In questo mese speciale tutta la Chiesa si ferma nel porto sicuro della riflessione per sensibilizzarci al tema della missione! Oggi riflettiamo sul tema della fiducia.
Matteo 8,5-13
Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! [...] E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?
Quando mi assalgono i malvagi
per divorarmi la carne,
sono essi, avversari e nemici,
a inciampare e cadere.
Se contro di me si accampa un esercito,
il mio cuore non teme;
se contro di me si scatena una guerra,
anche allora ho fiducia.
Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
Sono certo di contemplare
la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
(dal Salmo 27)
Mi chiamo Chiara sono cresciuta in una famiglia cristiana che sin da bambina mi ha insegnato ad avvicinarmi alla fede.
Quando avevo 5 anni mia madre cominciò a frequentare una comunità del Rinnovamento dello Spirito e così anche io e mia sorella cominciammo questo percorso di fede che ci ha accompagnato nella crescita e mi ha insegnato a pregare e a rivolgermi in maniera semplice a Gesù come ad un amico a cui raccontare le mie difficoltà e i miei dubbi, ma soprattutto mi ha insegnato a condividere la fede con i fratelli che camminavano con me.
All’età di 18 anni in un pellegrinaggio incontrai Enrico e pochi mesi dopo ci fidanzammo.
Nel fidanzamento durato quasi 6 anni, il Signore ha messo a dura prova la mia fede e i valori in cui dicevo di credere.
Dopo 4 anni il nostro fidanzamento ha cominciato a barcollare fino a che non ci siamo lasciati.
In quei momenti di sofferenza e di ribellione verso il Signore, perché ritenevo non ascoltasse le mie preghiere partecipai ad un Corso Vocazionale ad Assisi e li ritrovai la forza di credere in Lui, provai di nuovo a frequentare Enrico e cominciammo a farci seguire da un Padre Spirituale, ma il fidanzamento non ha funzionato fin tanto che non ho capito che il Signore non mi stava togliendo niente ma mi stava donando tutto e che solo Lui sapeva con chi io dovevo condividere la mia vita e che forse io ancora non ci avevo capito niente!
Finalmente libera dalle aspettative che mi ero creata ho potuto vedere con occhi nuovi quello che Dio voleva per me.
Poco dopo contro ogni nostra aspettativa superate le nostre paure abbiamo deciso di sposarci.
Nel matrimonio il Signore ha voluto donarci dei figli speciali: Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni ma ci ha chiesto di accompagnarli soltanto fino alla nascita ci ha permesso di abbracciarli, battezzarli e consegnarli nelle mani del Padre in una serenità e una gioia sconvolgente.
Ora ci ha affidato questo terzo figlio, Francesco che sta bene e nascerà tra poco, ma ci ha chiesto anche di continuare a fidarci di Lui nonostante un tumore che ho scoperto poche settimane fa e che cerca di metterci paura del futuro, ma noi continuiamo a credere che Dio farà anche questa volta cose grandi.
Chiara Corbella nasce a Roma il 9 gennaio 1984. Cresce sviluppando un rapporto di amicizia profonda col Signore Gesù, insieme alla sorella Elisa. Il 2 agosto 2002, di passaggio per Medjugorje, conosce Enrico Petrillo, ventitreenne, fisioterapista: sente subito che è l’uomo che Dio ha scelto per lei. Prima del matrimonio, celebrato il 21 settembre 2008, passano sei anni di rotture e riavvicinamenti. Chiara ed Enrico hanno tre bambini: Maria Grazia Letizia, che nasce priva della scatola cranica, Davide Giovanni, vissuto come la sorella per pochi minuti a causa di una malformazione agli arti inferiori, e Francesco. Proprio a una settimana dalla scoperta della terza gravidanza, Chiara sente una lesione sulla lingua: è l’indizio di un carcinoma. Sceglie quindi di rimandare tutte le cure che potrebbero nuocere al bambino, puntando a farlo nascere in maniera naturale. Solo dopo la nascita di Francesco riprende le terapie. Muore nella casa di campagna dei suoi genitori, a Pian della Carlotta (tra Cerveteri e Manziana), il 13 giugno 2012, a ventotto anni.
Il processo diocesano della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per l’accertamento dell’eroicità delle virtù, si è aperto a Roma il 21 settembre 2018.
In alcune parti del mondo, segnate da lunghi periodi di siccità e carestie, la gente arriva ad uccidersi per una tanica d’acqua potabile o per aver accesso a un ruscello. Fratello contro fratello: è la guerra della fame e della sete che spesso si combatte a mani nude. Succede anche in Etiopia, nella regione di Gambella, una delle più remote e povere del Paese africano, dove dal 2008 vive e opera il missionario salesiano, don Filippo Perin, parroco di Lare.
