Qual è la famiglia che si vede in TV? Esiste davvero o è solo un'utopia? C'è bisogno di maturare un atteggiamento più critico nei confronti dei modelli familiari irreali, ingannevoli, imposti dai mezzi di comunicazione.
del 13 aprile 2012(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));
          “Se piglio chi ha inventato la famiglia io lo faccio blu. Se piglio chi ha inventato la famiglia gliela canto su”. Sono parole tratte dalla sigla televisiva di un noto cartone animato. Il protagonista della canzone è un ragazzo che si lamenta dello stile di vita di sua madre, di suo padre, della nonna e perfino del cane e del gatto. Alla fine, trae le sue conclusioni ed afferma: “La famiglia che vuoi tu, la vediamo alla TV. Ma neanche la pubblicità vorrebbe una famiglia come questa qua”.Qual è la famiglia che si vede in TV? Esiste davvero o è solo un'utopia?          Alcuni ragazzi provano un senso di insoddisfazione e sembrano quasi aspirare al sogno di una famiglia pura, perfetta, senza macchie. Subiscono inevitabilmente l'influenza della televisione, dove gli spot pubblicitari offrono spesso l'immagine ingannevole di un nucleo familiare che non conosce ombre. Tutti riuniti intorno al tavolo, pronti a fare colazione, di prima mattina.          I genitori sono bellissimi, pettinati, sorridenti. I bambini sono svegli e scattanti, felici di prendere le loro merendine e andare a scuola. L'obiettivo di certe pubblicità è uno solo: venderci qualcosa. Gli spot sembrano dirci: “Vuoi dare una svolta alla tua vita? Devi correre a comprare quel prodotto. Se fai colazione con quella particolare merendina, avrai una famiglia felice. Ma non basta! Devi anche avere il nuovo modello di automobile, di scarpe, di telefono cellulare...”.I falsi scenari
          La pubblicità, di per sé, non è un male quando dà buoni consigli e aiuta a scoprire cose buone. Diventa un male quando propone scenari falsi, irreali, con l'obiettivo di creare bisogni inesistenti e stati di perenne insoddisfazione. Nel vuoto creato ad arte dalla televisione si inserisce la necessità indotta di spendere soldi, anche quando non ce n'è davvero bisogno. Non a caso, gli spot pubblicitari sono trasmessi con un volume più alto rispetto al programma che interrompono. E' una metafora dei nostri tempi. È lo spot che urla e ci ordina di uscire di casa. Ci dice: “Tu devi comprare quella cosa. Se non la compri, non potrai raggiungere la vera felicità”. Il commercio non è una cosa cattiva. Diventa un male quando scade nella trappola del consumismo.           Noi non siamo più cittadini, persone, esseri umani. Siamo definiti con un termine squallido che sintetizza la funzione assegnataci dalla pubblicità. Siamo “consumatori”. Il nostro compito è consumare, mangiare, masticare, riempire i grandi centri commerciali. A tutte le ore. Anche la domenica.La macchina del consumismo
          I giovani del terzo millennio credono ancora nella famiglia? Sicuramente sì. La cercano, la amano, la considerano un punto di riferimento importante. Ma a volte sono combattuti, delusi, insoddisfatti. Sono schiavi di un consumismo che li spinge ad inseguire l'utopia di una famiglia che non esiste. È la famiglia intrappolata nel piccolo schermo. La mancanza di sobrietà produce un'eterna richiesta di avere cose: “Papà, mi compri quel videogioco?” “Mamma, voglio quel golfino, quei pantaloni, quelle scarpe...”          Non conta più essere. Conta solo avere. Avere cose che possano permetterti di gareggiare con gli altri, di confrontarsi nell'interminabile fiera delle vanità. E se le cose non arrivano, nasce l'insoddisfazione. La famiglia è vista come un luogo di serie B, perché non asseconda la macchina travolgente del consumismo. È un serpente che si morde la coda. La televisione ordina. I figli chiedono, vogliono, pretendono. Alcuni genitori cadono nell'errore di pensare che, per avere dei figli felici, sia necessario dare loro tante cose materiali. Non valori, ma soltanto oggetti, con l'illusione di riempire il vuoto lasciato dalla mancanza d'affetto.              Questa assenza di sobrietà non può che produrre frutti disastrosi. Se ti guardi intorno, ci sarà sempre qualcuno che ha qualcosa in più di te. E se non ti accontenti di ciò che hai, sarai condannato a vagare in uno stato di perenne insoddisfazione. I cattivi modelli
          La vera famiglia, in grado di offrire un futuro ai giovani, dovrebbe essere ben altra cosa: un luogo di dialogo, di comunicazione, di comprensione, di crescita. Non un albergo, una trattoria in cui poche persone consumano piatti scongelati, di fronte ad una televisione sempre accesa.  
