La testimonianza di un carceratoQuando mi è stato proposto di mettere sulla carta i miei pensieri sul tema del perdono, la cosa più spontanea è stata di chiedere a chi avevo di fronte se il perdono era inteso verso l'uomo o verso Dio; ironizzando sul fatto che con l'uomo mi sentivo a posto, e che con Dio avrei fatto i conti al momento opportuno.
del 16 aprile 2009
Quando mi è stato proposto di mettere sulla carta i miei pensieri sul tema del perdono, la cosa più spontanea è stata di chiedere a chi avevo di fronte se il perdono era inteso verso l’uomo o verso Dio; ironizzando sul fatto che con l’uomo mi sentivo a posto, e che con Dio avrei fatto i conti al momento opportuno.
 
Però ora, mentre scrivo, la mia domanda si fa più forte, e mi chiedo che cos’è per me il perdono, quello vero. Di certo se avessi dovuto definirlo qualche anno fa, vista anche la mia condizione di detenuto, mi sarei limitato a dire che il mio sbaglio lo sto pagando eccome, e che per questo non c’era alcun bisogno di dare un senso al perdono. L’orgoglio che avevo allora avrebbe risposto da solo alla domanda.
 
Del resto è abituale mettere l’orgoglio a confronto con l’errore; non solo nel contesto di un carcere, ma in tanti altri luoghi dove prevale un’educazione sbagliata. E lo si fa perché l’orgoglio fa parte dell’istinto umano, che spesso ha la pretesa di essere nel giusto, oppure perché si spera sempre che il prossimo possa capire la nostra giustificazione. Ma soprattutto, perché porsi con una facciata d’orgoglio è la cosa più semplice da fare; perdonare, infatti, è difficile. Il vero perdono non è qualcosa che vendi o che compri, non è un’opzione che puoi usare a tuo piacimento per rimettere a posto le cose quando non vanno, come a dire, semplicemente: “ok, ti perdono”.
 
Il vero perdono è la scelta più difficile, è lo strumento di crescita che il Signore ci dà quotidianamente insegnandoci ad usarlo, perché non puoi pretendere di perdonare, e tantomeno di essere perdonato, se prima non impari a porti nella condizione di saper perdonare te stesso.
 
Nella mia vita sbagliata, di buono in abiti da cattivo, sono sempre stato perdonato dalle persone che mi vogliono bene e al pari ho sempre cercato di perdonare, ma mi rendo conto che non era così, che continuavo a far del male a me stesso e a coloro che mi perdonavano, perché io per primo non mi perdonavo. Quelli erano perdoni pieni di ipocrisia, che servivano solo a star bene, momentaneamente, con me stesso.
 
Il vero perdono parte dal proprio cuore e deve essere vissuto senza pretese, sia che lo riceviamo, sia che a perdonare siamo noi. Non esiste altro modo per viverlo e, se esiste, è falso. Perché il perdono è un Bene più grande che ci viene donato e come tale va vissuto nel suo vero termine.
 
Forse mille persone prima di me avranno sillabato la parola perdono: per-dono, un qualcosa da regalare e ricevere dal prossimo, un qualcosa che dai con il cuore senza aspettarti niente, se non il ripartire di nuovo, insieme, in un percorso comune. Un qualcosa che ricevi con gioia perché un dono “vero” dà gioia immensa. Secondo me questo è il vero perdono: un dono offertoci attraverso una grande fatica, un’opportunità per non fermarci di fronte all’orgoglio, un cammino di fede.
 
Penso che il perdono dovrebbe essere la scelta di ognuno, e non solo perché deriva da un grande insegnamento, ma anche perché è qualcosa che nasce nel profondo del cuore di ogni uomo e, come ha ben scritto un mio compagno, il cuore di ogni uomo batte per le stesse cose per cui battono tutti gli altri cuori.
 
Buona Pasqua
 
Dario Fortini
Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)