Il filosofo Galimberti, riflettendo su atti di violenza compiuti da adolescenti, affermava: “Quello che manca oggi ai ragazzi è un'educazione emotiva”.
del 04 settembre 2008
 
Il filosofo Galimberti, riflettendo su atti di violenza compiuti da adolescenti, affermava: “Quello che manca oggi ai ragazzi è un’educazione emotiva”. In effetti, pochi di noi hanno ricevuto un insegnamento su come gestire in modo adeguato il mondo emotivo, su come, cioè, attingere a questa risorsa riconoscendola tale e senza venirne travolti. Il rischio, quando non si è acquisita una buona capacità di gestione delle emozioni, è di cadere in uno dei due atteggiamenti opposti:- trattenerle, reprimerle. È voler mettere un coperchio sulla pentola in cui “bollono e ribollono” le emozioni. È tener dentro di sé ciò che si prova, vietarsi di esprimerlo perché giudicato negativamente, in contrasto con l’immagine di sé che si vuole o che viene richiesto di dare. Così, ad esempio, chi si presenta e si ritiene un “duro”, forte, non può permettersi di manifestare paura o di “lasciarsi scappare” qualche lacrima: pur in una situazione dolorosa come la morte di una persona cara cercherà di trattenere il pianto. Su un versante più lontano possiamo trovare chi, legato e ingabbiato da un’immagine di sé come persona sempre buona e gentile, non esprime mai una contrarietà, un disappunto, acconsente alle richieste degli altri anche quando sono esagerate, non giustificate e per lui gravose. Qui si trattiene una sana rabbia che permetterebbe di riconoscere oltre ai diritti altrui anche i propri e di manifestare un’opinione personale senza che ci sia necessariamente una condivisione unanime. Su un altro versante ancora troviamo che si presenta sempre e comunque sorridente e felice in ogni occasione attenendosi troppo fedelmente all’invito famoso di Mike Buongiorno: “Allegria!”. Qui a venir trattenuta è la tristezza, bandita come qualcosa di cui vergognarsi per cui si ostentano un ottimismo e una gioia di facciata, non autentici, perché la nostra esperienza umana comprende anche, inevitabilmente, la sofferenza.- buttarle fuori. È lasciar uscire le emozioni, passare subito all’azione senza alcun controllo né valutazione previa. Le notizie di cronaca sono spesso tristi esempi del dilagare della rabbia in omicidi passionali, violenze in ambito famigliare, pestaggi tra tifosi, scontri tra automobilisti… fino a episodi “poco edificanti” in campo politico (per usare un eufemismo!).In altri casi a venir fuori senza filtro è la paura, che provoca uno stato di allerta generalizzata, ansia esagerata e paralizzante, fobie, agitazione continua… fino a raggiungere il culmine nell’attacco di panico, in cui si viene inondati e travolti da un’ansia “a mille”. A volte anche la gioia, emozione piacevole e fondamentale, può dilagare quando c’è una ricerca esasperata di divertimento sfrenato o quando viene quasi esibita con un sorridere e ridere continuo e forzato perché “bisogna essere contenti a tutti i costi”. La stessa tristezza può venir buttata fuori con atteggiamenti vittimistici, con un piangersi addosso ritenendo che nessuno possa soffrire come noi. Si ingigantisce il proprio dolore e non si vede che questo, inconsolabile, che fa sentire gli altri impotenti e spesso in colpa.Gli svantaggi di questi due estremi (esprimere niente/esprimere tutto) ci rimandano come sempre a una necessaria via di mezzo. Maria Poetto
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