Don Filippo ci scrive... n. 54

Vi chiedo una preghiera per la situazione di tutti questi giovani che rischiano così tanto la vita per venire in Europa perché possano capire e rinunciare...

Don Filippo ci scrive... n. 54

del 30 gennaio 2015

 

 

Carissimi amici, come state?

Spero bene, in questo mese di gennaio anche noi qui in Etiopia stiamo preparando la festa di don Bosco, soprattutto quest’anno in cui ricordiamo il 200° anniversario della nascita.

Le attività nella nostra missione di Pinyudo continuano, la catechesi, gli incontri, l’asilo e l’hostel per studenti delle scuole superiori, le cappelle intorno alla missione, ma in particolare una bella notizia è arrivata da poco: abba Giorgio ritorna nella prima settimana di febbraio, dopo una cura intensiva per la sua salute, ha già passato i 70 anni, ora è pronto per ritornare e lavorare insieme. Per questo sono molto contento, così potremo condividere la vita e il lavoro qui della missione.

L’unica cosa non molto confortevole è che la temperatura ha raggiunto stabilmente durante il giorno i 40°, da mezzogiorno alle tre del pomeriggio nessuno si muove per non rischiare qualche insolazione o la disidratazione, poi la vita riprende. Il sollievo arriva di notte, scendiamo vicino ai 30°, sembra veramente fresco.

In questo mese, nell’accompagnare ad Addis Abeba due amici venuti a progettare un bel impianto fotovoltaico per la missione e che ringrazio già fin d’ora, Renato e Augusto, ho avuto l’occasione di parlare con alcuni salesiani etiopi che hanno un familiare o un parente che è scappato dall’Etiopia o dell’Eritrea e ha tentato di raggiungere prima l’Italia e poi il resto dell’Europa. Quello che noi vediamo che sta succedendo nel Mediterraneo è solo l’ultima parte di un viaggio terrificante che moltissimi giovani da qui stanno tentando. Proprio di questo vorrei raccontarvi.

Si parte da Addis Abeba in Etiopia oppure da Asmara in Eritrea o da alcune grosse città dove si contattano delle persone apposite che ti informano del viaggio e soprattutto del costo, all’inizio ti chiedono 5 o 6 mila euro, che per la gente qui è una cifra enorme. Quando la cifra è pagata si parte, dentro un camion si arriva al confine con il Sudan, dove facilmente a piedi si passa dall’altra parte e poi di nuovo in camion verso Khartoum. Dalla capitale del Sudan si parte verso il deserto per raggiungere molte volte la Libia, ma anche l‘Egitto. Un viaggio di giorni, trattati come animali, con poca acqua e poco cibo, dove l’unica parola è sopravvivere.

In Libia c’è una specie di prigione ad attendere le persone che vogliono attraversare il Mediterraneo, da cui o si esce prendendo un barcone o si viene uccisi.

L’organizzazione criminale è tutta di origine araba, durante tutto il viaggio è in continuo contatto con persone che vivono nella città di partenza, chiedendo più e più volte altri soldi, attraverso telefoni satellitari. Danno gli ultimatum: entro tre giorni devi pagare questa cifra, se la tua famiglia o i tuoi amici non pagano ti uccidiamo e se i soldi non arrivano in tempo, proprio al telefono prima rompono un braccio o una gamba oppure uccidono la persona che in quel momento è al telefono con i familiari. 

Si sentono cose terribili: rompono le gambe così non puoi camminare e ti abbandonano nel deserto, alcuni vengono uccisi intenzionalmente per prelevale e vendere gli organi interni, prelevano anche gli occhi, rompono una bottiglia e con quella prendono un occhio, e ancora abusi di ogni tipo.

Poche sono le donne che partono dall’Etiopia, ma molte dall’Eritrea, vista la situazione interna, queste vengono abusate dall’inizio alla fine del viaggio, ecco il perché arrivano sui barconi con bambini e senza un padre, oppure sono incinte o partoriscono in viaggio. Il viaggio per loro è davvero terrificante.

Oltre ad essere il Mediterraneo un cimitero, molto di più è il deserto che c’è tra il Sudan e la Libia, dove ormai migliaia di giovani eritrei e etiopi sono scomparsi. Ormai sono un buon numero i parenti di salesiani etiopi che hanno intrapreso questo viaggio e che poi chiedono un aiuto anche a noi per salvare il fratello o quel parente pagando una notevole somma qui ad Addis Abeba.

Molte organizzazioni si stanno muovendo, soprattutto la chiesa cattolica qui in Etiopia per dissuadere i giovani dal partire, per avvisare dell’enorme pedaggio che si paga per questo terrificante viaggio, non solo in termini di soldi, ma in termini di umanità. Sentendo anche quelli che sono arrivati, qualcuno li ha incontrati a Roma o in giro per l’Europa, tutti vorrebbero non aver mai fatto quel viaggio, mai.

Anche noi salesiani, soprattutto quelli nelle case del nord dell’Etiopia siamo attivati per fermare i giovani dall’andare in Europa attraverso questa via, ma il miraggio di un vita più confortevole rispetto a quella che hanno è grandissimo.

Vi chiedo una preghiera per la situazione di tutti questi giovani che rischiano così tanto la vita per venire in Europa perché possano capire e rinunciare, prima di tutto.

Un saluto a tutti gli amici nel ricordo di don Bosco.

 

Abba Filippo

 

 

 

Don Filippo Perin

 

 

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