Se la Rai non trasmetterà più Miss Italia mi pare un progresso, e comprendo come Laura Boldrini se ne rallegri: non si vede perché il servizio pubblico debba avvalorare questo modello, diciamo, culturale.
La querelle su Miss Italia e la Rai mi fa tornare in mente un servizio a Salsomaggiore, da giovane inviato. Era il 1991 e potevo passare per una sorella maggiore delle concorrenti; così, accompagnandomi a un gruppo di madri e amiche, mi trovai quasi senza volerlo dietro le quinte del teatro in cui si preparava la sfilata. C’erano le ragazze sul palco, sguardi da acerbe pantere o, già alteri, da bella del paese, abituata a far voltare la gente. Alcune con qualcosa di ancora infantile, altre precoci e sicure; ma tutte con addosso, percepibile, una gran voglia di venire via dalla loro vita "normale", dalla scuola, dalla provincia, voglia di sfondare ed entrare in un mondo di stelle. Se alcune facevano tenerezza, le loro madri, quelle lì di sfroso fra le quinte oppure attendate, ansiose, all’ingresso, erano un altro capitolo.
Belle donne mature, con in faccia visibile il rimpianto di ciò che credevano di aver perduto non sfruttando appieno la loro bellezza, e avendo una famiglia, o lavorando magari dietro la cassa di un bar. Le madri delle miss sinceramente mi facevano un po’ di paura, per la smodata ansia con cui si identificavano con il destino delle loro figlie, quasi che quelle dovessero brillare, ora, al loro posto, per risarcirle di una vita grigia. Quando poi, con il passare delle ore, cominciava a girare voce che l’una o l’altra concorrente fosse favorita, la fanciulla in questione veniva squadrata da decine di occhi femminili non proprio benevoli, in un sussurrio di «con quelle gambe, dove crede di andare?» o «ma hai visto come è piatta?» o – sibilato in tono tranchant dalla madre di una rivale: «Sedere basso», ed era come un pollice verso.
Le fanciulle intanto venivano istruite su come sfilare e muoversi, e che faccia fare; mi restò in mente il monito di una organizzatrice che maternamente spiegò alle miss che dovevano "avere l’aria" di ragazze perbene, non di..., e qui disse una antica volgare parola, ingentilita però da un vezzeggiativo. Guardai le concorrenti in fila, non sembravano offese; e subito ripresero a provare. Il backstage di Salsomaggiore mi lasciò il sapore del passaggio in un pianeta malinconico e vecchio; bellissime, quelle ragazze, ma così ubbidienti, così mestamente docili e pronte a mostrare i loro splendidi diciott’anni, il petto in fuori, ai giurati.
Questa vecchia cronaca per dire che se la Rai non trasmetterà più Miss Italia mi pare un progresso, e comprendo come Laura Boldrini se ne rallegri: non si vede perché il servizio pubblico debba avvalorare questo modello, diciamo, culturale. Anche se nel frattempo mi pare che quel backstage di vent’anni fa si sia come allargato, e le vallette e le veline proliferino e siano un modello ben oltre Salsomaggiore. Una di loro, famosa, ha detto in una intervista che le donne mercificate non esistono, perché ogni donna fa di sé e della sua bellezza quel che le pare. Il che potrebbe anche essere in linea col famoso "io sono mia", slogan di anni ruggenti; e però non è esattamente così che la intendevano le femministe di trent’anni fa, non è vero? Contemplando le fanciulle di Salsomaggiore mi dicevo: una mia figlia, se l’avrò, qui non verrà. La figlia è nata, ora ha sedici anni. Ma cosa veramente impedisce che una bella ragazza voglia fare la miss? Credo, solo la certezza profonda di avere un valore molto più grande delle sue gambe, o del suo seno. È la coscienza di essere infinitamente più di un bel corpo, è una consapevolezza che si trasmette di giorno in giorno a una bambina. L’alternativa è l’impotente moralismo del "non si deve"; o il vuoto dello svagato "perché no?", che oggi domina. Una donna conscia della sua testa e del suo cuore non ci sta a mossette e sfilate, non è tristemente docile. Bene, se la Rai non ci mostrerà più questa vecchia roba. Però non canterei proprio vittoria; non potendo non chiedermi se è proprio così, come le vediamo mute e sorridenti su ogni canale, che le donne dei cortei anni 70 si immaginavano le loro figlie "liberate".
Marina Corradi
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