Rubrica: Hey Jo, a cura di Marco Baù Questo è semplicemente la narrazione di una curiosità che ha stuzzicato la mia mente mentre completavo il corso di Salesianità al Don Bosco School of Theology di Manila. La dispensa che avevo tra le mani comparava il rapporto che San Francesco di Sales e don Bosco intrattenevano con le figure della mitologia classica. Don Bosco si dichiarava addirittura “assuefatto” a quelle storie.
a cura di Marco Baù
Questo è semplicemente la narrazione di una curiosità che ha stuzzicato la mia mente mentre
completavo il corso di Salesianità al Don Bosco School of Theology di Manila. La dispensa che avevo tra le mani comparava il rapporto che San Francesco di Sales e don Bosco intrattenevano con le figure della mitologia classica. Don Bosco si dichiarava addirittura “assuefatto” a quelle storie.
“Intorno agli studi fui dominato da un errore che in me avrebbe prodotto funeste conseguenze, se un fatto provvidenziale non me lo avesse tolto. Abituato alla lettura dei classici in tutto il corso secondario, assuefatto alle figure enfatiche della mitologia e delle favole dei pagani, non trovava gusto per le cose ascetiche. ” [1]
Nella traduzione inglese “assuefatto” viene reso con “addicted”, una termine che al mio orecchio suonava molto più forte dell’originale italiana e richiamava il campo semantico delle dipendenze, come quella che può avere una persona oggi per una serie tv. Per questo motivo ho realizzato che l’incidenza che i miti classici avrebbero potuto avere sulla mentalità di Giovanni Bosco poteva essere molto profonda e mi sono chiesto se nei sogni vi potesse essere un eco di questa “dipendenza” giovanile. Questo articolo si offre come tentativo di risposa alla domanda.
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II primo passo è stato quello di cercare un libro di mitologia che potesse verosimilmente essere stato letto da Giovanni Bosco a Chieri. Tramite una ricerca in internet mi è stato possibile analizzare un libro intitolato “Cognizione della Mitologia per via di dialogo, corredato con
passi di Storia, che hanno di fondamento a tutto il sistema della favola” [2].L’autore è François Xavier Rigord[3]. Mi venne il sospetto che potesse trattarsi di un libro simile a quello che Giovanni Bosco aveva tenuto tra le mani a Chieri sono le seguenti. Eccone le ragioni.
In primo luogo il titolo contiene due parole chiave presenti nella citazione delle Memorie dell’Oratorio, ovvero mitologiae favole. In secondo luogo, l’autore è francese e il libro è una traduzione dal francese che era lingua comune in Piemonte, il quale intratteneva con la Savoia e con la Francia una stretta relazione- culturale. La terza ragione è che si tratta di un libro stampato con la “licenza dei superiori” e ciò implicava la revisione delle parti considerati immorali e quindi inadatte ai fanciulli dei quali avrebbero potuto turbare la coscienza, idea che tra l’altro don Bosco adotterà come criterio nello scrivere la propria storia sacra. Una ulteriore ragione è che il libro è stampato ad uso degli studenti, come si può dedurre dal fatto che vi è stato aggiunto un dizionario mitologico. Non di meno importante è il fatto che il libro sia stato stampato nel 1767 a Bassano, e dunque sarebbe potuto pervenire a Chieri prima dell’anno in cui Giovanni Bosco doveva frequentare le classi di umanità, corrispondenti al biennio delle nostre scuole superiori.
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Se l'ipotesi era che vi fosse una eco tra i sogni di don Bosco e il materiale classico al quale si era assuefatto in gioventù, il secondo passo da fare era cercare delle immagini che avessero avuto somiglianza nei miti e nei sogni del soggetto. La prima ricerca è stata l’elemento della nave dato che è un immagine forte e centrale di uno dei sogni più importanti di don Bosco ovvero il sogno delle due colonne[4]. Uno dei primi riferimenti che ho trovato è stato quello al mito di Claudia Quinta, vestale romana. Questo stesso mito è narrato nei Fasti di Ovidio, un'altra fonte dalla quale don Bosco avrebbe potuto attingere. Riporto qui di seguito la storia:
A Roma viveva la vestale Claudia Quinta, la quale era considerata di cattivi costumi. Ad essa infatti piacevano gli ornamenti stravaganti nel vestire e le sue maniere libere di comportamento davano a pensare che non fosse casta come avrebbe dovuto essere in quanto vestale (consacrata). Un giorno i Romani fanno portare la statua di Cibele (La dea madre di tutti i popoli) a Roma dalla Frigia perché vogliono fermare la pestilenza che imperversa in città dato il raccolto magro dell'anno.
