Dio. Non è facile parlare di Dio, noi che abbiamo eretto un pantheon di idoli: denaro, sesso, affari, potere, prestigio, successo. Parlare di Dio in questa Europa che si è rifiutata di mettere il suo nome in capo alla sua Costituzione.C'è chi uccide in nome di Dio, chi vive ‚Äòcome se Dio non esistesse', mentre avanza silenziosa una letale indifferenza che colpisce Dio nel cuore delle masse.
del 14 settembre 2007
Dio. Non è facile parlare di Dio, noi che abbiamo eretto un pantheon di idoli: denaro, sesso, affari, potere, prestigio, successo. Parlare di Dio in questa Europa che si è rifiutata di mettere il suo nome in capo alla sua Costituzione.
C’è chi uccide in nome di Dio, chi vive ‘come se Dio non esistesse’, mentre avanza silenziosa una letale indifferenza che colpisce Dio nel cuore delle masse.
Kolakowski, un filosofo polacco, afferma: “Il mondo senza Dio si presenta come un caos opprimente, eterno. È un mondo amputato di ogni senso, direzione, punti di riferimento. Un mondo alla deriva”.
E un grande profeta, Henri de Lubac ammonisce. “Non è vero che l’uomo possa organizzare la terra senza Dio. È vero invece che, senza Dio, non si può che organizzarla contro l’uomo”.
Aveva ragione Martin Buber, il filosofo ebreo, quando scriveva nei suoi frammenti autobiografici: “Dio è la più pesante di tutte le parole umane. Nessun’altra è tanto imbrattata, tanto lacerata. Di generazione in generazione, con i loro partiti religiosi, gli esseri umani hanno lacerato questa parola: per essa hanno ammazzato e per essa sono morti. Una parola che conserva ancora le impronte delle loro dita e del loro sangue. Sono uomini che dicono buffonate e che firmano con il nome di Dio; si ammazzano gli uni gli altri, e sempre nel nome di Dio”.
 
 
L’esplosione del sacro selvaggio 
“Nel Medioevo – nota Massimo Introvigne, uno dei più competenti studiosi di nuove religioni – la ragione ha dapprima cercato in inglobare la fede, quindi ha preteso di farne a meno, infine l’ha combattuta in modo esplicito. Nell’epoca post-moderna si rovescia questa scenario. L’epoca della crisi della ragione è il tempo in cui si ripresenta una fede non necessariamente cristiana – talora superata, a diverso titolo e in diverso grado, dalla ragione”.
È il tempo della New Age, dei ‘nomadi spirituali’ che stanno ancora cercando la carovana giusta, delle sette che proliferano prosperose. La secolarizzazione ‘quantitativa’ avanza, ma si fa più insistente il richiamo del sacro e il risveglio del senso religioso, pentecostali americani in testa. La profezia di alcuni sociologi che presagiva il crollo del religioso sotto l’urto della società industriale, della scienza e della tecnica, si rivela fallimentare. Giovanni Paolo II traccia i caratteri di questa post-modernità. “Il tempo delle certezze sarebbe irrimediabilmente passato, l’uomo dovrebbe imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso, all’insegna del provvisorio e del fuggevole. Parecchi autori, nella loro critica demolitrice di ogni certezza contestano anche le certezze della fede” (Fides et Ratio, 91). In breve: siamo allo sbando.Su questo panorama esplode la ’magia’ dell’11 settembre 2001, con le due torri giganti che sprofondano su se stesse, travolgendo nel crollo duemila vittime: un evento che segna profondamente la coscienza dell’Occidente.
 
