Nello spettacolo che abbiamo appena visto il giudice ha detto: «I talenti sono come dei semi... Un seme è piccolo, pesa poco, ma quando diventa un albero pesa molto di più... E sai cosa serve per far crescere un seme? Serve solo dell'acqua, ma dell'Acqua giusta, direi dell'Acqua di Vita». Dio stesso è venuto sulla terra come un seme, un minuscolo germoglio. Un seme è un miracolo. La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi.
del 28 marzo 2007
 
1.      «È in Te, Signore, la sorgente della vita»
 
         Un giovane sognò di entrare in un grande negozio. A far da commesso, dietro il bancone, c’era un angelo.
«Che cosa vendete qui?», chiese il giovane.
«Tutto ciò che desidera», rispose cortesemente l’angelo.
Il giovane cominciò ad elencare: «Vorrei la fine di tutte le guerre del mondo, più giustizia per gli sfruttati, tolleranza e generosità verso gli stranieri, più amore nelle famiglie, lavoro per i disoccupati, più comunione nella Chiesa e…».
L’angelo lo interruppe: «Mi dispiace, signore. Lei mi ha frainteso. Noi non vendiamo frutti, noi vendiamo solo semi».
 
         Nello spettacolo che abbiamo appena visto il giudice ha detto: «I talenti sono come dei semi… Un seme è piccolo, pesa poco, ma quando diventa un albero pesa molto di più… E sai cosa serve per far crescere un seme? Serve solo dell’acqua, ma dell’Acqua giusta, direi dell’Acqua di Vita».
         Dio stesso è venuto sulla terra come un seme, un minuscolo germoglio. Un seme è un miracolo. La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi.
         Noi siamo qui per far crescere la nostra vita, e Gesù ci invita ad attingere acqua viva da Lui che è la Sorgente della Vita.
         Oggi vogliamo riconoscere il dono ricevuto e vogliamo dire al Signore: «È in te, Signore, la sorgente della Vita, alla tua Luce vediamo la Luce».
 
2.      Pietre deposte ai piedi dell’altare
 
         Siete venuti con tante pietre a questo incontro, ma le avete deposte ai piedi dell’altare, ai piedi di Gesù. Quella donna, buttata per terra, tremante di paura e guardata con disprezzo da una schiera di uomini pieni di odio e vendetta, viene salvata all’ultimo momento da Gesù. Il suo gesto ci ha fatto pensare e abbiamo deposto anche noi le nostre pietre di condanna.
 
         Gesù stava insegnando nel tempio di Gerusalemme, quando gli scribi e i farisei gli conducono questa donna che, secondo la legge di Mosè, aveva commesso un peccato grave, punibile con la morte. E Gesù si raccoglie in silenzio: «Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra» (Gv 8,6).
 
         Gesù si china in silenzio e traccia delle linee sulla polvere: affida il suo messaggio alla sabbia. È una scrittura misteriosa. L’odio e la vendetta incidono la legge sulla materia dura, sulla pietra; Gesù traccia la legge della misericordia sulla morbida polvere della terra.
La legge del perdono e della misericordia non ha nulla a che fare con le pietre che gli scribi e i farisei erano pronti a scagliare contro l’adultera. La legge della misericordia può essere tracciata solo sulla superficie delicata di un cuore di carne. La polvere della terra diventa per Gesù come un cuore sul quale si può scrivere con delicatezza il grande comandamento dell’amore, della misericordia, del perdono. Immaginiamoci che Gesù scriva oggi sul nostro cuore, con il suo dito, parole di misericordia…
 
         C’è un detto che dice: «Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce». Capita così anche nella nostra vita. Abbiamo l’impressione che il male e il peccato, la sofferenza e il dolore, siano più forti del bene e dell’amore. Ma Gesù capovolge la situazione e fa capire che bisogna far crescere nel cuore la bontà, la misericordia, la tenerezza, la fedeltà, il perdono.
Un cuore che ama e impara la legge fondamentale del perdono è come una foresta che cresce silenziosa e maestosa.
Un cuore in pace con Dio non abbatte i fratelli come si abbatte un albero, non li seppellisce sotto una grandinata di sassi.
 
         Vorrei raccontarvi una storia.
         Un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi allievi: «Quando finisce la notte e incomincia il giorno?».
«Forse da quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora?», disse un allievo.
«No», disse il rabbino.
«Forse quando, da una certa distanza si può distinguere un albero di datteri da un albero di fichi?».
«No», ripeté il rabbino.
«Ma quand’è, allora?», domandarono gli allievi.
Il rabbino rispose: «È quando guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel punto, è ancora notte nel tuo cuore».
Nel tuo cuore spunta l’alba quando incominci a voler bene e impari a perdonare i tuoi fratelli.
 
