L'aborto è largamente accettato per ragioni che nulla hanno a che fa¬≠re con la salute del feto. Al pari del feto, il neonato non ha lo status morale di u¬≠na reale persona umana. Anche il fatto che feto e neonato indiscutibilmente siano da considerarsi potenzialmente persone umane, è irrilevante dal punto di vista etico.
del 01 marzo 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          L’aborto è largamente accettato per ragioni che nulla hanno a che fa­re con la salute del feto. Al pari del feto, il neonato non ha lo status morale di u­na reale persona umana. Anche il fatto che feto e neonato indiscutibilmente siano da considerarsi potenzialmente persone umane, è irrilevante dal punto di vista etico. Non sempre l’adozione è nel miglior interesse di una persona. Pertanto l’aborto dopo la nascita (cioè l’infanticidio, ossia l’uccisione di un neonato) dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui è permesso l’aborto, in­clusi i casi in cui il neonato non è por­tatore di disabilità. Detto così brutalmente sembra il trai­ler di un film dell’orrore. Invece si trat­ta del riassunto fedele di un articolo ap­parso on line pochi giorni fa sul Journal of Medical Ethics, la prestigiosa rivista della stessa editrice del British Medical Journal.           Si va ben al di là dello stesso ignomi­nioso Protocollo di Groningen, in base al quale dal 2002 in Olanda è permesso porre fine attivamente alla vita dei neo­nati con prognosi infausta che, a giudi­zio dei medici e dei genitori, si trovano in condizioni di «sofferenza insoppor­tabile ». Nell’articolo si afferma infatti la liceità morale anche dell’infanticidio per motivi economici, psicologici o sociali (auspicandone domani la liceità giuri­dica).          Non è casuale che esso sia stato pub­blicato sulla rivista fondata da Tristam H. Engelhardt, il noto bioeticista che co­niò la definizione di «straniero morale» ! per indicare tutti quegli esseri umani (non nati, gravi ritardati mentali, de­menti, comatosi, stati vegetativi, etc.) che non avrebbero titolo a essere con­siderati persone umane perché privi della capacità di esprimere biasimo o lode e quindi, appunto, estranei alla co­munità sociale. Non è casuale neanche il fatto che uno dei due autori dello sconvolgente arti­colo sia affiliato alla Monash University di Melbourne, tempio della bioetica u­tilitarista, eretto da Peter Singer e da Hel­ga Khuse (colei che definì l’interruzio­ne di nutrizione e idratazione «il caval­lo di Troia» per far passare l’eutanasia). Sconvolge semmai che i due autori, Al­berto Giubilini e Francesca Minerva, sia­no entrambi italiani. Anche Sergio Bar­tolommei, successore di Maurizio Mo­ri alla cattedra di bioetica di Pisa, che gli autori ringraziano per i preziosi sugge­rimenti in fase di redazione, è italiano! Studiosi italiani, dunque, cittadini di un Paese in cui la giustificazione per moti­vi utilitaristici delle azioni umane non è considerata un’attenuante, né moral­mente né giuridicamente, ma semmai un’aggravante.          Se è permesso l’aborto, perché non l’in­fanticidio?, si chiedono oggi i due auto­ri. E se domani sarà permesso l’infanti­cidio, ci chiediamo noi, perché non per­mettere dopodomani anche l’elimina­zione dei dementi e degli altri «stranie­ri morali»? Il vaso di Pandora, una volta aperto, fa uscire di tutto, giustificando le decisioni più barbare e inumane come il legittimo prevalere degli interessi di chi è persona rispetto a chi lo sarebbe solo in modo potenziale o non lo sa­rebbe più per le sue condizioni di ma­lattia. Secondo questa logica: l’«interes­se » della società prevale inevitabilmen­te su quello di ciascun essere umano.          Pochi giorni fa, parlando a Torino pres­so la Casa Valdese, lo stesso!  Engelhardt riconosceva che, prive di un fonda­mento divin! o, «tutte le morali sono so­cialmente e storicamente condizionate» e che, pertanto, in una cultura dopo-Dio riusciva difficilmente sostenibile l’affermazione secondo cui «tutti gli uo­mini sono stati creati uguali». Forse è il caso che qualcuno, anche tra chi non crede in Dio, incominci a dire basta al­le invasioni barbariche, per non trovar­ci tutti a vivere nel crepuscolo disuma­no della civiltà occidentale.
Gian Luigi Gigli
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