I Padri del deserto, monaci vissuti nel IV secolo d.C. in Palestina, Egitto e Siria, abbandonarono la città e la frenesia della vita sociale per la pace e la solitudine...
I Padri del deserto, monaci vissuti nel IV secolo d.C. in Palestina, Egitto e Siria, abbandonarono la città e la frenesia della vita sociale per la pace e la solitudine. Testimoni di una fede cristiana vissuta nella semplicità e nella radicalità, ci hanno lasciato in eredità dei brevissimi testi, i “detti”, intrisi di saggezza umana e sapienza evangelica.
Fabio Ciardi, dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, ha raccolto quelli di apa (padre) Pafnunzio nel libro “I detti di apa Pafnunzio. In cammino nel deserto” (Città Nuova), in cui riprende e riscrive alcuni detti che attribuisce a quest'uomo la cui identità rimane indefinita.
“Sono 'detti' essenziali come lo era la vita nel deserto”, spiega l'autore. “Nati nel silenzio, dalla solitudine del deserto, questi 'detti' possono essere letti nei momenti di pausa nelle varie occupazioni quotidiane, durante le vacanze o tra il frastuono della vita odierna spero possano aiutare a trovare un’oasi di pace e serenità”.
Il deserto in cui viveva apa Pafnunzio non era quello delle dune di sabbia d’oro plasmate dal soffio del vento, ma “un deserto duro, sassoso, d’un’altra austera bellezza”.
“Per uomini dalla rude tempra come apa Pafnunzio era luogo ideale per il lungo cammino dell’ascesi. Arida e spoglia, senza beni né comodità, quella lontana regione non consentiva distrazione alcuna, invitava piuttosto a una separazione progressiva e radicale da ogni attaccamento, per centrarsi su ciò che rimane. Tutto vi era messo a tacere, perché una voce soltanto potesse essere udita e riconosciuta”.
“Terra privilegiata per la lotta con Satana che faceva emergere le falsità e gli idoli bugiardi che albergano nel cuore umano”, non presentava nulla “dietro cui potersi nascondere”. “Ogni anacoreta si ritrovava nudo davanti a se stesso e davanti al Dio unico e vero. Tentazione e prova lo conducevano alla piena conoscenza di chi egli fosse e di chi fosse Dio”.
“Luogo di morte dell’uomo vecchio, il deserto faceva riaffiorare l’immagine e la somiglianza di Dio, la vera identità dell’uomo nuovo”.
Come scrive nella postfazione monsignor Giorgio Lingua, Nunzio Apostolico in Giordania e Iraq, anche se apa Pafnunzio si è ritirato nel deserto, lontano dal mondo, per stare solo con Dio, “la sua vita è così vicina alla nostra. I suoi pensieri sono i nostri pensieri, le sue paure sono le nostre paure, i suoi sentimenti sono i nostri sentimenti”.
“C’è in ciascuno di noi il desiderio di amare Dio e di farLo amare”. Per questo, pur in mezzo al mondo, abbiamo molte cose da imparare da questo “Padre del deserto” immaginario.
“Innanzitutto impariamo che per dare Dio agli altri non sono indispensabili un buon microfono con adeguato sistema di amplificazione, o la posta elettronica e neppure… Facebook! Sono certo ottimi strumenti, ma noi possiamo comunicare Dio soltanto se L’abbiamo in cuore. Non si tratta di correre dietro le persone, ma di correre dietro a Dio. Gli altri ci seguiranno se vedranno risplendere in noi la luce dell’unione con Dio”.
“Basta un secondo per essere uniti a Dio, basta ri-offrirGli quel dono che ci fa adesso. Ogni attimo, ogni respiro, ogni circostanza, è un dono di Dio. Se sappiamo riconoscerlo e Gliene siamo grati, restituendo, confezionato con il nostro amore, quanto ci ha dato, siamo uno con Dio, perché siamo uno pienamente con la Sua volontà su di noi”. Al contrario, non basta “una vita intera, anche nella più stretta clausura o nel deserto più remoto, per arrivare all’unione con Dio se continuiamo a rimanere prigionieri della nostra volontà, attaccati ai nostri piccoli desideri, e non sappiamo riconoscere che tutto è dono del Suo Amore”.
Roberta Sciamplicotti
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