Che si creda o no alle feste religiose, che regolano l'anno dei credenti, la tradizione del mangiare insieme in famiglia rimane sempre viva. Anche mio papà che frequentava i preti ma non la chiesa, a Natale ci voleva tutti riuniti insieme. Era forse l'unico momento dell'anno dove noi fratelli cercavamo di essere puntuali per questo rito familiare. C'era anche la tradizione di un piatto vuoto a mensa: uno in più perché se arrivava un povero, c'era posto anche per lui.
del 22 gennaio 2008
Che si creda o no alle feste religiose, che regolano l’anno dei credenti, la tradizione del mangiare insieme in famiglia rimane sempre viva. Anche mio papà che frequentava i preti ma non la chiesa, a Natale ci voleva tutti riuniti insieme. Era forse l’unico momento dell’anno dove noi fratelli cercavamo di essere puntuali per questo rito familiare.
C’era anche la tradizione di un piatto vuoto a mensa: uno in più perché se arrivava un povero, c’era posto anche per lui. In tempo di guerra e di fame, si sperava noi ragazzi che il povero non arrivasse, ma la mamma ci diceva: «Il povero è Gesù che viene a casa nostra: dobbiamo accoglierlo bene!».
Era il piatto vuoto della carità semplice, umile, della gente povera, contadina; oggi il piatto vuoto ha assunto altri significati. Penso al piatto vuoto per la prima volta in una casa visitata dalla morte del figlio o della figlia in incidente stradale; al piatto vuoto nella casa di Domenico e Davide, i due protagonisti del delitto di Lecco, ora in carcere e come loro ai piatti vuoti delle famiglie di tanti giovani, vittime della loro violenza, della trasgressione, della droga.
Come non pensare al piatto vuoto delle famiglie che questa violenza l’hanno subita o ad altre dove la malattia ha portato in ospedale una persona cara? Diventa difficile da vivere il Natale con quel piatto vuoto, ancor più se nel cuore non abita la speranza, la certezza che, quando si ama, l’assente non lo è mai del tutto.
Uscendo da Messa, dopo avere parlato di questi piatti vuoti, mi si è avvicinata una mamma che mi ha parlato di suo marito, che se n’era andato con una donna più giovane di lei, piantandola con tre figli, il più grande di 15 anni, il più piccolo di 7: «Mamma, a Natale prepara lo stesso da mangiare per il papà. Ho scritto a Gesù Bambino perché lo faccia ritornare a casa...».
Ha promesso che glielo avrebbe preparato ma nel cuore stava gia inventando la scusa che giustificasse il mancato ritorno.
Alle tante mense che avranno un piatto vuoto per un’assenza, potremmo aggiungere quelli che invece il piatto vuoto ce l’hanno da sempre: i poveri del mondo. Sono come granelli di sabbia sulla spiaggia, scriveva padre Turoldo, e molti, troppi, sono bimbi e bimbe, per i quali non esiste quell’Eucaristia familiare, che è il mangiare a tavola insieme.
Il Natale è gioia del dono, non solo a chi ce lo può contraccambiare, ma al povero che troviamo nella nostre strade, sotto i ponti o in una comunità d’accoglienza; al povero che il missionario, la suora, laici giovani o adulti, stanno aiutando nei paesi della miseria e della fame.
È possibile vivere il Natale, dimenticando di mettere qualcosa nel loro piatto, educando anche i nostri figli a fare altrettanto? Solo così capiranno il senso del Natale: la storia incredibile di un Dio che da ricco, per amore, si è fatto povero!
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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