 
“Assenza di Dio – Ossessione del divino” 
Un panorama articolato, quello della post–modernità. Con spinte religiose opposte.
“Assenza di Dio, ossessione del divino: sembra una formula adatta a rendere in estrema sintesi il clima religioso prevalente da qualche tempo in Italia e in Europa in generale. Assenza di Dio in quanto calo vistoso della rilevanza pubblica della pratica religiosa e del suo influsso sociale. Ossessione del divino in quanto ‘persistenza della religiosità, nonostante le previsioni di ateismo generale e di secolarizzazione totale avanzate, sognate o temute negli anni ’60 in particolare, una persistenza tipicamente individuale, un fenomeno di interiorità, esaltato ed evidenziato nella diffusione di nuove religioni e in un nuovo senso del sacro” (V. Croce, Trattato del Dio cristiano, Elledici, Leumann 2004). Si diffida della ragione pur esaltandola. Si diffida della verità stessa, negandole il diritto di esistere e mettendola anzi sotto accusa. Umberto Eco parla di ‘passione morbosa per la verità’. ‘Vivere senza certezze’ è il nuovo slogan. Contrattacca papa Wojtyla: “Credere nella possibilità di conoscere una verità universalmente valida non è affatto fonte di intolleranza. Al contrario è condizione necessaria per un dialogo sincero e autentico. Soltanto a queste condizioni è possibile superare le divisioni e percorrere insieme un cammino verso la verità tutta intera” (Fides et Ratio, 92).
 
 
Il Dio pallido del deismo 
Il deismo è una corrente religiosa sorta in Europa, particolarmente in Inghilterra e Francia, tra il Seicento e il Settecento.
Sì, Dio esiste, afferma il deismo. Esiste come Causa Prima, Creatore e Ordinatore dell’universo e dell’uomo. Ma a creazione compiuta, questo Dio si è ritirato nel suo cielo, chiuso nella sfera della sua assoluta trascendenza. “Il gran Celibatario dei cieli” dicevano sprezzanti gli spiriti liberi. Lascia la creazione al suo destino, uomo compreso. È un Dio freddo, che non scalda il cuore. Il deismo condanna ogni Chiesa storica, come il cristianesimo, in nome della ragione e della libertà di coscienza. Nota Daniel Rops, il noto scrittore cattolico. “Nato in Inghilterra, il deismo conserva un Dio, ma lontano diluito, pallido, che non interviene nella città degli uomini e non esige un atto di fede. A questo Dio ignoto, che si comincia a chiamare Essere Supremo, non si riconosce nessuna qualità e nessun potere. Se egli impone una religione, è una religione naturale, vecchia come il mondo, e nella quale tutti i credo si confondono”.
Tipica è l’affermazione di Einstein che professò una religione ‘cosmica’, di ispirazione buddhista. “Il sentimento religioso di uno spirito profondamente devoto alla scienza, è uno stupore estatico di fronte all’armonia delle leggi della natura, che rivelano una intelligenza talmente superiore che, confrontato ad essa, tutto il pensiero e l’agire degli uomini appare del tutto insignificante”. È una pagina scritta per il New York Times Magazine, 9 novembre 1930, citata in Einstein di A. Bertino, Accademia Sansoni, Milano 1971.
Accade ancora oggi di sentire affermare da scienziati, medici, uomini di cultura, che il Dio in cui credono è l’Essere Supremo, il Principio Ultimo, l’Assoluto trascendente.
In una ricerca recente sulla religiosità dei giovani di oggi, condotta dall’Istituto Yard in Italia, risulta che mentre il 64,4% si ritrova nella religione cattolica, l’11,3% crede in una Entità Superiore, senza riferimento a nessuna religione (cfr. Civiltà Cattolica, 15 aprile 2006). Si noti la differenza radicale tra la concezione di Dio del deismo e quella della tradizione ebraico–cristiana. Mentre il Dio del deismo è del tutto indifferente alla vicenda umana, il Dio biblico, al contrario, è un appassionato dell’uomo, come ci insegna papa Ratzinger nella sua prima enciclica ‘Dio è amore’, un amore in cui eros e agape confluiscono. Un Dio che ha camminato nel deserto con il suo popolo di elezione, Israele; un Dio che donandoci il suo stesso unico Figlio, Gesù Cristo, si è fatto uomo tra gli uomini per camminare con loro sulle strade aspre della vita, al punto di sacrificare la sua vita per loro. Un Dio che ci accoglie nel suo Regno, figli nel Figlio.
 
