Epure un giorno...

La storia di Fabio, un giovane come tanti, che dopo anni trascorsi a godersi una vita spericola e spensierata sprofonda improvvisamente nell'inquietudine e nell'angoscia ma riesce a ritrovare il senso della vita grazie alla serenità contagiosa di un gruppo di ragazzi che formano una “Comunità missionaria” e sono impegnati ad aiutare amici missionari.

Epure un giorno...

da Quaderni Cannibali

del 27 marzo 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

 Dall’impiego in un’industria manifatturiera alla scelta di donare tutto se stesso. 

          Fabio è un giovane perito elettronico della provincia di Vicenza. Fin dal diploma ha trovato lavoro presso una industria manifatturiera e quindi ha potuto da subito affrancarsi dalla famiglia.  

          Il territorio veneto è conosciuto per la sua imprenditorialità aggressiva e per il desiderio di guadagno che ha caratterizzato le nuove generazioni, visto l’alto numero di abbandono scolastico a favore del più concreto possesso di “sghei” da consumare nei fine settimana in giro per locali, in abbigliamento più ricercato, in auto di grossa cilindrata nonostante la giovane età. Ma il denaro può far tutto. Anche rendere delle giovani esistenze impermeabili a qualsiasi discorso che possa riguardare l’attenzione agli altri, la sobrietà e la partecipazione alla vita sociale. 

Tutto e niente 

          “Io ho vissuto, grazie alla possibilità di guadagnare fin da subito, degli anni veramente spericolati, – racconta Fabio – intesi come il sentirsi al centro dell’universo con la capacità, secondo il denaro che gestivo, di permettermi e di soddisfare ogni desiderio. La mia famiglia appena ho cominciato a guadagnare, mi ha lasciato libero di navigare in mare aperto facendomi saltuariamente qualche raccomandazione a pensare per il futuro. Casa era diventata per me come un albergo, dove dormire, mangiare, essere accudito. Relazioni e parole ridotte al minimo essenziale rispettando le buone maniere. Non c’era nessun discorso che incidesse minimamente nella mia vita, tale da condurmi ad una riflessione, a un ripensamento. Vivevo bene nel gruppo di amici, colleghi di lavoro, anche loro con denaro da spendere senza preoccupazione”.

          Eppure un giorno quel tutto che tanto riempiva la vita di Fabio e lo proiettava verso una serenità assicurata, si è sgretolato sotto i suoi piedi. L’inquietudine, la tristezza, un profondo senso di angoscia, avevano preso il posto di una vita gioiosa e tranquilla. Mille domande improvvise e senza risposta hanno affollato la mente per mesi incapace di riconoscere la provenienza di quella prostrazione. Si può essere disperati anche in giovane età per la paura di perdere tutto, per la paura che ciò che stai realizzando possa improvvisamente svanire. Pensieri che si affollano e che nascono dopo qualche delusione, un tradimento e accorgersi di essere incapaci ad affrontarli perché sprovvisto di quella necessaria predisposizione a riflettere ad analizzare e a mettere al giusto posto le cose della vita.

          Poi una telefonata inaspettata di un collega di lavoro con cui non aveva rapporti e che aveva notato il suo cambiamento. Lo invita ad una sagra in un paese vicino per sistemare delle luci e altri marchingegni per permettere alcune proiezioni.

          “Devo confessare che quella telefonata mi sembrò strana – continua a raccontare Fabio – perché veniva da un collega che qualche volta lo incrociavo al momento di timbrare il cartellino. E poi io in un reparto e lui in un altro. Non ricordo di averci parlato neppure a mensa. Per cui quella telefonata la trovavo quantomeno singolare. Mi chiese gentilmente di dargli una mano. E io non seppi trovare una scusa plausibile per dirgli di no. Ci andai a quella sagra dove si raccoglievano dei fondi per una casa di accoglienza per bambini con handicap in Congo. Mi trovai al fianco di una trentina di ragazzi e ragazze entusiaste di quello che stavano realizzando, pieni di allegria contagiosa che si scontrava con quello che mi portavo dentro. Per tre giorni stetti in mezzo a loro, partecipando alla festa finale con tanti altri amici disabili invitati per l’occasione. Ebbene quella serenità dilagante di quei giovani amici mi ha costretto a scavare a mani nude nel mio dolore”. 

Una Comunità viva 

          Fabio cominciò a frequentare quel gruppo di amici che formavano una “Comunità missionaria” il cui scopo era di aiutare amici missionari natii del luogo nel loro lavoro in diversi paesi del mondo. Alcuni di questi giovani avevano fatto anche delle esperienze di breve e lungo periodo presso queste realtà di missione e avevano riportato tutta la ricchezza di nuovi incontri e la gioia di una solidarietà che diventava concretezza e realizzazione di opere al servizio dei più poveri. Una Comunità incentrata non solo sull’aiuto agli altri ma su un percorso formativo serio in cui il discepolato cristiano rappresentava la modalità caratterizzante della comunità. I trenta ragazzi erano la punta di un iceberg che comprendeva anche adolescenti e adulti, tutti impegnati a realizzare un’esperienza significativa di presenza missionaria.

          “La frequentazione di questa comunità, l’incontro con questi giovani – dice Fabio – mi ha permesso di trovare delle risposte ai miei mille pensieri che affollavano la mente. Ho compreso che quella sofferenza attraverso cui sono passato aveva un senso profondo, troppo grande per essere ignorato. Qualcuno aveva cominciato a rimescolare le carte della mia vita. Dio mi stava chiamando a sé con la forza e la pazienza che solo un Padre sa usare con il proprio figlio. E in un abbraccio forte e liberatorio che ho avvertito durante un’esperienza comunitaria mi ha fatto dire sì all’accettazione della nuova vita ancora da scoprire. Sì ad un percorso più profondo alla sua sequela. Sì all’amore che tutto sconvolge e penetra anche nelle pieghe più scabrose della nostra vita. Se non avessi incontrato i ragazzi di questa comunità non avrei avuto la possibilità di sfidare la mia quotidianità con tutta la sua prepotenza e soprattutto non mi sarei trovato oggi in un percorso di orientamento verso l’offerta totale della mia vita. Sono ancora ai primi passi, avrò bisogno di aiuto e di preghiere e per questo conto sui membri della mia comunità che tanto ha desiderato e pregato per la mia nuova vita”. 

Michele Pignatale

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