La nave fermossi all'imboccatura del Tevere, senza che si potesse farla andare innanzi. Allora Claudia, la cui riputazione era di mollo equivoca, colse questa occasione per far prova della sua virtù: rivolse quindi ad alta voce la sua preghiera a questa Dea, (Cibele) ed attaccata avendo alla nave la propria cintura, la fece avanzare senza resistenza e la condusse in porto'"1. La presenza della statua della dea fermò la carestia e fu di buon auspicio anche per la fine della seconda guerra punica e la vittoria contro Annibaie.
Le somiglianze con il sogno delle due colonne, ovvero gli echi, sono riscontrabili negli elementi delle due narrazioni. Vi è per esempio l’elemento della statua, in un primo caso di Cibele, la dea madre di tutti i popoli e nel sogno ovviamente è Maria aiuto dei Cristiani. L’elemento più interessante a mio parare è la nave che è in pericolo: nel caso del sogno il pericolo sono gli eretici e i nemici della chiesa mentre nel mito sono le acque basse del mare antistante Roma. A questo si collega il punto più evidente di raccordo tra i due racconti che è il legame che salva le due navi. Nel caso del sogno è la catena con la quale la nave si lega alle due colonne, Maria e l’Eucarestia. Nel mito invece è la cintura della vestale Claudia che se ne serve per trainare la nave fino al sospirato porto.
Concludendo questo breve tentativo di risposta, appena abbozzato, vorrei condividere le conclusioni che ne ho tratto, le quali si scostano dalla storicità o fondatezza di quanto ho scritto sopra. La prima è che Giovanni Bosco avrebbe davvero potuto trovare nella lettura dei classici, miti e fiabe, una articolazione della sua ricerca di senso. Egli si assuefò a quelle letture e arrivò a persino a considerarle un “errore”. Tuttavia, se vogliamo veramente comprendere la sua mentalità non possiamo saltare questa sua formazione classica. Potrebbe essere considerata una felix culpa! Egli ha certamente rinunciato alla lettura estensiva dei classici, ma quelle stesse letture hanno plasmato la sua mente forse perché ne avevano “agganciato” il cuore, ovvero le sue domande esistenziali.
In secondo luogo, credo che questa assonanza sia una buona notizia per chiunque oggi senta l’esigenza di quella che potremmo chiamare una “conversione dell’immaginario”. Per quanto l’immaginario di Giovanni fosse pagano, la sua mente e il suo sentire, è stata esattamente questa sua umanità ad essere abitata dall’ispirazione divina dei sogni. Dopo questa piccola ricerca, ritengo i sogni di don Bosco ancor più come luogo di incontro tra la sua umanità e il progetto di Dio, segno di un uomo vero e veramente di Dio. E allora non ci sarebbe niente di così pagano nel nostro pensare e sentire che non possa essere raffinato, come l’oro, e trasformato in realtà divina?
Giovanni Bosco, Memorie dell’oratorio, Seconda Decade, capitolo 8°.
[2] Francis Xavier Rigord, “Cognizione della Mitologia per via di dialogo, Accresciuta dai passi di Storia, che hanno di fondamento a tutto il sistema della favola", Bassano, Remondini, 1767.
[3] Padre Rigord (Marsiglia 1690 – Parigi 1739) è un gesuita francese, professore di umanità e retorica nonché precettore sempre a Parigi.
[4] MB VII, 169-171.
“Cognizione della Mitologia per via di dialogo”, pg. 16.
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