3.      «Ho paura di Gesù che passa»
 
         Siete venuti con tante pietre, di differente forma e peso, e avrete pensato: «Non sono venuto per scagliare questa pietra contro qualcuno»… Non sono come quegli scribi e farisei, osservanti della legge di Mosè, che erano convinti che la verità stesse dalla loro parte: «Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come queste. Tu che ne dici?» (Gv 8,5).
Eppure, se ci pensiamo bene, nella nostra vita quotidiana, quasi senza accorgercene, siamo pronti a lanciare pietre contro le persone con cui viviamo. Forse abbiamo perso anche la memoria della prima pietra che abbiamo lanciato… Forse la prima pietra che abbiamo scagliato ci sembrava tanto piccola da essere insignificante, da non essere neppure degna di essere ricordata… E, forse, dopo quella ne sono venute altre più pesanti e pericolose.
 
         Cari ragazzi e ragazze, chi si abitua da giovane a non controllare i propri impulsi e i propri istinti, si troverà presto tra le mani la pietra dell’indifferenza, della gelosia, maldicenza, del rancore, dell’ira, della superbia, dell’egoismo e gli sarà difficile non scagliarla.
 
         Se il nostro cuore non viene coltivato fin dalla giovinezza, avanza il deserto. Don Bosco diceva spesso ai suoi giovani: «Non aver paura di donarti presto al Signore. Se vuoi far fiorire il cuore, non inaridirlo con la superficialità».
 
         Una volta un missionario nel Nord Africa fu sorpreso da un curioso comportamento di un beduino. Ogni tanto l’uomo si stendeva per terra, lungo e disteso sul terreno, e premeva l’orecchio contro la sabbia del deserto.
Meravigliato, il missionario gli chiese: «Che cosa fai?».
Il beduino si rialzò e rispose: «Amico, ascolto il deserto che piange. Piange perché vorrebbe essere un giardino».
 
         Ci viene spontanea alle labbra la parola del salmo: «È in te, Signore, la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce». Dio è l’unica sorgente che può far fiorire il deserto…
 
         Tutti i guai, carissime ragazze e ragazzi, dipendono dalla prima pietra… Vi invito a pensare alla pietra che avete deposto ai piedi dell’altare. Immaginate che questa sia la prima pietra che avete scagliato… Quella pietra che siete andati a raccogliere, con umiltà e fatica interiore, per portarla qui a Gesù, come a dirgli: «Signore, mi ha colpito quello che hai detto a quegli scribi e a quei farisei: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”» (Gv 8,7).
Ho imparato che non devo criticare e condannare le persone con cui vivo.
Ho imparato che il coraggio non sta nella capacità di raccattare le pietre, ma nel prendere la patente per viaggiare nella vita con un cuore buono, «lento all’ira e grande nella misericordia».
Il vero coraggio non è quello di tagliare i panni addosso ai nostri avversari, ma di ricucire il cuore diviso, di riscaldare il cuore con la bontà, di farlo crescere nella fedeltà.
 
         È diventata famosa la frase di un grande Santo, sant’Agostino, il quale diceva: «Ho paura di Gesù che passa». E voleva dire: ho paura che passi e io non mi accorga, e così passi invano, senza sapere se ci sarà una seconda volta. Al termine di questa celebrazione eucaristica, dopo aver deposto la pietra di condanna, vogliamo andarcene con il cuore pieno di gioia e di pace perché abbiamo incontrato il Signore della Vita. Colui che non ci condanna, come non ha condannato la donna adultera. Colui che ci ha tolto la maschera che indossiamo quando siamo in gruppo e siamo complici con chi è più violento, con chi fa il bullo a spese dei più deboli, con chi rompe gratuitamente sapendo che c’è sempre qualcun altro che paga.
 
4.      «Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te»
 
         Il Maestro autentico, Gesù, ci ha costretti oggi a guardarci dentro. Il primo passo verso la santità viene compiuto quando il Signore fa l’appello e ci chiama per nome e noi abbiamo il coraggio di rispondere: «Sono qui. Ero venuto anch’io con una pietra da scagliare. L’ho deposta ai tuoi piedi. Siamo rimasti solo noi due. La mia miseria e la tua misericordia. Ho scoperto che tu sei l’unico Maestro nella vita. Tu, oggi, bussi alla porta del mio cuore e io la voglio aprire per accoglierti e per offrirti tutto me stesso.
 
         In Africa, durante la raccolta dei doni all’Offertorio, gli incaricati passavano con un grande vassoio di vimini. In prima fila era seduto un bambino che guardava con attenzione a quanto stava accadendo. All’improvviso, in mezzo allo stupore di tutti, il bambino si alzò e si sedette nel paniere. Tutti sorrisero compiaciuti. Sembrava volesse dire loro: «La sola cosa che possiedo, la dono in offerta al Signore».
 
         Siamo venuti a questa celebrazione eucaristica ed abbiamo offerto delle pietre. Gesù le ha accolte con simpatia. Ma dopo averle deposte, abbiamo avuto una grande sorpresa: il Signore ci ha chiesto di donargli la nostra vita. È un dono che non possiamo rifiutargli: «Ci hai fatti per te Signore, - diceva sant’Agostino - e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Agostino, Confessioni, I.1.1).
don Eugenio Riva
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