Il problema dell'educazione non è un problema dei giovani, non è un problema di alchimie, l'educazione è un problema di uomini. Nembrini, che l'educazione l'ha vissuta come figlio, sperimentata come insegnante e la vive oggi come genitore, ne parla con una passione che riempie il cuore di speranza...
Baruccana di Seveso, la palestra del liceo scientifico per la comunicazione – Piergiorgio Frassati - è gremita, le sedie non bastano, ci sono persone sedute sui materassini e in piedi ai bordi della sala, meno male che il tema dell’educazione fa ancora muovere insegnanti, genitori e ragazzi che hanno voglia di capire, di confrontarsi, che hanno, come dice l’invito “passione” per l’educazione.
Stiamo attraversando un periodo storico dove pare non ci siano più certezze, dove non c’è più niente che è “male”, ma peggio ancora, non c’è più nulla che si possa chiamare “bene”. Sembra che educare sia diventato “lasciare la libertà di scegliere”, e chi non è allineato con questa visione moderna dell’educazione, viene visto come un retrogrado o un bigotto, uno che non ha saputo prendere il treno della modernità.
Il professor Franco Nembrini presenta il libro “Il rischio educativo” scritto da Luigi Giussani, il sacerdote nativo di Desio che ha dedicato la sua intera esistenza all’educazione dei giovani. Nembrini si definisce “un manovale dell’educazione”: ha fatto per 25 anni l’insegnante, è padre di quattro figli e a sua volta è cresciuto una famiglia che di figli al mondo ne ha messi dieci, oggi è presidente della Compagnia delle Opere educative.
Lui l’educazione l’ha vissuta come figlio, sperimentata come insegnante e la vive oggi come genitore, ne parla con una passione che riempie il cuore di speranza, perché dobbiamo riconoscerlo, spesso ciò che ci manca è la speranza e senza accorgercene cediamo a questa sorta di “rassegnazione educativa”, tutto sembra esserci contro, invece, il professore dice: “Educare è possibile, è sempre possibile, se era possibile nei lager nazisti vuoi non sia possibile a noi pur in questa società nichilista?”
Ne parla con un impeto, come se stesse a tavola con degli amici davanti a un buon bicchiere di vino: “Il problema dell’educazione non è un problema dei giovani, non è un problema di alchimie, l’educazione è un problema di uomini, l’educazione è ciò che caratterizza il rapporto tra uomini, perchè il rapporto tra uomini è una continua educazione. L’educazione non riguarda solo gli insegnanti o i genitori, ma tutti, ogni rapporto, anche quello con i propri colleghi è per sua natura educativo, cioè costruttivo della personalità”.
Racconta la sua esperienza di figlio, lo sguardo con cui guardava a suo padre, bidello, affetto da sclerosi multipla, che viveva il suo ruolo di padre con grande fermezza, e a sua madre che come racconta, pareva uscita dal film di Olmi, L’albero degli zoccoli.
“Mio padre entrava nella camera dove dormivamo noi sei figli maschi, s’inginocchiava e pregava. L’educazione avviene perché c’è un adulto così, non perché c’è un adulto che ha il problema di convincerti. Mio padre non aveva il problema di convincerci di qualcosa, se uno di noi avesse detto – io non credo - avrebbe risposto – fa niente, Gesù non ha bisogno che tu gli creda, c’è comunque – L’adulto è colui che deve far capire all’altro che vale la pena di essere venuti al mondo.”
Poi continua con il suo fare ironico che tiene l’assemblea attenta: “Se mi chiedete cos’è il Cristianesimo, vi rispondo che è educazione. Cos’è venuto a fare Gesù sulla terra? È venuto a educare. Ne ha presi dodici e gli ha fatto un triennio, più una o due settimane. (…) La Chiesa esiste per essere madre e maestra, cioè, per dare la vita (madre) ed educarla (maestra).”
Poi racconta dei suoi figli, e dei suoi alunni, di come non si debba cercare di cambiarli, di portarli dalla nostra parte, ma dare loro gli strumenti per giudicare il mondo e quindi anche il modo in cui noi viviamo, magari ci saranno d’aiuto a scoprire che siamo “ciellini d’allevamento, cristiani d’allevamento”, cioè gente che segue una tradizione, ma ne ha perso il cuore, che abbiamo per primi bisogno di essere educati, richiamati a guardare la vita, la realtà e a verificarla.
Continua il prof. Nembrini raccontandoci la parabola del figliol prodigo, ma questa volta vista dalla parte del Padre, di quel padre che vede suo figlio chiedergli la metà del patrimonio, cosciente che andrà a dilapidarlo, sa che suo figlio sta per fare una sciocchezza.
Quel padre è fino in fondo un educatore, perché educare vuol dire essere capaci di amore e di essere liberi dall’esito, consapevoli che l’esito è nelle mani di Dio.
Infatti, questo padre lo lascia andare e attende, in fondo lo sa che tornerà, ma quel figlio può tornare perché in cuor suo sa che c’è un padre che lo attende, un padre capace di perdono, il padre, l’educatore è la roccia, colui sul quale sai di poter contare.
Perché educare è misericordia, aver a cuore l’altro, anche quando sbaglia, essere lì con lui dove l’altro si trova, con la fiducia che troverà la forza di rimettersi in carreggiata. Come, non è dato a noi saperlo, dobbiamo educare “liberi dall’esito” perché questo non è in mano nostra.
Finisce l’incontro in fondo tutti abbiamo la sensazione di voler ancora ascoltare, verificare il nostro modo di essere padri, madri, educatori.
Non può bastare una serata, serve a farti venire la voglia di continuare, usciamo e nella notte tiepida d’autunno mentre torniamo alle nostre auto, qualcuno sta già meditando di continuare, in fondo che amicizia è la nostra se non sappiamo educarci a vicenda.
Nerella Buggio
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