Dopo la visita dell'Onu, delusione e rabbia tra i birmani

Continuano i rastrellamenti notturni di cittadini e monaci; i soldati fanno terrorismo psicologico per le strade e ammassano prigionieri in strutture statali in disuso. Atteso per oggi il rapporto Gambari al segretario generale Ban Ki-moon, ma la gente non ha fiducia nelle Nazioni Unite e cresce rabbia per l'accondiscendenza di Cina, India e Thailandia verso la giunta.

Dopo la visita dell’Onu, delusione e rabbia tra i birmani

da Attualità

del 04 ottobre 2007

Yangon– Continuano senza sosta i rastrellamenti notturni e gli arresti indiscriminati in Myanmar, mentre tra la popolazione birmana di ogni religione – buddista, cristiana, musulmana – crescono “rabbia e delusione” per la recente visita dell’inviato Onu, Ibrahim Gambari, ripartito ieri “senza nulla in mano” e per l’atteggiamento delle grandi potenze confinanti. Fonti di AsiaNews a Mandalay raccontano di “numerosi arresti” condotti anche la notte scorsa dalle forze di scurezza birmane,. Stessa situazione a Yangon, centro delle proteste nazionali contro la dittatura militare. Testimoni riferiscono di raid in diversi quartieri, durante le ore di coprifuoco; in particolare le zone dove si sono svolte le manifestazioni, come la famosa pagoda Shwedagon. Le forze governative catturano anche i passanti casuali, senza distinzione. Un cittadino comune, che chiede l’anonimato, racconta di essere stato detenuto per tre giorni alla vecchia Università di tecnologia di Yangon solo perché si trovava a “passare vicino ad un corteo”. “Nell’edificio – continua – sono ammassate decine di migliaia di persone in condizioni igieniche disperate, mentre i bonzi rifiutano di mangiare il cibo che passano i carcerieri”. Con vere e proprie tecniche di terrorismo psicologico i soldati pattugliano le strade della città di notte urlando dai megafoni che sono in possesso delle foto dei ricercati, i quali “verranno presto catturati”.

 

 

Condizioni peggiori dell’88

 

Impossibile stabilire quanti siano gli arresti compiuti da quando la protesta ha raggiunto il culmine orami quasi 3 settimane fa. Quel che è certo è che rispetto all’ultima grande sollevazione popolare - quella del 1988, soffocata nel sangue con 3mila morti – “le vittime sono di meno, ma il disagio e la repressione maggiori”, si dice tra la gente. Attivisti stimano in oltre 6mila i detenuti e gli scomparsi, di cui circa 1400 monaci buddisti e un funzionario dell’Onu con tre membri della sua famiglia. Il bilancio ufficiale dell’intervento militare contro le manifestazioni pacifiche è di 10 morti, ma secondo diplomatici e gruppi internazionali supererebbero i 200.

Peggiore rispetto all’88 è anche la condizione della popolazione: il flusso turistico è calato drasticamente e con lui anche i guadagni già miseri della gente, i taxista si lamentano che nessuno prende il taxi e non hanno lavoro, al mercato anche i beni alimentari di prima necessità sono aumentati di prezzo.

 

 

Delusione e rabbia tra la gente

 

Intanto c’è attesa oggi in serata per il rapporto di Gambari al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, sulla sua visita di 4 giorni nell’ex Birmania; qui l’ex ministro nigeriano degli Esteri ha incontrato il capo della giunta Than Shwe e la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi.

Ma la gente non nutre grandi speranze nell’Onu e monta la rabbia per la politica di accondiscendenza di governi internazionali con il regime militare. “Dopo la partenza di Gambari – sottolineano fonti anonime – la repressione è ripresa anche in modo più grave, ci sentiamo abbandonati dalle potenze mondiali, siamo arrabbiati con i nostri vicini Cina, India e Thailandia, che non adottano misure forti contro il regime, ma anzi lo sostengono per continuare a sfruttare i nostri prodotti e le nostre risorse naturali”. Ma la rabbia è prima di tutto contro il governo e i soldati, che “hanno profanato i templi e monasteri buddisti e usato la forza contro i bonzi, a cui persino gli stranieri portano rispetto”.

Nonostante tutto la popolazione crede ancora fortemente di avere il “dovere di manifestare”. Cattolici e musulmani si uniscono ai buddisti nel pregare per la democrazia e la fine delle violenze – raccontano da Mandalay – la cosa positiva è che ora tutto il mondo consoce la nostra tragedia, speriamo solo che tra poco i riflettori non si spengano, aiutateci a portare avanti la nostra causa per la libertà”.

AsiaNews

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