Viviamo nella società dell'apparire, in cui si fa di tutto per emergere, farsi notare e restare impressi, accumulare più “amici” su Facebook, in cui si è disposti a tutto per i 5 minuti di notorietà. Eppure, è proprio il diritto a scomparire quello che oggi manca.
del 23 febbraio 2011
        
         Un gruppo di studenti che ruba una foto in una posa buffa alla bidella della scuola e poi fonda un gruppo su Facebook in cui pubblica lo scatto e commenti sarcastici. Due amici che si prendono una solenne sbronza, si scattano una foto che uno dei due pubblica sul proprio blog. La serata brava di due vitelloni in un night, fotografata e messa on line.
 
         Cos’hanno in comune queste tre situazioni? Che sono davvero accadute. E che sono finite in tribunale: la bidella ha scoperto il gruppo di Facebook e ha fatto causa per diffamazione alla famiglia di uno degli studenti.
         L’uomo fotografato ubriaco ha perso un’occasione di lavoro e ha fatto causa per danno d’immagine all’amico.Il vitellone invece ha perso la moglie e anche lui si è rivolto al giudice.
         I nostri dati personali, immagini di noi stessi, frasi di cui magari un domani potremmo esserci pentiti: più internet diventa uno strumento di vita indispensabile, più lo usiamo. E più diventa un archivio vasto e facilmente accessibile per recuperare informazioni su di noi. Ma non solo sul noi di oggi, anche e soprattutto sul noi di ieri, quello in cui non ci riconosciamo più. Il problema è che in Rete le informazioni spesso vengono replicate e riprodotte all’infinito e il rischio è che ogni piccolo gesto inappropriato del nostro passato si ripresenti oggi ad accusarci. Ecco perché in buona parte d’Europa si discute dell’introduzione di un nuovo diritto di libertà, il diritto all’oblio.
         In Spagna se n’è occupata la Corte suprema a causa di una serie di denunce contro Google, per la capacità del motore di ricerca di ripescare notizie personali. In Francia, il presidente Sarkozy vorrebbe che il prossimo G8 di maggio si occupasse di regolamentare, oltre agli aspetti di internet che possono favorire terrorismo e pedofilia, anche il diritto all’oblio, cioè a veder cancellate determinate nostre informazioni personali che circolano in Rete. E l’Unione europea è ben avviata sulla strada di Sarkò.
         Il Commissario europeo Viviane Reding ha già fatto sapere che vuole varare un regolamento che introdurrà il diritto all’oblio nell’ordinamento.
         In fondo è un paradosso: viviamo nella società dell’apparire, in cui si fa di tutto per emergere, farsi notare e restare impressi, accumulare più “amici” su Facebook, in cui si è disposti a tutto per i 5 minuti di notorietà. Eppure, è proprio il diritto a scomparire quello che oggi manca. Se si prende una contravvenzione per un modesto eccesso di velocità, è giusto chiedere che la notizia non resti per sempre presente in Rete? E invece, un uomo sospettato di un omicidio e poi condannato, ha il diritto, trascorsi alcuni anni dall’episodio, a chiedere che la notizia venga rimossa, in modo da poter ricominciare la propria vita?
         Tutto dipende in realtà dalla rilevanza della notizia. Se ha un interesse pubblico, non dovrebbe essere “oscurata”. Ma se invece è un fatto privato o un fatto di cronaca, ma di interesse minore? La risposta dipende dalla cultura di ciascun Paese, che può ritenere un fatto più o meno di rilievo pubblico.
         In ogni caso, la questione pone anche un serio problema tecnico. Esistono agenzie che con una cinquantina di dollari “ripuliscono” il passato di chiunque. Ma è oggettivamente difficile inseguire le notizie e la velocità con cui si replica. Resta il fatto che per poter chiedere la cancellazione di propri dati da un sito, bisogna poter vantare un diritto. Bruxelles vorrebbe imporre alle società che ci permettono di navigare in internet di realizzare parti dei siti che non sono accessibili a motori di ricerca come Google. E vorrebbe darci il diritto di conoscere in ogni momento quali nostri dati vengono raccolti ed evitare che gli archivi siano eterni.
         Ma attenzione: è un diritto delicato, sempre in bilico tra la libertà di cronaca e la privacy. La tentazione di usare la scusa della privacy e della lotta al crimine per imporre censure al web è sempre in agguato. E, per i potenti di tutto il mondo, dopo che il sito Wikileaks ha riversato in rete montagne di documenti segreti, la tentazione è sempre più forte.
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