Ateismo scientifico e ateismo umanistico
Un chiarimento iniziale. Si parla spesso e ateismo e agnosticismo. Sono due posizioni differenti.
L’ateismo è la negazione radicale di Dio, negazione che assume colorazioni diverse: l’ateismo scientifico è diverso da quello umanistico.
L’agnosticismo è l’atteggiamento di chi sospende il suo giudizio perché di Dio non possiamo dire nulla, in quanto è un discorso che sfugge alle categorie umane e quindi inaccessibile alla mente dell’uomo. L’agnosticismo è oggi forse la posizione dominante nel mondo della cultura, perché meno drastico nelle sue conclusioni.
 
 
L’ateismo scientifico 
Si basa sull’autonomia assoluta delle branche del sapere scientifico (fisica, astrofisica, chimica, neurobiologia, genetica, ecc.). Si radicalizza nel conflitto tra scienza e fede. La filosofia che sottostà a questo rifiuto di Dio è quella tipica dell’Ottocento: il materialismo positivista. Per dirla con Engels e la concezione marxista, l’unica realtà del mondo è la materia, assoluta, eterna, infinita, in continua evoluzione. Non c’è posto per valori spirituali come Dio, fede, religione, ecc.
 “A partire dal secolo di lumi fino ad oggi - ha affermato Giovanni Paolo II - il caso Galileo ha costituito una sorta di mito. Era il simbolo del preteso rifiuto da parte della Chiesa del progresso scientifico o dell’oscurantismo dogmatico opposto alla libera ricerca della verità. Un mito che ha influenzato i secoli successivi fino ad oggi”. Ma che ormai appartiene al passato.
Occorre tuttavia riconoscere con il card. Poupard, che ha presieduto la Commissione vaticana per lo studio del caso Galileo: “Per quanto limitato sia oggi l’ateismo scientifico, non si può negare che la sua influenza sui modi di pensare e di agire dei nostri contemporanei sia grandissima. Le mirabili realizzazioni della tecnica con la diffusione di una mentalità scientifica non critica hanno generato un sentimento di esaltazione prometeica che conduce, da una parte, ad una diffidenza profonda davanti alle affermazioni scientificamente incontrollabili della fede, e dall’altra, a una autoaffermazione di sé, dove Dio appare come rivale dell’uomo”.
Una ricerca condotta da Achille Ardigò e Franco Garelli nel 1989 sulla religiosità degli esponenti della ricerca scientifica in Italia, quasi tutti docenti universitari, ha dato i seguenti risultati: atei 21,5%; agnostici 25,2%; deisti 18%; credenti in un Dio unico e personale 18% (Valori, scienza e trascendenza, Edizioni Fondazione Agnelli, Torino 1989). Recentissima l’ennesima fiammata dell’ateismo scientifico. Piergiorgio Odifreddi, matematico illustre, si presenta con un pamphlet Perché non possiamo essere cristiani (e men che meno cattolici). Richard Dawkins, il noto cosmologo britannico, esce con The God Delusion, Margherita Hack, astrofisica, non si lascia scappare occasione per proclamare la sua fede ateista, ecc.
 
 
L’ateismo umanistico 
Si fonda sulla proclamazione dell’autonomia radicale dell’uomo, della sua assoluta libertà fuori da ogni condizionamento. E il grande Condizionatore sarebbe Dio. Più recente di quello scientifico, è sorto nei secoli XIX e XX ed è tuttora vivissimo. Il dilemma di fondo è: o Dio o l’uomo, o la grandezza di Dio o la grandezza dell’uomo. Dio, in breve, è il grande Concorrente dell’uomo. Il quale vuole riappropriarsi della pienezza della sua libertà e dignità a costo di eliminare Dio.
Feurbach, il filosofo ispiratore di Marx, affermava. “Solo un uomo povero ha un Dio ricco… Bisogna dirigere e orientare sull’uomo la capacità di adorazione e di culto del cuore dell’uomo. L’uomo è il Dio dell’uomo”.
Proseguendo in questa logica si afferma a tutt’oggi che Dio è una creazione dell’uomo e non viceversa. Dio è insomma una proiezione dell’uomo che aliena in lui i valori di libertà e grandezza esclusivi dell’uomo.
 
