Il racconto delle 3 settimane passate a Bacau, presso l'oratorio salesiano. Una forte esperienza di animazione ma anche di accoglienza e di conoscenza di un mondo così vicino ma anche tanto lontano. L'occasione per mettere in discussione i "nostri" schemi e il modo di vivere delle nostre realtà
del 07 settembre 2009
 Eccomi qui a raccontarvi una bellissima, anzi importante per me, esperienza che ho trascorso questa estate in Romania a Bacău. Dopo un anno di cammino e formazione alla Scuola di Mondialità, uno dei diversi gruppi partenti per le esperienze missionarie all’estero, il mio, si è recato all’Oratorio di Bacău per condividere con gli animatori del posto la loro Vara Impreuna, per noi Grest. Eravamo in 7: io, sr. Stefania con Federica, Elena, Samuele, Giorgio, Alessandro e Andrea, abbiamo passato 3 settimane (dal 6 al 27 luglio) di giochi, attività, campo, condivisione, preghiera, risate… con la comunità salesiana che ci ha accolti meravigliosamente e con i ragazzi del Grest. Siamo riusciti a condividere l’ultima settimana di Grest, una settimana di campo in montagna sui Carpazi e una settimana di oratorio di base (mattina, pomeriggio e sera).
Certamente abbiamo incontrato tante situazioni diverse dalle nostre, e ciò che mi stupisce sempre, nonostante le diverse esperienze fatte, è che non è necessario andare nel Terzo Mondo per vivere un’esperienza forte, importante, che mi metta in discussione e che faccia pensare a come posso essere migliore io e migliorare i rapporti con chi e con ciò che mi sta intorno.
Per esempio: i primi giorni abbiamo dormito nell’appartamento che i pionieri salesiani nel 2000  comprarono per iniziare l’esperienza stabile in Romania. I palazzi e le entrate delle case sono tutte uguali, sono ancora le tante case popolari fatte costruite dal regime, se uno è un po’ bevuto non si trova più! Questo per dire come l’esperienza del comunismo che, hanno vissuto per tanti anni qui, così come altri stati in queste o simili condizioni, ha segnato la storia e la vita delle gente. Noi non abbiamo questo genere di storia alle spalle, certo abbiamo altro, ma il sentire i racconti di chi ha vissuto e ne vive ancora le conseguenze, fa aprire i nostri occhi a ciò che noi abbiamo ma molte volte non ci accorgiamo e non ci accontentiamo. Il clima è molto caldo d’estate e molto freddo d’inverno, qualcosa come -38° / +38°, è per quello che dicevo prima, se uno è un po’ bevuto … con il freddo si beve per scaldarsi e questo porta a delle conseguenze varie che possiamo ben immaginare.
E’ molto bella, per esempio ancora, la convivenza e cooperazione che c’è in oratorio, e tra la gente comune, tra ortodossi (prevalenti) e cattolici (minoranza), se poi vogliamo aggiungere anche categorie non religiose, come gli zingari, questo mette molto in discussione su come sono/siamo stati accolti e sul nostro modo di accogliere l’altro, che può essere il vicino di casa: questo genere di divisioni o categorie non si notano arrivando, se non in un colore più marcato della pelle o un determinato abito.
Abbiamo vissuto gomito a gomito tra noi 7 e la comunità salesiana e anche questo fa crescere in responsabilità: dal far le lavatrici, al preparare la tavola, lavare i piatti, essere puntuali alla preghiera, al turno in doccia, alle pulizie … tutto quello che fa sì che la comunità sia tale e non un albergo.
I ragazzi o bambini che non possono permettersi molto, si accontentano di poco e sono felici con il poco a loro disposizione, se penso ad alcuni volti e odori, di chi come lavoro traffica nella spazzatura, ecco che anche le attività o i giochi avevano tutti materiali molto semplici, ma tutti hanno cura di ciò che gli viene dato e anche questo mi fa molto pensare … è vero che sono i poveri coloro che ci educano, i nostri evangelizzatori, anche senza grandi discorsi nei nostri confronti … rumeno …
Abbiamo imparato, come tutti gli stranieri, a balbettare qualche parola di rumeno, e ci siamo accorti che si può comunicare anche senza tanti discorsi; abbiamo riscoperto il linguaggio non verbale come i gesti più immediati per farsi capire, un sorriso, un abbraccio, ma questo non ci ha compromesso l’esperienza, anzi ci ha dato una possibilità in più per imparare a uscire maggiormente da noi stessi e mettersi in gioco senza vergogna, scoprendo lati nuovi di noi. Questo ci può far intuire, anche se lontanamente, cosa può provare uno straniero fuori dal suo paese. Ci siamo fatti raccontare storie, di chi, poco più di un bambino, era già in Italia per raggranellare qualche spicciolo, per sopravvivere: noi certi disagi oggi facciamo fatica a comprenderli e ci chiudiamo in noi.
E’ vero che non vi ho raccontato molto dell’esperienza, ma penso sia importante sapere di alcuni segni che lascia. La cosa bella è che tutti i volontari vorrebbero ritornare, questo mi fa dire che ne vale la pena. Quando si parte, e per chi è alla prima esperienza, sembra che si vada per andare a fare un servizio (ed è anche vero), dopo un po’ che sei là ti accorgi che sono molto più le cose che gli altri ti danno di quanto tu dia loro e questo tipo di esperienza la si può solo provare, raccontarla non è come viverla. Poi una volta tornati, si fanno i conti con le proprio realtà e si cerca di attuare ciò che si ha intuito, quei piccoli cambiamenti che mi fanno fare delle scelte più mature e responsabili.
sr Stefania Belloni
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