Educare i sentimenti

Le emozioni accadono nel corpo mentre i sentimenti nella mente. Tutte le emozioni svolgono un ruolo regolatore che ha come fine la creazione di circostanze vantaggiose per l'organismo. L'educazione all'ascolto del corpo vuol dire la capacità di andare oltre l'immagine del proprio corpo per percepire ciò che accade in esso realmente.

Educare i sentimenti

da Quaderni Cannibali

del 13 maggio 2011

 

 

           Nell’attuale realtà sociale si parla molto di emozioni, di intelligenza emotiva e assai poco di sentimenti. E questo avviene perché le emozioni sono scambiate e confuse con i sentimenti. Per evitare questa diffusa confusione è necessario ricordare che le emozioni accadono nel corpo mentre i sentimenti nella mente.

          Tutte le emozioni, infatti, svolgono un ruolo regolatore che ha come fine la creazione di circostanze vantaggiose per l’organismo essendo il loro ruolo quello di assistere il corpo umano nella conservazione della vita. Oltre a questo occorre ricordare che tutte le emozioni, anche se la loro espressione è influenzata dall’apprendimento e dalla cultura sociale, sono biologicamente determinate e dipendenti da dispositivi cerebrali predisposti in modo innato. Questi dispositivi si possono innescare automaticamente senza una decisione cosciente. L’importanza delle emozioni per il funzionamento del corpo umano nasce dal fatto che esse usano il corpo come loro teatro e influenzano la modalità di funzionamento del cervello.

          In modo semplice si può dire che le emozioni sono una sorta di kit di sopravvivenza che il genoma mette a disposizione di ogni essere umano.

          Anche se la dipendenza del meccanismo delle emozioni dall’apprendimento è scarsa o nulla «quest’ultimo, con il passare del tempo assume un ruolo importante nel determinare quando tali meccanismi saranno impiegati». In altre parole, l’educazione e la socializzazione indicano in quali circostanze si può o si deve vivere una certa emozione o, al contrario, questa deve essere inibita.

          Non solo. La vita di relazione fa si che le persone associno delle situazioni e degli oggetti, che di per se sono emotivamente neutrali, con situazioni ed oggetti che, invece, sono induttori di emozioni e, questo fa si che anche queste situazioni e questi oggetti diventino a loro volta induttori di emozioni. Oltre a questo è necessario ricordare che l’essere umano non prova emozioni solo attraverso le informazioni che riceve dai suoi organi sensoriali ma anche dall’evocazione di situazioni e oggetti per mezzo della memoria, delle fantasie e dei sogni sia ad occhi chiusi che aperti.

          L’elemento interessante che le neuroscienze hanno evidenziato è che nell’essere umano il kit, innato e automatico, delle emozioni è compromesso solo dalla perdita della coscienza che, tra l’altro, amplifica le emozioni e nello stesso tempo consente, attraverso l’uso della ragione, di controllarle. Si tratta, normalmente, di un controllo modesto visto che anche la ragione per funzionare ha comunque bisogno delle emozioni.

          Queste caratteristiche delle emozioni fanno si che esse siano pubbliche, visibili allo sguardo di un osservatore e che, invece, i sentimenti siano privati, invisibili dall’esterno. L’invisibilità dei sentimenti nasce dal loro essere un’idea, «l’idea del corpo perturbato dall’emozione».

          Tuttavia, la percezione dello stato corporeo da sola non è sufficiente a produrre un sentimento, perché questo nasce solo quando la percezione dello stato corporeo è associata a quella di una particolare modalità di pensiero nonché a pensieri con particolari contenuti.

          Questo significa che i sentimenti non sono generati da oggetti ed eventi esterni al corpo ma interni.

          Schematicamente si può rappresentare il processo di produzione di un sentimento nel seguente modo:

oggetto/evento ‚Üí emozione ‚Üí [stato corporeo ‚Üî mente] ‚Üí sentimento.

          In modo meno schematico si può dire che il processo di formazione dei sentimenti comprende tre elementi: gli stati corporei; la modalità di pensiero che accompagna la percezione dello stato corporeo; il tipo di pensieri il cui tema è congruente con il tipo di emozioni percepite.

          Questo significa, ad esempio, che nei sentimenti il ben-essere è solitamente accompagnato dal ben-pensare, mentre il mal-essere si accompagna di solito al mal-pensare, nel senso di un pensiero inefficiente, spesso inceppato di fronte a un numero limitato di idee.

          Ciò significa che le emozioni generano sentimenti “negativi” ovvero distruttivi quando sono interpretate da idee e pensieri “negativi”. La stessa emozione può produrre sentimenti che fanno regredire la persona o sentimenti che la fanno evolvere e ciò sulla base dello stato mentale a cui si associa e, quindi, del sentimento a cui da origine.

          Questa concezione del sentimento prodotta dalle neuroscienze non riduzionistiche si accorda profondamente con l’etimologia della parola sentimento che, come è noto, deriva dal latino “sentire” il cui significato oltre che “ricevere un’impressione per mezzo dei sensi” è anche “percepire colla mente, conoscere e giudicare”. Da quanto sin qui detto emerge chiaramente che l’educazione dei sentimenti deve investire sia la dimensione del corpo che quella della mente. Non solo. Esso deve riguardare tanto l’individuo quanto la cultura sociale, perché lo stato mentale che le persone associano di solito a determinati stati del loro corpo è legato non solo a fattori di tipo individuale ma anche a fattori di tipo socioculturale.

          Questo significa che l’educazione ai sentimenti è un’azione alquanto complessa e multidimensionale che può essere declinata in quattro azioni particolari: l’educazione all’ascolto e alla gestione del corpo; l’educazione alla coscienza ed all’ascolto dell’interiorità; l’educazione al sogno ed all’idealità; l’educazione alla relazionalità ed all’alterità.

          L’educazione all’ascolto del corpo vuol dire la capacità di andare oltre l’immagine del proprio corpo per percepire ciò che accade in esso realmente. L’educazione alla coscienza è strettamente intrecciata con quella dell’ascolto del corpo e richiede la capacità di fare silenzio per sentire ciò che l’anima sussurra. L’educazione al sogno richiede l’aiutare il giovane a vivere progettualmente secondo ideali e valori trascendenti l’utilità e i bisogni contingenti. Infine, l’educazione alla relazionalità e all’alterità è quella che conduce alla scoperta del profondo legame che esiste tra l’io, il tu e il noi, cioè alla scoperta che l’altruismo è l’unica via che permette di voler autenticamente bene a se stessi.

          Queste quattro azioni possono svilupparsi però solo in un luogo capace di offrire alle persone l’effettiva possibilità di un incontro reale con se stesse e con gli altri e che, nello stesso tempo, sia intessuto da una trama di significati capaci di offrire senso alla vita.

          Non solo. Occorre anche essere consapevoli che se non si offrono ai giovani linguaggi capaci di nominare le loro emozioni e una cultura che li aiuti a interpretarle in modo positivo e evolutivo, i sentimenti rischiano di non sbocciare, se non in modo effimero e precario.

          Oggi troppi adulti e giovani sono muti perché non sanno dare un nome e, quindi, oltre a non vivere i sentimenti sono incapaci anche di percepire in modo positivo la gamma di emozioni che il loro corpo offre loro.

 

Mario Pollo

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