DIO PADRE, FIGLIO E SPIRITO Tratto da "Lettera ai cercatori di Dio"

Nella tradizione evangelica è riportato il modo di pregare di Gesù, che si rivolge a Dio chiamandolo con l'appellativo familiare aramaico Abbà, cioè Padre. Sullo stile dei Salmi, egli loda e benedice il Padre, creatore del mondo e Signore della storia, perché sceglie come destinatari della sua rivelazione i “piccoli”, quelli che non possono rivendicare diritti e privilegi.

DIO PADRE, FIGLIO E SPIRITO Tratto da 'Lettera ai cercatori di Dio'

da Teologo Borèl

del 03 giugno 2009

8. DIO PADRE, FIGLIO E SPIRITO

Nella tradizione evangelica è riportato il modo di pregare di Gesù, che si rivolge a Dio chiamandolo con l’appellativo familiare aramaico Abbà, cioè Padre. Sullo stile dei Salmi, egli loda e benedice il Padre, creatore del mondo e Signore della storia, perché sceglie come destinatari della sua rivelazione i “piccoli”, quelli che non possono rivendicare diritti e privilegi. A questi Gesù si presenta come il “Figlio”, l’unico che rende possibile l’incontro e la piena comunione con il Padre. Di fronte alla prospettiva della morte imminente Gesù trova la radice della sua libertà di Figlio nell’abbandono fiducioso al Padre.

Secondo la tradizione raccolta nel Vangelo di Luca la preghiera di Gesù, che benedice il Padre per la scelta dei piccoli, avviene sotto l’impulso dello Spirito Santo. In occasione del suo battesimo nel fiume Giordano, lo Spirito di Dio scende su Gesù e lo accompagna nella sua missione, che sarà caratterizzata dal “battesimo” nello Spirito Santo. Giovanni il Battista proclama: “Colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: ‘Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo’. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio” (Giovanni 1,33-34).

La tradizione del quarto Vangelo mostra Gesù che, alla sera di Pasqua, si presenta ai discepoli come il Signore risorto, incaricandoli di continuare la missione che egli ha ricevuto dal Padre. Con un gesto, che evoca la creazione dell’essere umano reso vivente dal soffio di Dio, Gesù comunica ai discepoli lo Spirito Santo per la remissione dei peccati. Così, il Risorto dà compimento alla promessa fatta ai discepoli prima della sua morte di inviare un altro Paraclito - “Consolatore” e “Difensore” -, lo Spirito Santo, Spirito di verità, per portare a compimento la sua rivelazione e testimonianza nel mondo. Secondo la tradizione dei primi tre Vangeli, ai discepoli che condividono il suo progetto e lo seguono nella persecuzione, Gesù promette il dono dello Spirito Santo che darà loro forza e sapienza per rendergli testimonianza davanti ai magistrati e alle autorità.

Dalle parole di Gesù, conservate e trasmesse nei Vangeli, si intuisce che egli vive un rapporto profondo e unico con Dio, il Padre, al punto che può presentarsi come “il Figlio”.

Quando parla dello Spirito Santo, Gesù riconosce che viene da Dio, il Padre, come lui stesso è stato mandato dal Padre. Su questa esperienza di Gesù si innesta la fede in Dio Padre, Figlio e Spirito dei primi discepoli e delle comunità cristiane, fondate da san Paolo e dagli altri apostoli nelle città dell’impero romano.

 

“Io e il Padre siamo una cosa sola”

L’approfondimento della fede in Dio Padre, Figlio e Spirito, avviene nelle prime

comunità cristiane che si confrontano con la radice ebraica, in cui si riconosce che Dio è “un solo Signore”. Nella tradizione del Vangelo di Giovanni si proclama apertamente che solo per mezzo di Gesù Cristo, il Figlio, si conosce l’unico Dio vivo e vero. Dio, che nessuno ha mai visto e udito, si fa vedere e ascoltare per mezzo di Gesù Cristo, il solo che lo ha visto e udito. Gesù non è un altro Dio, ma il Figlio che dice le parole udite dal Padre e compie le opere che il Padre gli ha mostrato e comandato di fare. Nel dialogo con i discepoli prima della sua morte, Gesù trascrive il suo rapporto con Dio in questa dichiarazione: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Giovanni 14,9).

Nella tradizione giovannea, attestata nella prima Lettera che porta il nome di Giovanni, si esplicita la rivelazione di Dio Padre in Gesù Cristo, il Figlio unico di Dio. Solo chi si lascia coinvolgere nel dinamismo dell’amore che viene da Dio scopre il volto del Padre.

