Terminiamo il nostro cammino verso la festa di Don Bosco con un testo storico. «...i piccoletti e quelli di mezza età mettevano alla prova le gambe, la carità e la pazienza di D. Bosco. Più d'una volta si ribellavano, gli sfuggivano, dopo aver finto di andare con lui, e di lontano non lasciavano di gettargli pietre. Una sera noi dicevamo tutti mesti: Sai? Oggi quei della cocca gettarono a terra D. Bosco!».
del 01 gennaio 2002
Negli anni che corsero dal cinquantacinque quasi fino al 1860, l’Oratorio era proprio infestato da una irruzione non di locuste, ma di monelli grandi e piccoli, che non venivano in chiesa ed impedivano che altri venissero. Noi vedevamo D. Bosco tutte le feste, mentre in cappella si facevano i catechismi, o si cantavano i vespri, uscire e con quella carità ed industria che lo rendevano caro anche ai mondani, dava la caccia agli oziosi. A noi aveva l’aria del buon Pastore, che lasciate le pecorelle al sicuro, correva in cerca delle smarrite. Meglio ancora lo somigliavamo al Seminatore del Vangelo, perché usciva e dopo rientrava tenendo per mano tre o quattro guadagnati e poi tornava ad uscire...
Ma sovente non ritornava così presto. E che faceva allora? Succedeva che incontrando difficoltà, non ritornava se non quando l’avesse tolta o superata. Colà dove adesso nell’interno dell’Oratorio ci sono i depositi del magazzino, a quei tempi c’era una specie di piazzale, donde si entrava poi in casa Defilippi, ora dell’Oratorio e dove c’è lo studio, e dove ci sono gli uffizi attualmente del Bollettino, un vasto stallaggio. Tutti gli uomini addetti sovente si fermavano appunto lì per far gente e poi ballare. Era un dire ai giovani: non pensate più all’Oratorio.
E D. Bosco, che vedeva questo grave inconveniente, non lo poteva tollerare.
Egli vi si portava colà con bella maniera, e cominciava ad invitare i giovani ad allontanarsi. Alcuni ubbidivano, altri scappavano, ed altri si ribellavano anche.
- D. Bosco li lasci, son biricchini [sic].
- Appunto perché son biricchini che desidero vengano all’Oratorio.
È inutile, ne farà niente!
E D. Bosco allora quasi non vedesse dove ed in mezzo a chi si trovava senza alcuna esitazione a dire: “Miei cari, avete pure una grande responsabilità. Che cosa saranno questi poveri figli? Lasciate che vengano con me in chiesa”. E quella gente rozza, maleducata, senza fede, dopo un poco di contrasto, cessava dal ballo, e si ritirava in casa o con D. Bosco veniva alla benedizione.
Quando capitava che si mostrassero ostinati a ballare, D. Bosco non cessava dall’opporvisi anche in altra maniera, che ben dimostra il gran desiderio ch’egli aveva pel bene. Come se si fosse trattato di una cosa di famiglia, sicuro dell’assistenza del Signore, egli si cacciava in mezzo, e diceva ad alta voce: “Ora non si deve più ballare!”. E noi vedevamo con animo commosso D. Bosco là in mezzo al furore della danza, senza temere né sgarbi né disprezzi. Allora, come per incanto cessava il suono dell’organetto, si fermavano gli altri, ed ora borbottando, ed ora ridendo, ma tutti, si direbbe, sotto l’impressione di una forza misteriosa, dicevano: “Sì, andiamo in chiesa, e dopo ci vendicheremo!”.
Ma i piccoletti e quelli di mezza età mettevano alla prova le gambe, la carità e la pazienza di D. Bosco. Più d’una volta si ribellavano, gli sfuggivano, dopo aver finto di andare con lui, e di lontano non lasciavano di gettargli pietre. Una sera noi dicevamo tutti mesti: Sai? Oggi quei della cocca gettarono a terra D. Bosco!
- Ma come?
- Mentre correva dietro a uno e cercava di condurlo in chiesa, un altro corse in suo aiuto per venirlo a prendere. Ci fu un po’ di lotta, e D. Bosco fu gettato a terra.
- Ah! perché non ci eravamo noi a difenderlo?
- D. Bosco si levò di là, e volto al più riottoso, lo ferma. E sapete come tiene stretto D. Bosco, e gli disse: E perché non vuoi venire all’Oratorio?
- Perché devo andare a lavorare!
- Ma adesso non ci vai, è festa. Vieni.
- Si ci verrò: ma non so stassera dove andar a dormire.
- Davvero? Ebbene, vieni con me. Ti darò un bel letto, avrai quanto è necessario pel vitto, imparerai una professione...
- Dice sul serio?
- Certamente! Dipende da te ad accettare. In questo momento si erano attruppati d’attorno dieci o dodici... Stavano ascoltando D. Bosco, che ancor impolverato per la caduta, si vendicava così paternamente. Allora fu un gridare da tutte le parti: Prenda anche me, prenda anche me! E D. Bosco non aveva che da ripetere: Sì, prendo anche te. Ma ad un patto. - E quale? - Che d’ora in avanti non mi faccia più correre tanto per condurti in chiesa... E così quindici o sedici che infestavano le vicinanze del nostro Oratorio, ora sono qui. Non li hai veduti in refettorio? - Quelli la? - Appunto! - Che aria! - Che figuraccie [sic]!
Questi o simili altri erano i discorsi fra noi in quella sera; ma si deve confessare che con tale sistema fu sciolta la così detta cocca che desolava l’Oratorio.
D. Bosco raccolse, ed incaricò subito chi dovesse usare una cura speciale verso questi poveri giovanetti, che ci fecero ricordare i primi che finirono per fuggire portando via lenzuoli e coperte. Ci siamo diviso il lavoro, ed il ch. Ruffino, mi par di vederlo ancora, con quale carità si pose a coltivare l’ingrato terreno. Alcuni di costoro uscirono subito, ma già di molto ammansati e cambiati in ben altri. Alcuni si fermarono due o tre mesi, altri anche di più; e tutti partirono con un cuore proprio convertito.
Sovente il ch. Ruffino accorreva da D. Bosco per chiamare consiglio. “Come ho da fare? Bestemmiano, che è un orrore”.
- Avvisali in bel modo, che non dicano più queste parole. Poverini! Sono da compatire. Son vissuti lontano da ogni idea religiosa, e quindi non sanno che profanare il santo nome di Dio.
E la sua anima mite e divota si occupava ben volentieri di quei poveri figli abbandonati. I quali usciti poi dall’Oratorio non finivano di benedire D. Bosco che li aveva trattati con tanta carità.
[Dal profilo biografico del sacerdote Domenico Ruffino (1840-1865), in Memorie biografiche di salesiani defunti raccolte e pubblicate dal sac. G. B. Francesia, S. Benigno Canavese, Tipografia Salesiana 1904, pp. 114-118].
don Giovanni Battista Francesia
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