Guardiamoci attorno: siamo sicuri di non conoscere alcun eroe vivo e vegeto? Nessuno che compia il suo dovere nel silenzio, che rispetti le regole, che le insegni al proprio figlio?...
del 10 dicembre 2018
Guardiamoci attorno: siamo sicuri di non conoscere alcun eroe vivo e vegeto? Nessuno che compia il suo dovere nel silenzio, che rispetti le regole, che le insegni al proprio figlio?...
Ve lo ricordate quel genio della televisione nazional popolare che fu Gianfranco Funari? Io ero ragazzina quando mia madre, ad ora di pranzo, lo seguiva con interesse. Diceva che capiva quello di cui parlava, che l’attualità era interessante, raccontata da lui. Beh, Funari, tra le altre, è diventato famoso per una frase che, da allora, mi è rimasta impressa: “Non muore mai un cretino”. Lui, per la verità, non usava mai la parola cretino, ma un’altra ben più colorita… però cretino rende comunque l’idea.
Intendeva che, al cospetto di una salma, è tutto un susseguirsi di panegirici, di racconti al miele, di ricordi scanditi da belle parole. “Marito esemplare” e, magari, tradiva stabilmente la moglie. “Lavoratore indefesso” e, magari, si faceva timbrare il cartellino dal collega. “Generoso” e, magari, elargiva contributi con soldi rubati. Diamo troppa importanza alla morte e scarsissima alla vita. O, meglio, a quello che, di qualcuno si racconta dopo che è morto, senza uguale interesse a ciò che ha combinato quando era ancora in vita.
E così, come sosteneva Funari: “Non muore mai un cretino”. L’ho presa un po’ alla larga stavolta. Qual è il punto? Non sono i morti, dei quali si parla sempre bene, che fanno del bene, ma i vivi. Le mani, il cuore, la testa, hanno un senso se li usiamo quando la nostra esistenza è vigorosa, nel suo scorrere su questa terra. Solo un vivo può tendere la propria mano verso quella di una persona in difficoltà; solo un vivo può adempiere ad un dovere o garantire un diritto. Non è la morte, come evento naturale, a comportare l’esteriore tributo di essere stato una “brava persona”, ma la vita e, più precisamente, ciò che, in vita, si è “prodotto”.
Giovanni Falcone è un eroe non per come è morto, ma per come ha vissuto. Il capitano Emanuele Basilemerita un posto speciale nella vita di noi italiani non per essere stato ucciso sotto gli occhi di moglie e figlia, ma per l’onestà o lo spirito di servizio con i quali ha indossato la sua uniforme da Carabiniere. E smettiamola di dire “solo i rappresentanti delle Istituzioni possono diventare eroi”. Non è così. Antonio Esposito Ferraioli è diventato un esempio e non indossava una toga, ma un camice da cuoco nella mensa di un’azienda, a Pagani; Luigi Sica è stato accoltellato per aver tentato di aiutare un amico aggredito; Davide Sannino preso di mira per non aver guardato dall’altra parte quando si è trovato ad assistere al furto di un motorino. Certo, è vero, sono tutti morti per essere ricordati e riconosciuti come “eroi”, però è per ciò che hanno fatto in vita che i loro volti e nomi significano qualcosa. Guardiamoci attorno: siamo sicuri di non conoscere alcun eroe vivo e vegeto? Nessuno che compia il suo dovere nel silenzio, che rispetti le regole, che le insegni al proprio figlio?
Michela Giordano
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