Ha bisogno non di grandi profeti, ma di piccoli e quotidiani che, là dove vivono, incarnino un progetto senza inganno o violenza, facciano risuonare parole più profonde, orizzonti chiari, lealtà, coerenza, giustizia.
del 04 dicembre 2009
 
Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
 
 
 
Il Vangelo chiama a confronto storia e profezia. La grande storia è riassunta da Luca nell'elenco iniziale di sette nomi propri che tracciano la mappa del potere politico e religioso. Sono sette, a simboleggiarne la pienezza e a convocare tutto il potere di ogni tempo e di ogni luogo. Alla geografia dei potenti sfuggono però un deserto, un uomo, una parola.
 
Il quasi-nulla, quanto basta tuttavia a mutare la direzione della storia: mentre a Roma si decidevano le sorti dei popoli, mentre Pilato, Erode, Anna e Caifa si spartivano il potere su quella terra assolata e passionale, su questo meccanismo perfettamente oliato, cade un granello di sabbia del deserto, un granello di profezia: la Parola discese, a volo d'aquila, sopra la sua preda, Giovanni, figlio di Zaccaria e figlio del miracolo, nel deserto. La nuova capitale del mondo è il deserto di Giuda. Lontano dalle capitali e dagli imperi, da templi e da palazzi, la profezia è l'estasi di una storia che non basta a se stessa.
 
Nel deserto, dove un uomo vale quanto vale il suo cuore, dove è senza maschere e senza paure, solo nel deserto la goccia di fuoco della profezia può dare il suo frutto. «La Parola fu su Giovanni». In cinque semplicissimi termini è racchiusa la mia e la tua vocazione. Chiamati ad essere profeti: metto il mio nome al posto di quello del profeta, e so che molte volte ormai la Parola è venuta sopra di me, e non mi ha trovato. Ma so che deve venire, verrà, perché di me non è stanca.
 
Ha bisogno non di grandi profeti, ma di piccoli e quotidiani che, là dove vivono, incarnino un progetto senza inganno o violenza, facciano risuonare parole più profonde, orizzonti chiari, lealtà, coerenza, giustizia. E la misteriosa e mai revocata scelta di Dio: fare storia con chi non ha storia, scegliere la via della periferia, entrare nel mondo dal punto più basso, da dove l'uomo soffre. Ciascuno di noi può diventare voce di una Parola, di una sillaba di Dio. Ma prima deve essere raggiunto, afferrato, conquistato da Cristo.
 
Per questo: «Preparate le vie del Signore», inventate vie attraverso le quali la Parola giunga fino al cuore; moltiplicate le strade della seduzione di Dio, date ogni giorno un po' di tempo e un po' di cuore alla lettura del Vangelo, lasciatevi affascinare. E poi, nel tuo eremo interiore, con perseveranza, rendi continuo come il respiro, normale come il pane, il dialogo del cielo.
 
(Letture: Baruc 5,1-9; Salmo 125; Filippesi 1,4-6.8-11; Luca 3,1-6)
 
Ermes Ronchi
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