Dove e come si nasce alla fede

L'artigiano fa vedere, provare, toccare con mano all'apprendista, passa il suo mestiere, trasmette un'esperienza...

Dove e come si nasce alla fede

da Teologo Borèl

del 25 novembre 2010

         

          L'iniziazione cristiana.

          «L’iniziazione cristiana non si può ridurre alla semplice catechesi – afferma don Giorgio Bezze, direttore dell’ufficio catechistico diocesano – Certo, ne fa parte, ne è uno dei momenti fondamentali. L’iniziazione cristiana è quel complesso di azioni che una comunità, fatta di cristiani adulti, mette in atto per generare alla fede ragazzi, e oggi anche sempre più adulti.

          I vescovi, nella lettera pastorale del 2004 Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, affermano infatti che sempre di più gli adulti hanno bisogno di essere iniziati alla fede».

          Partiamo allora da cosa significa iniziazione cristiana.«Letteralmente iniziazione esprime un’azione iniziale, un inizio di azione o un introdurre attraverso un’azione. Gli inizi sono sempre faticosi perché si tratta di imparare a diventare abili nel fare qualcosa.

          All’inizio non si è pratici, molte cose non si capiscono, altre non si maneggiano bene e sappiamo che, per superare questa fase iniziale, c’è bisogno di qualcuno dell’ambiente che ci accompagna dentro, che ci spiega come funzionano le cose, vigilando attentamente sui nostri tentativi di riprodurre comportamenti e mettendoci in buoni rapporti con le altre persone dell’ambiente stesso per poter godere della loro testimonianza e delle loro abilità.

          È il duplice significato letterario della parola “iniziazione”: iniziare e azione, agire».

          Quindi si potrebbe definire l’ic una sorta di apprendistato?

          «Sì, è quel complesso di azioni che la comunità mette in atto non solo per far passare dei contenuti, ma facendo fare esperienza di cosa vuole dire vita cristiana e comunitaria, cosa significa e quali sono i passi da compiere per essere inseriti e legati nella vita in Cristo e vita della chiesa.

          In questo senso l’iniziazione cristiana avviene non solo attraverso la catechesi, ma con tanti momenti catechistici sempre più esperienziali. È quindi un processo globale dove tutti i livelli della persona sono coinvolti: non solo quello cognitivo, ma quello relazionale e affettivo, diffuso nel tempo e non concentrato nel periodo di preparazione ai sacramenti».

          Quali sono i momenti catechistici?

          «Le celebrazioni, la testimonianza della carità (il far del bene mostra che la fede ha una traduzione in gesti anche concreti), i momenti di fraternità dentro la vita comunitaria. Sono riti, gesti e azioni che devono essere spiegati da qualcuno e che non vedono protagonisti solo alcuni “addetti ai lavori”, come i catechisti, ma l’intera comunità di adulti che attiva tutte le figure educative al proprio interno, come ad esempio gli educatori Acr, lettori, animatori missionari, responsabili dei ministranti, ministri straordinari dell’eucaristia…».

          Tutta la comunità, quindi, ne viene coinvolta.

          «Certo, e questa attenzione mette in moto belle e forti alleanze educative dentro la comunità stessa e ci dice che se la comunità non fa questo rischia di perdere la sua identità. La comunità è nata per fare i cristiani».

          Essere “grembo che genera alla fede”!

          «Essere grembo è proprio un far fare apprendistato: l’artigiano fa vedere, provare, toccare con mano all’apprendista, passa il suo mestiere, trasmette un’esperienza. Questo ruolo iniziatico però si sta perdendo tra gli adulti: i genitori sono i primi a cui manca, non sono più capaci di iniziare alle fede, hanno perso il loro ruolo di accompagnatori.

          Come comunità dobbiamo aiutare i genitori e gli adulti a recuperare questo ruolo. Stiamo vivendo un momento di grande passaggio: siamo definitivamente usciti dalla società cristiana. Alcune comunità ne hanno coscienza, altre non ne sono ancora convinte e mantengono l’esistente più che pensare nuove forme di annuncio del vangelo e ripensare l’iniziazione cristiana».

          Come prepararsi in questo senso?

          «Le parrocchie sono chiamate a passare da una catechesi puericentrica a una catechesi adultocentrica, affiancandoli nella riscoperta di un cammino di fede perché si riapproprino del loro ruolo di accompagnatori.

          È un investimento: la comunità prende coscienza del proprio ruolo e attua un cambiamento di mentalità che la coinvolge nel suo complesso: non è più tempo per camminare da soli ed essere isolati. Se l’obiettivo è fare i cristiani, è necessario convogliare tutte le energie e le risorse a questo obiettivo».

          Si cambia allora, e definitivamente?

          «Cambiare impostazione è l’obiettivo pastorale dei prossimi anni. E si parte dal rivedere l’impianto dell’iniziazione cristiana: attraverso quale catechesi avviciniamo i nostri ragazzi? Scolarizzata o descolarizzata?

          Quali percorsi di riscoperta della fede per adulti e genitori vogliamo proporre? Quest’analisi ci permetterà di individuare e fissare alcuni punti di non ritorno per l’ic dove tutte le persone e le comunità si riconoscano».

          Questa “nuova” iniziazione cristiana si rifà a un modello preciso?

          «Il modello che i vescovi suggeriscono come paradigma di ogni iniziazione è il catecumenato. Cioè il cammino per diventare cristiani che era tipico delle chiese dei primi secoli dove cristiani non si nasceva ma si diventava, come oggi».

          Di quali elementi si sostanzia il catecumenato?

          «Assicura quegli elementi e aspetti che sono la gradualità, l’esperienzialità, il coinvolgimento dei soggetti e quindi della famiglia e della comunità cristiana che accompagnano i catecumeni. È un cammino ritmato da tappe, riti, celebrazioni ben precise e dove si riporta la celebrazione dei sacramenti a un unico evento».

          Si prepara il nuovo tornando al passato…

          «Per ritornare a vedere un valore, bisogna ritornare alle origini! Il catecumenato, inoltre, prevede l’unitarietà dei sacramenti, visti come unico evento di grazia, e che non si inizi tanto ai sacramenti ma “attraverso” i sacramenti che, così, non si presentano come il fine, ma come una tappa di un cammino che non si chiude con l’età giovanile, ma prosegue sempre. Il vero fine dell’ic è vivere la vita cristiana, essere inseriti in Cristo e nella vita della chiesa. La celebrazione dei sacramenti diventa quindi il tempo dell’approfondimento di questo».

          Qualcuno potrebbe sentire questa proposta come troppo impegnativa e difficile, visti i tempi attuali.

          Avremo chiese e comunità ancora più vuote?

          «Questo è un rischio che si può correre. Ma se gli adulti riusciranno a comprenderne i “guadagni”, se un genitore riceverà davvero da questo cammino, questo farà superare la diffidenza e l’opposizione.

          Alcune diocesi in Italia hanno già iniziato da qualche anno questo cammino: è vero che si chiede di più, ma se il percorso è appagante, contagioso, anche l’adulto ci prende gusto, lo segue e lo propone ad altri. Nel momento in cui si comprende il vantaggio, vi sarà spontaneo il coinvolgimento degli adulti nella vita della comunità cristiana.

          Non è un sistema che convertirà tutti, e non è quello che si propone: è un ripensamento che la nostra diocesi ritiene importante per offrire davvero a tutti le condizioni migliori per camminare insieme nella fede».

Claudia Belleffi

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