Ogni Santo è legato a una particolare parola di Dio che noi dobbiamo individuare con chiarezza. Don Bosco fu un uomo mosso dallo Spirito e tutto dedito a compiere la sua missione.
del 19 gennaio 2011
            Riportiamo uno limpido brano di Walter Nigg, pastore Luterano, che fu per parecchi anni professore di storia della Chiesa all’Università di Zurigo. Si interessò alla vita e alla storia dei santi che, afferma, sono il tesoro più prezioso della Chiesa. Fu attratto particolarmente da Don Bosco al quale volle dedicare un suo studio, cogliendo in esso gli aspetti più significativi, nei quali traspare la ammirazione e la simpatia per un Santo che definisce tra i più grandi e originali santi della Chiesa.   Un Santo dell’età moderna            Per noi non ci sono dubbi: il vero Santo dell’Italia moderna è Don Bosco. Egli non è né una finzione letteraria né una immagine ideale. Oggi la sua statua si trova nella Basilica di San Pietro, accanto ad altri santi fondatori di ordini religiosi: è un posto che gli si addice. Tuttavia vorremmo averlo più vicino a noi, vorremmo dirgli piano all’orecchio, con ardore, quanto gli siamo affezionati.            Riteniamo che sia in modo tutto particolare il Santo per il nostro tempo, perché non è avvolto in paludamenti medioevali con severa dignità… ha condotto una vita da Santo senza leggende, per cui non è necessario sfrondarla di tralci selvatici. La sua personalità può essere sottoposta a qualsiasi analisi critica.            La santità, di per sé, è un carisma, ossia un dono dato all’uomo; per ciò stesso sfugge a qualsiasi interrogativo sulla causa e sul fine… Il Santo è sempre un uomo straordinario, mai soltanto un uomo retto. Davanti a lui ci chiediamo, facendo nostre le parole di Reinhold Schneider: «Che cosa sarebbe il mondo senza i santi? Starebbe ancora in piedi?»            Ogni Santo è legato a una particolare parola di Dio che noi dobbiamo individuare con chiarezza. Per Don Bosco questa parola è forse la povertà che lo spinse a calzare scarpe grosse, ad usare la biancheria più ordinaria? Oppure dobbiamo farla consistere nella sua capacità di leggere nei cuori dei suoi giovani come in un libro? O basta vedere in lui «l’uomo perseverante»? Certamente no; tutto questo è bello e buono, ma non convince del tutto.            Don Bosco fu un uomo mosso dallo Spirito e tutto dedito a compiere la sua missione. Perciò non gli si addice il titolo di «grande teologo» che qualcuno gli ha enfaticamente attribuito; in lui la teologia non assume nessuna rilevanza particolare. Per tutta la sua vita è rimasto fedele alla teologia studiata in seminario, senza darvi nuovi apporti. È però altrettanto vero che egli non era contrario alla teologia. Don Bosco si muoveva semplicemente su un altro piano. Quale? Che cosa non darei per saperlo dire! Egli fu un «uomo nuovo». Vorrei qui riassumere alcuni tratti peculiari dalla sua attività, solitamente trascurati nel descrivere questa figura tanto significativa.   Il volto della sua santità            A parte la sua evidente santità, Don Bosco non era un uomo senza difetti. Egli stesso avrebbe rifiutato decisamente un’immagine di sé senza alcun difetto. Non nascondeva di aver dovuto combattere, durante la sua giovinezza, con una certa superbia e di essere stato tentato di vanagloria. Da giovane cullò il desiderio di diventare un predicatore brillante e di essere ammirato come uomo colto. Però tutti questi difetti caddero come foglie secche dall’albero della sua vita non appena ebbe preso coscienza della sua missione e vi si dedicò con tutta l’anima.            Eppure, poco prima di morire si accusava ancora dicendo: «Don Bosco avrebbe potuto far di più se avesse avuto più fede in Dio». Bisogna pure ricordare che Don Bosco mise da parte, senza tante discussioni, un certo tipo di ascesi: non portò il cilicio e non versò la cenere sul cibo. A suo modo di vedere l’esigenza di mortificazione è già soddisfatta quando si accettano il caldo e il freddo, le malattie e le circostanze tristi della vita. La sua fede viva non era un fatto puramente dottrinale; né poteva essere intaccata dallo scetticismo. Sussisteva in lui una fiducia immediata, e quasi infantile, nella Provvidenza.           