La grande intuizione di don Bosco è di fare dell'amorevolezza una vera e propria cultura di relazione, dove il senso dell'altro è presente in una prospettiva d'amore, una cultura della verità, amata con il “cuore” e coltivata con l'intelligenza (don Eugenio Riva).
del 30 gennaio 2008
1.      Don Bosco, risposta all’abbandono dei giovani
 
        La festa di don Bosco non è una semplice occasione per rispolverare qualche episodio della vita. Don Bosco è uno stile di risposta alle esigenze dei giovani. Don Bosco è una risposta appassionata e razionale alla situazione di abbandono della gioventù.
        All’epoca di don Bosco l’abbandono era evidente e sconcertante: si trattava di una classe sociale abbandonata, perché non considerata. Oggi, istituzionalmente, nessuno resta abbandonato: programmi scolastici, attività ricreative, spazi di aggregazione, tutto è all’insegna dell’organizzazione. Eppure, forse, i giovani si trovano maggiormente abbandonati all’esistenza, abbandonati di fronte alla povertà dei modelli morali, alla esiguità dei modelli di comunità e riesce loro difficile scorgere un compito per cui valga la pena di vivere. Situazioni di povertà e di abbandono si scorgono là dove il giovane non riesce a sviluppare in pienezza la sua ricchezza interiore.
        Umberto Galimberti, filosofo e psicologo, ha scritto un libro sui giovani e afferma con decisione che i giovani stanno male, perché «un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni, rendendole esangui» (U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007, p. 11).
        Il disagio non è più psicologico e legato alla sofferenza individuale, ma è culturale; non è limitato al singolo individuo, ma l’individuo è vittima di una mancanza di prospettive e di progetti, di deserto dei valori e di inaridimento dei legami affettivi. Nietzsche, rievocato dall’autore come un precorritore del disagio del nostro tempo, ne dà il drammatico annuncio: «Il nichilismo è alle porte: da dove ci viene costui, il più inquietante fra tutti gli ospiti?» (F. Nietzsche, Frammenti postumi, 1885-1887, fr. 2 [127]). E continua: «Nichilismo: manca il fine; manca la risposta ai “perché”. Che cosa significa nichilismo? – che i valor supremi perdono ogni valore» (Ib., fr. 9 [35]).
        Non resta che adeguarsi alla tragica situazione: «Nietzsche chiama il nichilismo “il più inquietante fra tutti gli ospiti”, perché ciò che esso vuole è lo spaesamento come tale. Per questo non serve a niente metterlo alla porta – afferma Heidegger -, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia” (M. Heidegger, La questione dell’essere (Sopra la linea), (1955-1956), p. 337).
        Di fronte a questa situazione non resta che accettare la situazione, mantenendo una ragionevole prudenza del pensiero e imparando a navigare a vista tra gli scogli del mare della precarietà, nella traversata della vita. L’appello si conclude nella indicazione di abbandonarsi alla corrente della vita, facendo propria l’”etica del viandante”, naufraghi come Ulisse. È un andare che salva se stesso, cancellando ogni orizzonte, ogni meta, ogni valore assoluto per vivere con una speranza che, di fronte alla indecifrabilità del destino, si limita “realisticamente” al possibile. La vita è una «navigazione a vista».
        Di fronte a queste chiamate di abbandono, alla perdita dei valori, don Bosco è presente come testimone di una speranza che supera i confini del presente per aprirsi ai grandi valori della vita umana e cristiana. Benedetto XVI, testimone di speranza per il nostro tempo, ci indica una via maestra indicata dai padri della Chiesa dei primi tempi: riempire il nostro cuore del desiderio di Dio. «L’uomo ha bisogno di Dio – afferma più volte il Papa -, altrimenti resta privo di speranza» (Spe salvi, 23).
        Sant’Agostino ci indica la via della preghiera come esercizio del desiderio: «La vita di un buon cristiano è tutta un santo desiderio. Ma se una cosa è oggetto di desiderio, ancora non la si vede, e tuttavia tu, attraverso il desiderio, ti dilati, cosicché potrai essere riempito quando giungerai alla visione» (Agostino, Commento alla prima lettera di Giovanni, 4,6).
 
2.      Lo stile della bontà e dell’autorevolezza
 
        Don Bosco era un uomo operativo. Aveva una innata capacità di azione, sorretta da una volontà ferrea. La sua partecipazione ai problemi dei giovani lo portava trovare risposte creative e profetiche alle esigenze dei giovani. Don Bosco era un «sognatore realista»: i suoi sogni sono il simbolo della sua immensa capacità di partecipazione affettiva; sognava in grande e sapeva perseguire con costante tenacia ciò che si prefiggeva a favore dei giovani.
        Don Bosco era un «padre autorevole», un amico che sapeva dimostrare la sua affettuosità paterna pur nella severità e intransigenza nei confronti dei suoi collaboratori: Diceva spesso: “in qualunque cosa fate pure assegnamento su di me, ma specialmente nelle cose dell’anima. Per parte mia vi do tutto me stesso”. Aveva una disponibilità accattivante.
        Don Bosco era un «uomo di cuore». Conosceva interiormente i suoi giovani e partecipava ai loro dolori e alle loro gioie. Il suo fascino proveniva dalla capacità di contemperare autorevolezza e amorevolezza. L’umanità di don Bosco è qualche cosa che traspare dalla sua capacità di comunicare, di farsi coinvolgere, di mettersi a disposizione degli altri, di creare un clima sereno e di familiarità.
 
