di rassegnazione? E la nostra via che non vuol finire, trova la sua fine beata solo perchè tu cammini con noi? Ma come, Signore? Come diviene riscatto da se stessa la nostra vita, solo perchè è diventata la tua vita? Come ci puoi riscattare dalla legge, proprio perchè sei anche tu sotto la legge (Gal. 4,5)? La mia rassegnazione alla mia vita inizia forse la redenzione dall'angustia che mi opprime, dacché essa è divenuta il mio amen alla tua vita umana, a questo tuo avvento, che ha deluso ogni mia aspettazione? Che serve dunque che il mio destino sia partecipazione del tuo, se sei tu che ti sei appropriato il mio? O forse tu hai fatto della mia vita solo l'inizio del tuo venire, l'inizio della tua vita?

Io torno lentamente a capire, ciò che già sapevo: tu stai sempre venendo; la tua comparsa in forma di servo è l'inizio del tuo avvento che ci redime dalla servitù che tu hai assunto. Le strade che tu percorri hanno una fine; l'angustia in cui tu entri si apre e si dilata; la croce che tu porti diventa il segno del trionfo. Tu non sei veramente venuto: tu vieni: dalla tua incarnazione al compimento del tempo non è che un momento, anche se s'aggiungono millenni a millenni per compire, benedetti da te, solo un istante di questo momento. E' il momento unico dell'unica tua opera, con la quale tu, nella forza della tua vita umana, ci abbracci tutti e ci riconduci in patria, nell'ampiezza della tua vita eterna. Dacché tu t'accingesti a quest'opera, ultima della tua creazione, nulla di nuovo può accadere più, in seno al tempo: ché in fondo al cuore delle creature tutti i tempi posano già, « poi che a noi è giunta la consumazione dei secoli» ( 1 Cor. 10, 4) , e non c'è più che un solo tempo iu questo mondo: il tuo avvento. E quando quest'ultimo giorno tocca il suo termine, non c'è nessun tempo più, ma tu solo e la tua eternità.

Se sono le opere che maturano il tempo, e non il tempo che sostiene e prolunga le cose, se solo una realtà nuova può evocare un tempo nuovo, allora un nuovo e ultimo tempo s'è aperto con la tua incarnazione. E che potrebbe più accadere, che questo tempo non ti porti già in seno? Che noi veniamo a partecipare di te? Sì, ma questo è appunto accaduto quando tu ti degnasti di partecipare la nostra umana natura. Noi diciamo che tu devi di nuovo venire. Ed è, vero. Ma non è propriamente un « nuovo» venire; poiché nella umanità che hai assunto in eterno per. tua, non ci hai mai lasciato. Solo deve rivelarsi sempre più che tu sei veramente venuto, che le creature sono già mutate nel loro cuore, poi che tu le hai prese nel tuo cuore. Ma devi venire sempre più; deve manifestarsi sempre più ciò che in fondo 'ad ogni essere è. già accaduto, deve consumarsi la falsa apparenza che la finitudine non sia ancora libera da quando tu l'hai assunta a tua vita. Ecco: tu vieni. Non un passato né un futuro: è il presente che si adempie. E' sempre la sola ora del tuo venire; e quando essa tocchi la sua fine, avremo fatto anche noi l'esperienza che sei venuto. Fa che io.. viva in questo tuo avvento, affinché io viva in te, o Dio che vieni. Amen.

Karl Rahner

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