Sostenuto dalla convinzione che essa non l’avrebbe lasciato nei guai, cominciò a costruire le sue case e le sue chiese, anche quando non aveva un soldo in tasca. Talvolta poté sembrare persino temerario. Quando si incominciò a costruire la Basilica di Maria Ausiliatrice disse all’impresario: «Voglio versarle subito un acconto. Non so se è molto, ma è tutto quello che possiedo».            Quindi tirò fuori il portamonete e ne vuotò il contenuto nelle mani dell’impresario. Questi naturalmente si aspettava un acconto cospicuo. Ma rimase sbalordito quando si accorse che c’erano solo pochi spiccioli. Don Bosco lo rassicurò: «Non si preoccupi, la Madonna procurerà il denaro necessario per la costruzione della chiesa. Io sarò solo il cassiere. Abbia la pazienza di aspettare e vedrà!».            Naturalmente il costruttore fu pagato fino all’ultima lira. Spesso i debiti di Don Bosco si accumulavano come una montagna, allora si incominciò a dire che i debiti erano il «cilicio segreto del povero amico dei ragazzi». Noi, uomini dell’era tecnologica non abbiamo più una fede così forte e poderosa; e tuttavia neanche l’uomo moderno può vivere a lungo senza fede.            La mancanza di fede è una malattia spirituale, un esaurimento che infallibilmente conduce alla morte spirituale. Egli ha sperimentato di persona la veridicità delle parole di Cristo: «Se avrete una fede grande come un granello di senape direte a questa montagna: “Spostati” ed essa si sposterà, e nulla vi sarà impossibile». Don Bosco ha spostato la montagna ed essa è scomparsa.            Don Bosco seppe intuire con lungimiranza i bisogni sociali dell’epoca moderna; e non li considerò semplicemente affari mondani con i quali nulla hanno a che fare i cristiani. È fuor di dubbio che i problemi sociali rientravano, per lui, nel misterioso piano di Dio e richiedevano una risposta da parte dei cristiani. In un ragazzo solo e abbandonato aveva visto un fratello; e non gli era davvero andato incontro recitando la parte del benefattore.            La molla interiore che lo spingeva all’azione non era l’umanitarismo: Don Bosco era sospinto dall’amore per le anime e dalla passione di aiutarle. Senza far troppe chiacchiere in tema di azione sociale, faceva in silenzio quello che era necessario. L’amore divino fu in lui un vento impetuoso che investì l’amore umano; l’agape sommerse tutte le difficoltà e nulla poté arrestarla. Per la sua grande capacità di amare, Don Bosco divenne – come tutti i santi – un pazzo dell’amore, tanto da essere considerato, nella storia della Chiesa, come uno dei più grandi santi dell’amore.            L’amore gli dischiuse orizzonti che i puri teorici del cristianesimo non riescono neppure a intuire. Tutto quel che faceva Don Bosco portava il timbro di questo suo amore senza esitazioni. La pietà del Santo era caratterizzata da un’allegria senza uguali, da una serenità costante, che non fu mai offuscata da momenti di cattivo umore. Certo, anche prima di lui c’erano stati santi dal volto ilare, come Francesco, Filippo Neri o Tommaso Moro. Per il Santo di Torino la gioia era come il battito del cuore, perché si trattava di una gioia fondata totalmente su Dio.            Egli diceva: «Il diavolo ha paura di un uomo allegro ». Per questo non si trovano in lui scherzi sciocchi o battute frizzanti. Quella gioia contagiosa, che Don Bosco trasmetteva ai suoi ragazzi e li spingeva a cantare e gridare, non aveva bisogno di surrogati di cattivo gusto. Il suo modo di ridere assomigliava a quello di un angelo. Non si è mai così allegri come quando si sta con Don Bosco.            In lui si scopre sempre qualcosa di bello e di nuovo, sia nei fatti che nelle parole: «Fare il bene, stare allegri e lasciar cantare le passere». Questo modo di dire ci fa conoscere qualcosa del segreto di Don Bosco. È importante fare il bene, perché esso viene da Dio, e da Dio è stato rivelato all’uomo. Essere lieto è l’atteggiamento del cristiano, perché egli sa di essere nelle mani di Dio. Certo, anche il cristiano conosce la tristezza, ma sa dominarla. La gioia è di origine divina. Don Bosco, scherzosamente, aggiunse da parte sua: «Lasciar cantare le passere». Con ciò non intendeva i passeri grigi che si trovano dappertutto; ma, in senso traslato, si riferiva ai politici, ai giornalisti, agli uomini d’affari, ai cari confratelli, a tutto ciò che è «strisciante e sfuggente».            Non lasciamoci né impressionare né intimorire da costoro; ma lasciamoli fischiare quanto vogliono e non perdiamo la nostra allegria. «Fare il bene, stare allegri e lasciar cantare le passere» è davvero il motto di un Santo e non il luogo comune di un falso ottimismo. Questo detto deriva dal linguaggio della mistica cristiana.            