          È evidente che ci troviamo in un momento di grande crisi della famiglia. Ma di chi è la colpa? Alla base di certe derive ci sono, a volte, i cattivi modelli offerti dagli stessi genitori, che hanno rinunciato a proporre ai giovani una sana cultura del limite. Alcuni di loro sono cresciuti negli anni sessanta e settanta. Hanno assorbito quel clima culturale relativista e materialista che ha danneggiato, a poco a poco, l'intera società.          Pensiamo alla moda dei “figli dei fiori” e a quei concerti in cui si parlava di pace, amore e musica. La pace non era altro che l’anestesia dei cervelli, annebbiati dalla droga. L’amore si riduceva ad una semplice forma di ginnastica, in cui gli esseri umani diventavano oggetti da usare e gettare poi nel secchio della spazzatura.          Questo è il terreno relativista in cui si sono formati alcuni genitori di oggi. Molti ragazzi del terzo millennio hanno famiglie in cui trionfano il qualunquismo del “Che male c’è?” e il buonismo che giustifica tutto. Che male c’è a dire una parolaccia, ogni tanto? Che male c'è a fumare lo spinello? Che male c'è a consumare lo squallido rito della “prova” della convivenza, prima di sposarsi?          In fondo, sono gli stessi genitori che hanno fatto queste cose prima dei figli. Sono quelli che hanno pensato di cambiare il mondo uccidendo ogni regola e tradizione, chiusi nel pregiudizio di voler distruggere ciecamente ogni valore del passato. Pensiamo davvero che la “prova” della convivenza possa assicurare un matrimonio migliore? Pensiamo davvero che le parolacce siano utili per esprimere meglio il proprio pensiero? E la droga? Aiuta davvero ad allargare gli orizzonti della conoscenza, come si diceva negli anni sessanta?L'impegno di tutti
          Uno degli obiettivi del materialismo imperante di oggi è proprio quello di volersi liberare della tradizione, per lasciare spazio al delirio della superficialità e del non-pensiero. Questo è esattamente ciò che è accaduto nei meccanismi progressivi di distruzione della famiglia.            Se gli stessi genitori non hanno valori, come possono pensare di essere un buon esempio? Se non insegnano la cultura del limite, non potranno che produrre sentimenti di cupa depressione. I giovani potranno credere ancora nella famiglia? Sì, ma solo se la famiglia riuscirà ad uscire fuori dallo schermo consumista della televisione. Per raggiungere questo obiettivo bisognerebbe cominciare a maturare un atteggiamento più critico nei confronti dei messaggi che giungono dai mezzi di comunicazione.          Una vita felice è possibile, anche senza quella merendina o quel modello di telefono cellulare, senza le vacanze esotiche o l'automobile rombante. Una famiglia felice sarà possibile se si recupererà il valore delle cose semplici. Sarà possibile se un papà avrà ancora voglia di giocare con il proprio bambino, invece d'abbandonarlo davanti al computer. Sarà possibile se una mamma darà un buon esempio, insegnando la sobrietà nel vestire e nel vivere. Sarà possibile con l'impegno di tutti noi.
Carlo Climati
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