Domandare, urlando la sete di Dio (Lc 18, 35-43) SERIE: D'amore si muore, di spe...

E' una vita che sei cieco, solo adesso non riesci più a sopportare il tuo disagio? Il cieco avrebbe potuto rintanarsi tranquillo nel suo angoletto. Aveva tentato, non gli era andata bene.

Domandare, urlando la sete di Dio (Lc 18, 35-43) SERIE: D'amore si muore, di speranza si vive

da L'autore

del 22 dicembre 2006

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Fa parte della nostra vita umana esprimere sentimenti di ammirazione, di gratitudine, di gioia, cantare, esprimere in musica i sentimenti del cuore, rivolgerli a qualcuno.. Ancora qualche ragazzo scrive sui muri l’amore per la sua amata, molti mandano sms per dire ti amo, tvb, mi manchi tanto. Questi sentimenti un cristiano li rivolge anche a Dio e li chiama: preghiera. E’ lode, stupore, ringraziamento per la vita, per i doni che abbiamo, per l’amore che proviamo e che ci viene regalato. C’è un altro sentimento però che forse si vuol esprimere con più intensità e frequenza: la domanda. Siamo bisognosi, siamo angosciati, ci sentiamo incapaci e allora chiediamo. Domandiamo a Dio di venire in nostro aiuto. Abramo addirittura contrattava con Dio, lottava con lui per strappare benevolenza. Un giorno alla fine di un dialogo in carcere con un mussulmano gli dissi: prega Allah anche per me. Quello dimostrandosi un poco offeso mi rispose: io non prego Allah per te, perché sarebbe come affermare che Lui, il sommo, non conosca ciò di cui tu hai bisogno. Certo, Dio conosce tutta la nostra vita, sa la nostra sete di bontà, di felicità, di Lui; siamo noi invece che dobbiamo convincerci di aver bisogno di Lui, di dirci con convinzione, sempre che Lui è il centro della nostra vita, siamo noi che dobbiamo convincerci della necessità delle grazie che chiediamo. Il cieco di Gerico che sente un vociare confuso della folla che gli fa capire che sta passando Gesù, si mette a gridare: voglio la luce, Gesù figlio di Davide ridona alla mia vita la bellezza dei tuoi colori, dei volti degli uomini, lo splendore del creato. Come faccio a vivere, a lodarti, se non vedo le tue opere, se non posso scrutare il volto di chi mi passa accanto? Chi gli stava accanto non ne poteva più, lo sgridava perché era troppo petulante, importuno. Ma adattati alla tua situazione, E’ una vita che sei cieco, solo adesso non riesci più a sopportare il tuo disagio? Il cieco avrebbe potuto rintanarsi tranquillo nel suo angoletto. Aveva tentato, non gli era andata bene. Ma che cosa avrebbe significato per lui questo smettere di gridare? Che non aveva fiducia in Gesù. Ma lui ne aveva tanta e si è messo a gridare ancora più forte e Gesù riconosce la sua grande fede, la sua speranza tutta riversata su di lui. E lo guarisce. Abbiamo anche noi questa tenacia nella nostra preghiera o ci stanchiamo prima di cominciare perché siamo senza fede?

mons. Domenico Sigalini

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