Facezie giovanili

Don Bosco, già in Seminario a Chieri e poi nei primi anni torinesi, non mancò di rivelare il suo gusto per la battuta scherzosa, la descrizione umoristica anche delle sue più serie avventure.

Facezie giovanili

da Don Bosco

del 05 gennaio 2011

         

 

          Don Bosco, già in Seminario a Chieri e poi nei primi anni torinesi, non mancò di rivelare il suo gusto per la battuta scherzosa, la descrizione umoristica anche delle sue più serie avventure. Ce ne danno testimonianza le ben note Memorie Biografiche (MB) e le sue personali Memorie dell’Oratorio (MO).

          Il rasoio di legno

          Da giovane seminarista a Chieri, Giovanni sapeva tenere allegri i compagni con la sua conversazione ricca di spunti umoristici. Un giorno annunziò loro di essere capace a farsi la barba con un rasoio di legno. I compagni, benché abituati ai suoi scherzi di parola, ne rimasero sorpresi e gli risposero che era impossibile.

          Ma il chierico Giovanni Bosco (Bòsch in piemontese) lo affermò risolutamente. Si scommesse ed all’ora fissata i compagni ne fecero la prova. Corsero nella camerata e lo trovarono occupato a radersi la barba con un rasoio autenticamente metallico: – E dov’è il rasoio di legno? – Oh, bella! Il mio cognome qual è? – Bosco! – Questo rasoio di chi è? – E tuo! – Dunque è rasoio di Bosco, e voi avete perduto la scommessa! Scommessa e dialogo, naturalmente vennero fatti in piemontese e in piemontese “bòsch” significa “legno”.

          I compagni, rimasti sorpresi, dovettero dargli ragione! (cf MB 1,387). Uno scherzo tra amici questa volta e non più una battuta mordace. Giovanni aveva davvero fatto un bel progresso.

          A Cinzano in casa del prevosto

          Nell’estate del 1837 durante le vacanze estive il chierico Bosco si recò in gita con degli amici a Cinzano per visitare il prevosto, zio del suo amico Luigi Comollo. Giunto in paese venne a sapere che il prevosto era assente. La gita era avviata e bisognava pur far qualcosa. Il chierico Bosco s’informò del nome della donna di servizio di Don Comollo. Gli dissero che si chiamava Maddalena.

          Bussò alla porta della canonica, ma la domestica non l’aveva mai visto e l’accolse freddamente. – Mi rincresce – le disse il chierico Bosco –, perché Don Comollo è mio grande amico e poi ero venuto anche per conoscere la signora Maddalena che mi dissero essere una persona molto gentile! – Maddalena sono io! – Oh, lei, la padrona? – Che padrona! Io sono una povera serva! – Non dica questo.

          Don Comollo non ha parole per lodarsi di lei! – Tutta bontà sua! Faccio quello che posso! – Mi rincresce proprio; avevo fatto conto di passare la giornata con lui, ma pazienza! – Ma no. Ha già pranzato? Non faccia complimenti, si accomodi! – Ma lei ha troppo da fare e poi... ho anche altri amici! – Li faccia venire! A farla breve il chierico Bosco poté portare dentro tutti i suoi amici a godersi un buon pranzetto in allegria.

          A Don Bosco, sin d’allora non mancavano né l’arguzia né l’abilità di ottenere ciò che voleva (cf MB 1,428-431).

          Un curioso quadretto

          A Torino Don Bosco aveva appena trasferito il suo Oratorio ambulante nel chiostro del Cimitero di San Pietro in Vincoli, Ed ecco ciò che il Santo ne scrisse anni più tardi: «Ma in quel sito esisteva un terribile rivale, da noi ignorato.

          Era questi non un defunto, che in gran numero riposavano nei vicini sepolcri, ma una persona vivente, la serva del cappellano. Appena costei cominciò a udire i canti e le voci e, diciamo anche, gli schiamazzi degli allievi, uscì fuori di casa su tutte le furie, e colla cuffia per traverso e colle mani sui fianchi si diede ad apostrofare la moltitudine dei trastullanti.

          Con lei inveiva una ragazzina, un cane, un gatto, tutte le galline, di modo ché sembrava essere imminente una guerra europea» (MO 148). Come si può notare lo stile scherzoso di questo incidente che causò l’allontanamento dell’Oratorio di Don Bosco costretto a cercare un altro sito, è più che evidente.

          Don Bosco impazzito?

          Gli inizi dell’Oratorio di Don Bosco in zona Valdocco, quando egli era giovane sacerdote a Torino, furono tutt’altro che facili. La difficoltà di trovare una base sicura, la mancanza di comprensione da parte di chi lo vedeva nella zona a capo di una banda di ragazzi di strada, la sua stessa salute, mentre egli sognava di una sede stabile con chiesa, locali e una fiorente attività, indusse dei sacerdoti suoi amici a credere che fosse un uomo scosso nella salute e decisero... Ma sentiamo ciò che egli stesso descrive nelle sue Memorie: «Intanto prevaleva ognor più la voce che Don Bosco era divenuto pazzo.

          I miei amici si mostravano dolenti; altri ridevano; ma tutti si tenevano lontani da me. L’Arcivescovo lasciava fare; Don Cafasso consigliava di temporeggiare, il Teologo Borrelli taceva. Così tutti i miei collaboratori mi lasciavano solo in mezzo a circa quattrocento ragazzi. In quell’occasione alcune rispettabili persone vollero prendersi cura della mia sanità. – Questo Don Bosco, diceva uno di loro, ha delle fissazioni, che lo condurranno inevitabilmente alla pazzia.

          Forse una cura gli farà bene. Conduciamolo al manicomio, e colà coi dovuti riguardi, si farà quanto la prudenza suggerirà. Furono incaricati due di venirmi a prendere con una carrozza e condurmi al manicomio. I due messaggeri mi salutarono cortesemente; di poi, chiestemi notizie della sanità, dell’Oratorio, del futuro edificio e chiesa, trassero infine un profondo sospiro e proruppero in queste parole: – È vero! Dopo ciò mi invitarono di recarmi seco loro a fare una passeggiata. – Un po’ d’aria ti farà bene; vieni; abbiamo appunto la carrozza, andremo insieme ed avremo tempo a discorrere.

          Mi accorsi allora del gioco che mi volevano fare, e senza mostrarmene accorto, li accompagnai alla vettura, insistetti che essi entrassero primi a prendere posto nella carrozza, e invece di entrarci anch’io, ne chiusi lo sportello in fretta, dicendo al cocchiere: – Andate con tutta celerità al manicomio, dove questi due ecclesiastici sono aspettati» (MO 163-164). Ciò che seguì è facile immaginarlo.

Natale Cerrato

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