L’amore di Dio, che precede ogni risposta umana, si manifesta nella storia in Gesù Cristo, il Figlio unico inviato dal Padre, colui che affronta la morte come massima espressione del suo amore. Chi fa esperienza di questo amore riconosce che Dio è amore. Il sigillo e la conferma di questa esperienza di amore di Dio Padre, nel Figlio suo Gesù Cristo, è il dono permanente dello Spirito Santo.

 

Un solo Dio

Nel dialogo con le sue comunità san Paolo esprime la fede in Dio, Padre, Figlio e Spirito, che egli ha ricevuto dalla prima Chiesa e ha loro trasmesso. Nell’ambiente religioso greco-romano, dove a livello popolare si crede in una pluralità di dèi, san Paolo afferma la fede tradizionale cristiana: “Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui” (1Corinzi 8,6). In questa dichiarazione, che si ispira al linguaggio della cultura greca, confluiscono sia la fede tradizionale ebraica sia quella cristiana: l’unico Dio è il Padre che si fa conoscere e opera per mezzo del Signore Gesù Cristo.

Alla fede in Dio, Padre, Figlio e Spirito, si richiama san Paolo quando parla dell’esperienza battesimale e dei doni spirituali, detti “carismi”. Per mezzo della fede battesimale i cristiani partecipano della vita di Gesù Cristo, il Figlio che il Padre ha inviato per liberare tutti i credenti. La fonte e la garanzia della condizione di libertà è il dono dello Spirito che ispira la preghiera filiale dei cristiani.

Nella prima lettera indirizzata ai cristiani di Corinto, che provengono da un’esperienza di vita moralmente disordinata, san Paolo ricorda che sono stati purificati, resi santi e giusti, grazie al bagno battesimale nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito di Dio. Di fronte al rischio di servirsi dei carismi per contrapporsi gli uni agli altri, Paolo ricorda ai cristiani che i doni di Dio sono diversi e molteplici e provengono dallo stesso Spirito, dallo stesso Signore e da un solo Dio, “che opera tutto in tutti” (12,6).

 

La Trinità, relazione di amore

Il Dio, che Gesù ci ha rivelato, non è solitario e chiuso in se stesso: è il Dio che è in se stesso dono e che si dona a noi, il Dio che è amore. Come attesta la prima lettera di Giovanni,

“in questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio

unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati… E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (4,9-10. 16).

È l’amore la via che ci fa conoscere il Dio di Gesù: “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (4,8). Da sempre Dio è amore: è colui che ama; colui che è amato e ricambia l’amore; è in persona il vincolo che unisce chi ama e chi è amato. Scrive sant’Agostino: “Le persone divine sono tre: la prima che ama quella che da lei nasce, la seconda che ama quella da cui nasce e la terza che è lo stesso amore” (De Trinitate 6, 5, 7). Questi tre sono uno: non tre amori, ma un unico, eterno e infinito amore, l’unico Dio che è amore. È ancora sant’Agostino ad affermare: “Vedi la Trinità, se vedi l’amore” (ib., 8, 8, 12). E aggiunge di quest’unico Dio, che è amore: “Ecco sono tre: l’Amante, l’Amato e l’Amore” (ib., 8, 10, 14), il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

La beata Elisabetta della Trinità testimonia con questa bellissima preghiera come la creatura possa essere resa partecipe del dialogo d’amore dei tre che sono uno:

Mio Dio, Trinità che adoro,

aiutami a dimenticarmi interamente di me per stabilirmi in Te,

in un’immobile quiete come se la mia anima fosse già nell’eternità;

che nulla possa turbare la mia pace

o farmi uscire da Te, mio immutabile Bene,

e ogni istante mi porti pi√π dentro

nelle profondità del Tuo mistero.

Pacifica la mia anima, fanne il Tuo cielo,

la Tua dimora preferita e il luogo del Tuo riposo:

che io non Ti lasci mai solo,

ma sia totalmente in Te,

in tutto vigile nella fede, in totale adorazione,

nel completo abbandono alla Tua azione creatrice...

O miei Tre, mio Tutto, mia Beatitudine,

Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo,

mi consegno a Voi come una preda.

SeppelliteVi in me perché mi seppellisca in Voi,

in attesa di venire a contemplare nella Vostra luce

l’abisso delle Vostre grandezze. Amen!

(Elevazione alla Santissima Trinità, 21 novembre 1904)

 

Conferenza Episcopale Italiana

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