Gambella riunisce molte etnie differenti e da circa dieci anni ospita anche numerosi rifugiati sud sudanesi in 8 campi profughi. «Solo il 14 per cento della popolazione ha accesso all’acqua potabile — ci racconta don Filippo — perciò non è raro che per il suo utilizzo scoppino sanguinosi scontri tra i villaggi.
Ecco perché una delle prime cose che abbiamo sentito l’urgenza di fare è stata quella di raccogliere fondi per scavare dei pozzi. I costi però sono elevati. Solo per portare la macchina escavatrice in questa zona impervia e isolata occorrono tremila euro e anche il costo per il lavoro di scavo è oneroso, ma salva le vite delle persone».
Don Filippo racconta...
«Quando sono stato ordinato sacerdote ho sentito subito la spinta a voler partire in missione. Sentivo che il mio posto era lì, dove lasciavo il cuore e il pensiero, così dopo un periodo di trattativa con i miei superiori, ho ricevuto il permesso di partire alla volta dell’Africa. L’Africa a prima vista era esattamente come me l’ero sempre immaginata. Le foreste, la savana, gli animali bellissimi, il leone, le gazzelle, le giraffe, i coccodrilli e questi villaggi di capanne, con le strade polverose, il caldo torrido, asfissiante e i sorrisi dei bambini che non hanno nulla ma si emozionano per tutto, mi sembrava un sogno... Poi vivendo qui ho toccato con mano anche la sofferenza, i risvolti critici di questa terra bellissima.
Pensate che qui l’aspettativa di vita è sotto la soglia dei 50 anni. Manca il cibo, le persone fanno un solo pasto al giorno, non esistono gli ospedali e gli ambulatori locali distribuiscono soltanto due medicinali: il paracetamolo e l’amoxicillina, un antibiotico ad ampio spettro per vari tipi di infezioni, nient’altro. Giovani e bambini si ammalano e muoiono per malattie che in altre parti del mondo sono curabili.
Non ci sono scuole, l’istruzione non è nemmeno una priorità per i governi, perciò spesso è affidata alla Chiesa o a ong che assolvono a questo importante compito, come possono. I bimbi non hanno libri o quaderni su cui scrivere ma tanta voglia di imparare. Per non parlare della situazione climatica: da dicembre a giugno le temperature sono oltre i 40-45 gradi e non ci sono piogge quindi anche l’agricoltura ne risente tantissimo».
Il villaggio che esplode in festa.
In 16 anni, don Filippo ha aperto parrocchie nuove, ormai Gambella è una diocesi, ci spiega, e soprattutto è riuscito a raccogliere soldi per scavare 30 pozzi.
Quando esce la prima acqua tutto il villaggio esplode in una festa. Arrivano le donne a riempire le taniche, c’è chi beve, chi fa la doccia, chi si mette a giocare con l’acqua come un pazzo, chi danza di gioia e intona canti di ringraziamento, stanno tutti intorno al pozzo per ore e capiscono il grande dono che hanno ricevuto!».
Evangelizzare con opere concrete
La principale fonte di sostentamento nel villaggio di Lare, come anche in altre zone dell’Etiopia, è l’agricoltura, per lo più si coltiva granoturco e dalle pannocchie si ricava la farina per fare la polenta che è l’alimento principale; altra attività economica è l’allevamento del bestiame, soprattutto mucche e pecore, per il latte e la carne, ma senza acqua è difficile tenere in vita gli allevamenti; infine ci sono piccole attività commerciali con manufatti locali e abiti cuciti dalle donne del posto ma di certo non garantiscono una grande fonte di guadagno.
Inoltre si capisce perché in questo contesto di povertà estrema l’educazione non sia incentivata: i giovani spesso aiutano le famiglie nella coltivazione, devono lavorare per vivere e non possono permettersi di studiare. «In questa terra — prosegue don Filippo — sentiamo costantemente il richiamo del Papa alla cura della Casa comune e dei suoi abitanti. Come salesiani la nostra missione non può e non deve essere solo quella di portare le persone in chiesa. Certo evangelizzare è fondamentale, spezzare il Pane insieme a tutto il villaggio, ma qui si evangelizza con le opere e Gesù ci dice di dare da bere agli assetati e da mangiare agli affamati. La gente prima di fare catechismo mi chiede di aprire un pozzo, perché l’acqua aumenta la prospettiva di vita. Per questo facciamo di tutto, anche con il progetto dei pozzi, per garantire un minimo di benessere.
Sopravvivere! È questa la parola chiave a Lare e in tutta l’Etiopia, non possiamo voltare la faccia dall’altra parte e scadere nell’indifferenza!
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