Per chi fa l'educatore per vocazione, l'atto educativo è 'il luogo privilegiato dell'incontro con Dio'. Non si tratta, quindi, di un momento marginale nella sua vita. Lo stare con i giovani è lo spazio spirituale e il centro pastorale della vita dell'educatore secondo il cuore di Don Bosco.
del 27 marzo 2008
“All’educatore si chiede serietà nel proprio lavoro e vigilanza mentale. Egli deve prendere atto di tutte le correnti che influiscono sui giovani e aiutarli a valutare e a scegliere [...]  Non basta sapere, bisogna comunicare. Non basta comunicare, bisogna comunicarsi. Chi comunica una nozione ma non si comunica insegna ma non educa [...] Bisogna amare ciò che comunichiamo e colui al quale comunichiamo” [1] .
 Più delle opere interessano le persone a cui siamo inviati e a cui dobbiamo dare risposte valide dal punto di vista educativo e pastorale. Per Don Bosco “i giovani erano i suoi padroni” da conoscere e salvare. La formazione è, dunque, la prima esigenza della sua vocazione e missione, perché si deve essere in forma - dal punto di vista educativo, religioso e pastorale – di fronte a qualsiasi situazione in cui possono trovarsi i giovani. Perché il servizio educativo sia di qualità occorre investire in persone, risorse e tempo nella formazione degli agenti; e occorre formare non solo la mente e l’intelligenza, ma anche il cuore. Per questo, come educatori, dobbiamo valorizzare la nostra vocazione educativa in tutta la sua dignità. Bisogna essere veramente in forma per affrontare la “problematica educativa” come una sfida alla nostra capacità professionale e non come una scusa che ci blocca, con la rinuncia ai nostri compiti educativi. La “qualità” della vita quotidiana deve essere la piattaforma privilegiata della formazione.
 Per chi fa l’educatore per vocazione, l’atto educativo è “il luogo privilegiato dell’incontro con Dio”[2]. Non si tratta, quindi, di un momento marginale nella sua vita. Lo stare con i giovani è lo spazio spirituale e il centro pastorale della vita dell’educatore secondo il cuore di Don Bosco. Se questo centro di unità si sgretola, rimane aperto lo spazio ai protagonismi, agli attivismi o agli intuizionismi che costituiscono una tentazione insidiosa per le istituzioni educative. La carità pastorale è il motore della spiritualità educativa che è frutto di sforzo, dedizione, riflessione, ricerca e di cura continua e vigilante; ma affonda le sue radici nell’unione con Dio (come se vedesse l’Invisibile), si traduce in preghiera e azione, in mistica e ascesi. In questo modo serve per la santificazione sia dell’educatore sia dei giovani. Gesù vuole condividere con loro la sua vita, e lo Spirito Santo si fa presente in essi per costruire la comunità umana e cristiana. Educatori e giovani coincidono nello stesso cammino di santità. Per questo si deve accettare la sfida di essere, mediante l’educazione, missionari dei giovani d’oggi. Il servizio che offre l’educazione salesiana è completo, integrale, poiché tiene conto di tutte e ciascuna delle dimensioni della persona, cercando il bene totale del giovane “qui e per l’eternità”, l’onesto cittadino e il buon cristiano così come si esprime nel trinomio: Salute, Sapienza, Santità. Questo servizio educativo è valido per tutti. È concepito per la massa e per ciascuno in particolare, per qualunque ambiente e qualsiasi situazione educativa, dato che i principi e le tecniche che lo reggono possono essere praticati da educatori comuni che possiedano – questo sì – una profonda personalità cristiana e siano dotati di grande carità pastorale verso gli alunni.
 Don Bosco, uomo pratico, sapeva che la bontà di qualunque metodo educativo si misura dalla capacità di motivare gli scoraggiati, di ricuperare quelli che hanno gettato la spugna, di offrire alla società, come onesti e competenti professionisti, quei ragazzi che egli raccoglieva per le strade e le piazze, esposti ai pericoli propri di una grande città. Il suo metodo prepara uomini per una vita profondamente umana mediante una professione, utile a se stessi e alla società. Don Bosco era educatore sempre: in cortile, in refettorio, in aula, in laboratorio, in cappella. Per questo la proposta educativa salesiana non è circoscritta ad alcune strutture. Il fatto educativo è un rapporto tra persone e questo è possibile tanto in ambienti educativi istituzionali come nel tempo libero per i giovani. Anima e corpo, individuo e società, cultura e salute fisica: tutto è preso in considerazione in questa concezione educativa, adatta a tutti gli ambienti, a tutti i contesti geografici, sociali, religiosi, a qualsiasi tipo di soggetti e specialmente a tutti gli educatori che aspirino sinceramente al bene dei giovani.
Possiamo concludere dicendo che il servizio educativo e pastorale si realizza in una pluralità di forme, determinate dai bisogni di coloro a cui ci si dedica. Sensibili ai segni dei tempi e attenti alle esigenze del territorio e della Chiesa, rinnoviamo le nostre strutture con creatività e flessibilità costanti, cercando di essere dappertutto missionari dei giovani, portatori del Vangelo alla gioventù d’oggi. L’educatore salesiano è sempre figlio di Don Bosco che si dichiarava pronto a qualunque cosa, anche a “togliersi il cappello davanti al diavolo”[3], pur di salvare l’anima dei suoi giovani.
 [1]  J.E.VECCHI, Spiritualità Salesiana, ELLEDICI, 2001, p.136 passim[2]  Cfr. ‘Atti del Capitolo Generale 23°’, n.95 [3]  MB XIII, p.415
don Pascual Ch√°vez Villanueva
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