 
3.      La capacità di ascolto e l’accoglienza del cuore
 
        L’attenzione alle esigenze dei giovani è dettata dalla accoglienza del cuore. Non si tratta di un semplice stratagemma psicologico, ma di senso di rispetto e di partecipazione. Ascoltare significa capacità di immedesimazione per saper cogliere la ricchezza interiore e il valore della persona. La pedagogia dell’ascolto, di cui don Bosco è stato maestro, supera il livello degli atteggiamenti immediati per cogliere il mondo delle esigenze profonde.
        Non si tratta solo di un ascolto emotivo che coglie ciò che immediatamente colpisce e che suscita sensazioni epidermiche di compartecipazione; non si tratta neppure di un ascolto “ideologico” che interpreta tutto all’interno dei propri rigidi schemi mentali o delle proprie concezioni di vita. L’ascolto di don Bosco è nei confronti delle necessità profonde dei giovani: la voglia di gioia e di felicità, la tensione ad espandere le proprie doti, il desiderio di incontrarsi e di fare amicizia, il bisogno di affrontare le situazioni difficili dell’esistenza con coraggio e capacità di progettazione.
        La relazione di accoglienza e di stima che si crea tra l’educatore e il giovane è all’insegna dell’amorevolezza. Per don Bosco un educatore deve sempre mostrare un volto sereno e lieto, pronto all’incoraggiamento e alla correzione, in modo da amplificare le energie migliori di un giovne L’essenza del metodo preventivo sta tutta in questo atteggiamento di presenza accogliente, per cui prevenire significa agevolare la costituzione di uno stile di vita sano e virtuoso.
 
 
4.      La pedagogia delle occasioni
 
        Per don Bosco le occasioni concrete d’incontro determinano la possibilità educativa. Si tratta di cogliere il momento dell’incontro come occasione di ascolto e capacità di proposta, di fare dell’occasione d’incontro un’occasione formativa. Ecco il valore del cortile, il senso della festa, il significato della scuola, la forza emancipatrice del laboratorio. L’educazione passa attraverso gli ambienti dove si crea familiarità e collaborazione.
        Lo stesso sistema preventivo si fonda sulla familiarità, come atmosfera di coinvolgimento e di fiducia responsabilizzante.
 
 
5.      La cultura dell’amorevolezza.
 
        Il messaggio di don Bosco potrebbe essere riassunto nell’idea di “cultura dell’amorevolezza”, da intendere come ascolto della persona: essere uomini di cultura è essere uomini di cuore. Si tratta di saper muovere da ciò che la persona umana può esprimere, o riesce a saper fare. Cultura dell’amorevolezza è anche capacità immaginativa, in un mondo che spesso presenta una sorta di “analfabetismo emotivo” e di “inaridimento del cuore”. Si tratta di vedere nell’altro ciò che può divenire, riuscendo ad andare con l’immaginazione al di là di ciò che risulta dall’immagine del presente: qui si fonda il credito e la fiducia verso i giovani.
        Nietzsche, contemporaneo di don Bosco, afferma che solo le menti pienamente mature riescono ad amare la verità, mentre «i giovani amano l’interessante e lo strano, ed è loro indifferente che esso sia vero o falso». Per don Bosco il giovane ha una particolare sensibilità a farsi prendere dalla verità, non come semplice gusto della riflessione mentale, ma piuttosto come adesione appassionata ad un mondo di valori per cui vivere ed impegnarsi, quali la giustizia, l’amicizia, la libertà, l’amore.         L’educazione «è cosa di cuore» perché il giovane per sua natura è «cuore» e comprende il linguaggio del cuore. Anche per un universitario l’educazione dell’intelligenza ha bisogno del «cuore» per raggiungere la verità delle cose: l’interesse per la verità trova le sue vie a partire dal «cuore», dal desiderio e dal sentimento, dalla partecipazione interiore di tutta la persona. Sant’Agostino nelle Confessioni lo afferma con decisione: «Inde quippe animus pascitur, unde laetatur», «Nutre la mente ciò che la rallegra» (Confessioni, 13,27,42). La nostra intelligenza – direbbe Goleman - è una «intelligenza emotiva».
        Lo stile dell’amorevolezza è una vera risposta alla situazione di abbandono in cui vengono a trovarsi oggi molti giovani. La grande intuizione di don Bosco è di fare dell’amorevolezza una vera e propria cultura di relazione, dove il senso dell’altro è presente in una prospettiva d’amore, una cultura della verità, amata con il “cuore” e coltivata con l’intelligenza.
don Eugenio Riva
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