 
Enzo Bianchi: “La spiritualità dell’ateo” 
Sul tema del dialogo in questione si è espresso, con una presa di posizione condivisa dalle due sponde, Enzo Bianchi, il priore di Bose. Titolo: ‘La spiritualità degli atei’. Ne diamo qualche stralcio. “Agnostici e atei non credono in Dio, non si sentono coinvolti da questa presenza perché non la sentono reale, ma sono consapevoli che invece le religioni che professano Dio fanno parte della storia umana, della società, del mondo. Come essi non trovano ragioni per credere, altri invece le trovano e sono felici; gli uni pensano che questo mondo basti loro, gli altri sono soddisfatti di avere la fede. Ma proprio questo fa dire che l’umanità è una, che di essa fanno parte religione e irreligione e che, comunque, in essa è possibile, per credenti e non credenti, la via della spiritualità. Spiritualità intesa non in senso stretto religioso, ma come vita interiore profonda, come fedeltà-impegno nelle vicende umane, come ricerca di un vero servizio agli altri attenta alla dimensione estetica e alla creazione di bellezza nei rapporti umani. Spiritualità soprattutto come antidoto al nichilismo che è lo scivolo verso la barbarie: nichilismo che credenti e non credenti dovrebbero temere maggiormente nella sua forza di negazione di ogni progetto, di ogni principio etico, di ogni ideologia”.
E qui Bianchi afferma decisamente la possibile presenza di una spiritualità del non credente. “No al nichilismo, dunque, ma allora emerge l’urgenza di riconoscere la presenza di una spiritualità anche negli atei e negli agnostici, capaci di mostrare che, se anche Dio non esistesse, non per questo ci si può permettere tutto: persone che sanno scegliere cosa fare in base a principi etici di cui l’uomo, in quanto tale, è capace. E la grande tradizione cattolica chiede ai cristiani di riconoscere che l’uomo, qualsiasi essere umano, proprio perché secondo la nostra fede è creato a immagine e somiglianza con Dio, è capace di discernere tra bene e male in virtù di un indistruttibile sigillo posto nel suo cuore e della ragione di cui è dotato. I non credenti sono capaci di combattere l’orrore, la violenza, l’ingiustizia; sono capaci di riconoscere ‘principi’ e ‘valori’, di formulare diritti umani, di perseguire un progresso sociale e politico attraverso una autentica umanizzazione”. E conclude: “Vorrei che noi cristiani potessimo ascoltare atei e agnostici, potessimo confrontarci con loro, senza inimicizie, soprattutto attraverso un confronto delle nostre spiritualità, di ciò che in profondo ci muove nel nostro agire. Lo spirito dell’uomo è troppo importante perchè lo si lasci nelle mani di fanatici e di intolleranti, oppure di spiritualità alla moda. Certo, ogni religione si nutre di spiritualità, ma c’è posto anche per una spiritualità senza religione, senza Dio” (la Repubblica, 28 febbraio 2007).
Interessante, su questo tema, la proposta di Bertinotti di dotare la Camera di una ‘stanza della meditazione’ sul modello di quella allestita al Parlamento tedesco. “Penso a un luogo di ispirazione ecumenica in cui tutti possano interrogarsi sul senso dell’esistenza, tanto più di fronte al precipitare delle barbarie, ai segni delle guerre e dei terrorismi che lacerano la comunità umana. Tutti, anche gli atei che si affacciano ai grandi temi della vita”.
 
