L'Epifania è la memoria che Gesù, il Messia, il Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, è destinato all'umanità e che questa sa riconoscerlo, fino a partecipare all'eredità di Abramo.
del 05 gennaio 2010
 
Celebriamo oggi l’Epifania del Signore, ossia la sua manifestazione, la rivelazione alle genti di tutto il mondo del bambino nato a Betlemme. Gesù è stato partorito da Maria, la povera figlia di Israele, e i pastori, accorsi alla parola rivolta loro dall’angelo, hanno visto «un bambino avvolto in fasce deposto in una mangiatoia» (cf. Lc 2,7.12.16).
 
Nato a Betlemme, la città di David (cf. 1Sam 16), Gesù è un discendente di David a cui spetta il titolo di Messia, di Re dei Giudei; ma proprio il vangelo secondo Matteo, così radicato nell’ambiente giudaico, mette in evidenza che Gesù è il Salvatore destinato a tutta l’umanità e, quindi, la sua rivelazione è indirizzata a tutte le genti, ai pagani, nella cui discendenza anche noi siamo collocati.
Conosciamo bene il brano evangelico che narra questa manifestazione, da sempre presente nella tradizione cristiana quale testo capace di stupire e illuminare il cuore dei credenti di ogni tempo. Dall’oriente alcuni sapienti, i Magi, vengono a Gerusalemme, la città santa dei Giudei, in una sorta di pellegrinaggio (cf. Is 60,1-6). Essi non appartengono alla discendenza di Abramo, non conoscono il Dio vivente e vero, non sono circoncisi, non stanno cioè all’interno dell’alleanza che ha come suo segno questa incisione nella carne. Nel loro viaggio non è dunque la Parola di Dio a guidarli; eppure la loro ricerca di Dio, la loro lotta anti-idolatrica, il loro meditare e scrutare i segni della natura, concede ad essi la possibilità di una lettura visionaria, che li spinge a partire seguendo la sola luce di una stella…
Obbedienti alla consapevolezza nata dalla loro ricerca, i Magi salgono a Gerusalemme, pronti a interrogare la sapienza rivelata a Israele, nella speranza di vedere colmata la loro attesa. I sommi sacerdoti e gli scribi, depositari della missione di interpretare le profezie, rispondono infallibilmente, pur rimanendo nel buio, ciechi di fronte al compimento dell’evento messianico, turbati e accecati come il re Erode. E così ci ricordano che possiamo essere molto esperti nel custodire il tesoro delle Scritture sante, gelosi delle nostre certezze di fede, e al tempo stesso essere incapaci di riconoscere che Dio opera nel nostro oggi e ci «visita» costantemente, nei modi più imprevedibili…
Ora, le Scritture testimoniano che il Re dei Giudei deve nascere a Betlemme (cf. Mi 5,1-3), e i Magi, ormai obbedienti anche alla rivelazione, giungono alla casa dove, una volta entrati, «vedono il bambino con Maria sua madre». Anche loro, come i pastori, contemplano una scena umanissima e povera: ma essa è rivelazione per i loro cuori attenti, è manifestazione che provoca la loro adorazione e l’offerta dei doni più preziosi.
Questa epifania, che attraverso i Magi raggiunge le genti pagane, ribadisce e non annulla la primogenitura di Israele, ma mette anche in evidenza che quel bambino è destinato come benedizione a tutta l’umanità, secondo la promessa un tempo fatta ad Abramo: «In te e nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti della terra» (Gen 28,14; cf. Gal 3,14). Sì, l’universalità della buona notizia è affermata già al momento della nascita di Gesù, e l’episodio dei Magi appare come una profezia che si compirà nella storia della chiesa, quando il Vangelo raggiungerà tutte le culture dei popoli.
Tutte le culture e le tradizioni portano infatti in sé delle tracce, dei «semi» della Parola di Dio, come amavano dire i padri della chiesa. In esse sono presenti aliti di Spirito santo che hanno guidato gli uomini su cammini di lotta anti-idolatrica, tesi alla ricerca del senso; in esse è presente dall’eternità l’immagine di Dio che non può mai essere negata o annullata (cf. Gen 1,26-27): Gesù Cristo, «l’immagine del Dio invisibile» (Col 1,15)…
L’Epifania è la memoria che Gesù, il Messia, il Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, è destinato all’umanità e che questa sa riconoscerlo, fino a partecipare all’eredità di Abramo. Non dimentichiamolo dunque: «in Gesù Cristo non c’è più né giudeo né greco» (cf. Gal 3,28), ma tutti gli uomini della terra possono incontrarsi in lui, «Sapienza di Dio» (1Cor 1,24), fonte di gioia e di vita piena.
Ma noi cristiani siamo capaci di testimoniare la salvezza definitiva portata da Dio in Gesù Cristo, mediante un comportamento di cordiale simpatia verso tutti? 
Enzo Bianchi
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