Cinque filosofi si confrontano con la lezione di Benedetto. A Regensburg è cominciato un percorso di chiarimento sull'identità del cristianesimo come verità oltre che carità, sul rapporto tra le religioni visto non nell'indifferenza, sul ruolo pubblico delle fedi religiose contro la laicità della nautralità e sul rapporto tra fede e ragione che...
del 23 luglio 2007
“Dio salvi la ragione”, uscito in questi giorni per le edizioni Cantagalli, è una nuova tappa di un percorso cominciato il 12 settembre 2006 a Regensburg. Nell’università di quella città il papa Benedetto XVI aveva pronunciato un Lectio magistralis che aveva fatto esplodere il mondo musulmano. Manifestazioni, minacce, assalti e devastazioni, morti. I Nunzi nei paesi islamici tempestavano la Segreteria di Stato di telefonate allarmate. La Curia romana accorreva a precisare il pensiero del papa ed egli stesso disse di essere stato frainteso. Non di aver sbagliato qualcosa: di essere stato frainteso. Intanto le parole dette a Regensburg erano là, e sarebbero rimaste come un punto di riferimento ineludibile per chiunque voglia trattare di ragione e fede e di rapporto tra le religioni.
 
Le edizioni Cantagalli avevano pubblicato tutti i testi dei discorsi del Papa a Regensburg con il titolo “Chi crede non è mai solo” ed ora escono con una nuova tappa del percorso affidata ai commenti di cinque eminenti autori: il filosofo cattolico Robert Spaemann, il filosofo e sociologo Andrè Glusksmann, gli intellettuali arabi Wael Farouq e Sari Nusseibeh, e quello ebreo Joseph Weiler. A Regensburg è cominciato un percorso di chiarimento sull’identità del cristianesimo come verità oltre che carità, sul rapporto tra le religioni visto non nell’indifferenza, sul ruolo pubblico delle fedi religiose contro la laicità della nautralità e sul rapporto tra fede e ragione che, diceva il papa, non è uguale in tutte le confessioni. Chi propone un Dio irrazionale ed arbitrario non può essere messo sullo stesso piano di chi parla di Dio come “Ragione primordiale”; chi predica la violenza non può essere equiparato a chi predica la verità e l’amore. Non solo e tanto per motivi di fede, ma di ragione: “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”. Questa frase presa a prestito nella Lectio di Regensburg dall’imperatore bizantino Manuele II Paleologo fa la differenza tra le religioni. Tale differenza consiste propriamente in questo: nell’accettare di essere esaminate dalla ragione, nel momento stesso in cui pretendono di essere vere e cioè di poter recare esse stesse un aiuto alla ragione. Il tema della verità delle religioni ha quindi due versanti che rispondono a due domande complementari: la mia fede è compatibile con le esigenze della ragione? Essa stessa è in grado di aiutare la ragione ad essere più pienamente se stessa?
 
La filosofia moderna dice che l’uomo non può conoscere oltre se stesso. Ma come fa a dirlo senza andare oltre se stessa? Spaemann pone il problema dei problemi, da cui nasce una collaborazione nativa tra ragione e fede. Heinrich von Kleist, allievo di Kant che appunto negava la possibilità di conoscere oltre se stessi, si è ucciso. Se questa possibilità non c’è, se Dio non c’è, non ci può essere nessun “mondo vero”. La verità del mondo dipende dalla verità di Dio e la conoscenza di Dio ha bisogno di partire dalla verità del mondo. Come dire che ragione e fede stanno in piedi insieme.
 
Si dice che se non c’è un mondo vero si è più liberi. Ma Joseph Weiler ci ricorda che la libertà la si può veramente sperimentare fino in fondo nella possibilità di dire no a Dio. La libertà di religione è la principale tra le libertà, secondo lui, proprio perché contempla la libertà di dire no. Le religioni sono i fondamenti di questa libertà ed anche i non credenti dovrebbero salvaguardare questo patrimonio a garanzia della libertà.
 
Ma siamo sicuri che essere razionali significa sempre essere non violenti? Secondo Sari Nusseibeh anche chi ha compiuto la strage dell’11 settembre ha agito razionalmente. Per lui la razionalità è solo un metodo logico di procedere, mentre alla ragionevolezza spetta di misurarsi con la realtà e le decisioni da prendere. La ragionevolezza, egli dice, permette la vita delle religioni in un contesto pluralistico. Riuscirà l’Islam ad essere ragionevole oppure la violenza gli è intrinseca? Spetta alle comunità musulmane dare questa risposta nei loro comportamenti.
 
Come si vede, sul concetto di ragione ci sono delle diversità notevoli. Le fedi religiose hanno una diversa “capacità” razionale. Glucksmann e Spaemann, da filosofi, centrano bene il problema dell’arroganza della ragione occidentale. Essa ha avuto la pretesa di essere assoluta e di produrre tutto da sola. Così facendo ha dovuto autoridurre progressivamente il proprio spazio di indagine al fine di poterlo dominare completamente, fino al punto da ridursi a nulla. Il razionalismo si converte sempre nel nichilismo. Con questo tipo di ragione la fede religiosa non ha nessuna possibilità di dialogo. Ma non tutti i cinque Autori condividono questa visione della ragione, la quale secondo, Wael Farouq, deve sempre fare i conti anche con la tradizione. E’ però abbastanza chiaro per tutti  il dato di fondo espresso dal titolo: non sarà la ragione a salvare se stessa, ma la sua apertura ad un oltre. Essa è però nello stesso tempo in grado di valutare questo oltre dal punto di vista razionale. Non tutte le religioni, quindi, sono ugualmente in grado di salvare la ragione. Il confronto è aperto. L’importante è che avvenga con argomenti razionali.
Stefano Fontana
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