 
Il Dio di Gesù Cristo nella visione trinitaria 
“All’Angelus del 10 settembre 1978 papa Giovanni Paolo I affermò: “Dio è papà, più ancora, è Madre”. La cosa suscitò scalpore di tipo giornalistico, ma invitò pure a riflettere su un tema che la teologia femminista americana agitava da tempo in modo polemico, qualificando come patriarcalista la concezione di Dio come Padre, derivata da una presunta lettura maschilista della Bibbia” ( V. Croce, ivi, 171). Nella Bibbia, soprattutto nell’A.T., troviamo immagini di un Dio paterno, materno e anche sponsale, vivacemente sviluppate dai profeti Osea ed Ezechiede. Jahveh ama il suo popolo con tenerezza infinita. L’alto senso della trascendenza di Dio permette all’Autore sacro di usare con libertà sovrana le metafore più ardite, appunto quelle della generazione e dell’allattamento, della gelosia e della passione amorosa, scrive perfino che Dio grida come una partoriente.
Ha sorpreso, nella ricerca di Dio, l’intervento di Benedetto XVI che sia nella sua prima enciclica Deus caritas est, sia nel Messaggio per la Quaresima 2007, ha parlato di un Dio in cui eros e agape sono presenti. “L’amore di Dio è anche eros”. Dio è appassionato dell’uomo, innamorato della sua creatura. L’amore di Dio per l’uomo non si esaurisce nell’amore paterno–materno, ma assume i toni e i colori dell’amore sponsale. Dio anela a un rapporto intimo e profondo con l’uomo, Dio non è felice se non entra in sintonia profonda con l’uomo.
“L’amore di cui Dio ci circonda è senz’altro agape perché tutto ciò che l’uomo è ed ha è dono divino, ma è anche eros”, amore ardente per la sua creatura. “I testi biblici – afferma papa Ratzinger citando Osea ed Ezechiele, – indicano che l’eros fa parte del cuore di Dio: l’Onnipotente attende il sì delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa. Purtroppo – continua il papa – fin dalle sue origini, l’umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all’amore di Dio nell’illusione di una impossibile autosufficienza; Dio però non si è dato per vinto, anzi il ’no’ dell’uomo è stato come la spinta decisiva che l’ha indotto a manifestare il suo amore in tutta la sua forza redentrice. È il mistero della Croce”.
E qui il papa punta il suo discorso su Gesù Cristo, il Figlio del Padre, donato a noi fino al sacrificio estremo. Tanto che il papa esclama: “Quale più ‘folle’ eros di quello che ha portato il Figlio di Dio a unirsi a noi fino al punto di soffrire come proprie le conseguenze dei nostri delitti?”. E Benedetto XVI conclude: “Cristo trafitto in croce! È lui la rivelazione più sconvolgente dell’amore di Dio, un amore in cui eros e agape si illuminano a vicenda. Sulla Croce è Dio stesso che mendìca l’amore della sua creatura”. Sulla Croce il Dio pallido e assente del deismo, ricupera il suo vero volto. È il Dio di Gesù Cristo.
A siglare l’amore del Padre e del Figlio ecco lo Spirito Santo. Amore reciproco e vicendevole tra Padre e Figlio. Per la riflessione dell’Occidente lo Spirito Santo è il vincolo dell’amore eterno, colui che unisce il Padre e il Figlio : “Ecco sono tre: l’Amante, l’Amato e l’Amore” dice Sant’Agostino. Per la sapienza dell’Oriente lo Spirito è “l’estasi di Dio”, colui nel quale il Padre e il Figlio escono da sé per donarsi nell’amore.
“Senza lo Spirito, che è disceso sul Cristo e da lui è stato effuso su ogni carne, la salvezza dell’uomo resterebbe incompiuta: l’abisso che ci separa nel tempo dagli eventi pasquali della risurrezione, rimarrebbe incolmato, e lo stesso Gesù si ridurrebbe a uno splendido modello lontano da noi, ma non sarebbe il Vivente in noi e per noi. Lo Spirito attualizza l’opera del Cristo, rendendola presente ed operante nella varietà della storia umana: egli è lo ‘Spirito di verità’, lo Spirito cioè della fedeltà di Dio, che raggiunge le diverse situazioni storiche e le redime tutte nel suo amore trasformante e vivificatore” (Bruno Forte).
Con il mistero trinitario si chiude il cerchio della nostra salvezza. E Dio ritorna all’orizzonte dell’uomo per salvarlo ancora con il suo amore.
 
Carlo Fiore
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