Si è conclusa a Edimburgo, in Scozia, la Conferenza missionaria mondiale che ha riunito 300 delegati di tutte le confessioni cristiane, provenienti da ogni parte del mondo.
del 16 giugno 2010
            La conferenza era stata indetta per celebrare il centenario del primo grande convegno mondiale sulla missione, tenutosi proprio a Edimburgo nel 1910. Quella data compare oggi negli annali come l’anno di inizio del movimento ecumenico moderno. Per una settimana, i delegati hanno cercato di mettere a fuoco le sfide per la missione nel XXI secolo, con tavole rotonde e incontri di gruppo.
            La Conferenza si è conclusa con una celebrazione ecumenica che trasmessa via web, si è svolta nella Sala dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, sede storica della Conferenza missionaria mondiale di cento anni fa. Al termine, membri in rappresentanza di tutti i continenti hanno dato lettura ad un appello comune in cui fra l’altro si dice: «Raccogliamo la sfida ad accoglierci nelle nostre diversità, ad affermare la nostra comune appartenenza al Corpo di Cristo attraverso il battesimo, e riconoscere il bisogno che abbiamo di reciprocità, di collaborazione e di lavorare in rete per la missione, affinché il mondo possa credere».            La notizia fa parte di quel mondo poco battuto dall’informazione corrente. Della Conferenza di Edimburgo infatti non si trova traccia, almeno in Italia, né sui quotidiani nazionali né sulle agenzie. D’altronde scopo primario di incontri di questo genere non è quello di risolvere i nodi più controversi del dialogo tra le Chiese, né quindi giungere ad accordi storici “da prima pagina”. Di questo si occupano i teologi e lo fanno nell’ambito silenzioso e paziente dei dialoghi ufficiali.            Ha ragione mons. Brian Farrell, del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che guidava la delegazione cattolica, quando afferma che la Conferenza di Edimburgo rappresenta piuttosto una delle «tappe necessarie» al movimento ecumenico «anche quando non conducono a risultati decisivi. Esse ci aiutano a crescere insieme come Corpo di cristo e questo è la cosa più importante». Durante i lavori dell’assemblea, sono emersi tutti i limiti della disunità delle Chiese per la missione. «Ma – ha aggiunto mons. Farrell – anche se ci sono delle differenze, noi possiamo collaborare. Il movimento ecumenico ha fortunatamente potuto superare l’idea secondo la quale non è possibile collaborare a causa delle nostre differenze».            Sembra essere questa l’idea portante emersa a Edimburgo. L’aveva lanciata il primo giorno Dana Robert, dell’Università di Boston, una delle maggiori esperte mondiali di storia della missione. «Non dobbiamo permettere alle difficili questioni teologiche, socio-culturali e politiche, nonché ai disaccordi sulle teologie, di scoraggiarci dal testimoniare al mondo di oggi l’amore di Dio e la salvezza portata da Cristo».            Al termine della conferenza, il pastore norvegese Olav Fykse Tveil, segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese aveva rilanciato: «Siamo chiamati a fare insieme tutto ciò che possiamo fare insieme, anche se ci sono punti di vista che ci separano». Ci sono infatti molti campi in cui lavorare insieme: dalla salvaguardia del creato all’impegno capillare per la giustizia sociale e la pace. D’altra parte le Chiese hanno un medesimo compito: quello di annunciare «lo stesso Vangelo». «Abbiamo – ha concluso Tveil – una comune responsabilità di fronte al mondo».
Maria Chiara Biagioni
Versione app: 3.25.0 (f932362)