Che cosa potremmo rispondere a coloro che non lo comprendono? Null’altro se non: «Cercate la gioia? Venite ad attingerla da Don Bosco! » La sorgente della sua fede, del suo amore e della sua gioia si trova in una straordinaria unione con Dio. Non a caso ha sempre raccomandato ai giovani la confessione e la comunione. Secondo lui, infatti, l’uomo si purifica attraverso la confessione affinché Cristo venga ad abitare in lui per mezzo della comunione. Don Bosco non si stancò mai di ribadire questo concetto.            Egli non ne avrebbe parlato così spesso se non avesse avuto un’esperienza personale di questa realtà. Il suo operare si fondava su una spiritualità e mistica interiore. Se non fosse stato così avrebbe dovuto soccombere molto presto. Quel tanto di incomprensibile che c’è nella sua vita ne è la prova più evidente. In occasione del suo processo di canonizzazione fu posta la domanda: «Quando pregava Don Bosco?» Ci fu un silenzio imbarazzante tra i membri della Congregazione dei Riti.            Poi intervenne nella discussione papa Pio XI, rettificando: «La domanda è stata male impostata; ci si deve chiedere piuttosto: Quando non pregava Don Bosco?» Con questa rettifica, il Papa non solo dimostrò di aver capito Don Bosco, ma sollevò anche il velo dietro il quale si nascondeva la sua santità.   Evviva Don Bosco!            Tutti questi accenni descrivono un poco quale nuovo tipo di Santo egli fosse. Bisogna aggiungere che Don Bosco non volle affatto essere un innovatore; e non pensò neppure mai che si potesse parlare di lui come di un uomo d’avanguardia. Senza avere un piano prestabilito percorse vie nuove e sviluppò un nuovo stile di santità. «Noi abbiamo forse bisogno di qualcosa di nuovo, qualcosa di inedito! In breve, che cosa ci mancava, o Dio? Un santo. E tu ce lo hai mandato!»            Don Bosco sapeva muoversi in mezzo al mondo; si trovava a suo agio in mezzo al turbine della vita; la sua missione fu di vivere nel mondo per il bene del mondo; ma anche di contraddire il mondo per il bene del mondo. Amò il creato e le creature. La sua missione richiedeva di saper accettare la vita positivamente, senza pregiudicare l’aspetto spirituale. Egli sentiva di essere mandato per la gioventù; e con la gioventù si deve avere un atteggiamento di attenzione al mondo.            Essere nel mondo e, nello stesso tempo, non lasciarsi travolgere dal mondo, è la nuova strada della santità. Don Bosco ha percorso questo sentiero poco praticato. Sono stati espressi molti giudizi favorevoli nei suoi riguardi. Mentre era ancora in vita, il ministro Rattazzi lo chiamava già «il più grande miracolo del suo secolo».            Che affermazione dalla bocca di un uomo politico! Evidentemente egli aveva intuito qualcosa della forza spirituale di quel povero prete. Lo Schamoni in un bel libro, Il vero volto del santo, conclude le sue considerazioni con queste parole: «Don Bosco è probabilmente la figura più eccelsa della storia della Chiesa del secolo scorso».            Sarebbe facile a questo punto elencare altre espressioni di alta ammirazione. Preferiamo invece raccontare un fatto della vita di Don Bosco, commovente e unico nel suo genere. Don Bosco, era convalescente da una gravissima malattia… Quando i ragazzi seppero che era in via di guarigione non si trattennero più dalla gioia.            Avevano pregato con tutte le forze per il loro caro amico, avevano supplicato che potesse ricuperare la salute per dedicarsi ancora a loro; e adesso il loro entusiasmo saliva alle stelle. In un impeto di amore irruppero nella sua stanza, lo sollevarono sulle spalle insieme alla poltrona e lo portarono in giro per la casa al grido trionfale di: «Evviva».            Questo fatto così spontaneo è di una bellezza unica; una scena simile ben difficilmente è stata vissuta da un altro educatore, e non ha bisogno di nessun commento. Ci sembra quasi che quei giovani, nell’intimo del loro cuore, avessero precorso la canonizzazione di Don Bosco.            E noi che cos’altro possiamo fare se non unirci festosi ai monelli di Torino e gridare con loro, ad alta voce: «Evviva Don Bosco, evviva? »   W. Nigg, Don Bosco, un santo per il nostro tempo, LDC 
Enzo Bruni
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