Che si tratti di una vacanza al mare, di un weekend in montagna, di un campo estivo con gli amici, di un'esperienza all'estero o, magari, di un ben più movimentato interrail, ciò che spinge gli adolescenti a partire è, certo, il desiderio di evasione, la voglia di lanciarsi alla scoperta del mondo esterno lontano dall'ala protettiva della famiglia, l'ansia di sfuggire dal controllo...
del 26 luglio 2011
 
Sì, viaggiare!
          Tempo di vacanze; per molti, tempo di viaggi. Giunta l’estate, tanti ragazzi e ragazze si apprestano ad affrontare, magari per la prima volta, l’esperienza esaltante e, in qualche caso, avventurosa del viaggio. Per tanti di loro è la prima esperienza lontani da casa, con tutte le ansie e le preoccupazioni che una simile novità genera inevitabilmente nei loro genitori; per altri si tratta di un’abitudine ormai consolidata, ma che anno dopo anno si colora di nuove sfumature e di inedite aspettative, rinnovando ogni volta l’emozione della partenza, la curiosità della scoperta, il desiderio di lanciarsi all’esplorazione di orizzonti sempre nuovi e diversi.
          Che si tratti di una vacanza al mare, di un weekend in montagna, di un campo estivo con gli amici, di un’esperienza all’estero o, magari, di un ben più movimentato interrail, ciò che spinge gli adolescenti a partire – e ad agognare per tutto l’anno il momento magico della partenza – è, certo, il desiderio di evasione, la voglia di lanciarsi alla scoperta del mondo esterno lontano dall’ala protettiva della famiglia, l’ansia di sfuggire, almeno per qualche giorno o settimana, dal controllo dei genitori o anche, più semplicemente, da una quotidianità asfittica e monotona che spesso i ragazzi percepiscono come troppo stretta e incapace di dar voce ai loro desideri più autentici e profondi.
          Ma non è solo questo. Per gli adolescenti viaggiare non significa solamente fuggire da qualcosa; viaggiare è prima di tutto un cercare qualcosa. L’esperienza del viaggio, in effetti, implica sempre una ricerca: di nuovi spazi (fisici e simbolici) da esplorare, di emozioni inedite da sperimentare, di relazioni da intrecciare, di un diverso e più consapevole significato da dare alla propria esistenza. È come se, attraverso l’esperienza del viaggio, ogni ragazzo desse voce all’insopprimibile desiderio di spaziare, di prendere il largo, di allargare l’orizzonte delle proprie vedute ed il proprio universo di senso. Ma c’è ancora un altro aspetto da considerare: da sempre il viaggio rappresenta per ogni uomo, e per gli adolescenti in particolare, un’occasione per uscire da sé, per confrontarsi con ciò che è “altro” e “oltre” rispetto alla propria interiorità, alla propria cultura, alla realtà in cui si è abituati a vivere. Ciascuno di noi, infatti, ha bisogno di estensione, di prospettive, di orizzonti. E, soprattutto per i più giovani, l’esperienza del viaggio acquista un valore esistenziale e pedagogico irrinunciabile, in quanto offre loro la possibilità di superare i limiti angusti del proprio egocentrismo,facendo spazio alla dimensione dell’alterità.
          Non bisogna, però, dimenticare che «il vero viaggio di scoperta è sempre circolare: la gioia della partenza, la gioia del ritorno». E, dunque, è importante che anche, e forse soprattutto, gli adolescenti, per i quali più forte è il rischio di vivere il viaggio come pura evasione e fuga dalla realtà quotidiana, imparino ad aver sempre chiaro il senso del percorso e a non smarrire la strada (e la gioia) del ritorno, pur nella consapevolezza che mai si torna a casa esattamente uguali a quando si è partiti, bensì con un bagaglio di esperienze, di emozioni e di incontri che inevitabilmente lasciano un segno profondo e incancellabile in chi li ha vissuti. E allora, zaino in spalla e bussola in mano, tutti pronti a partire (e a tornare) alla ricerca di se stessi e alla scoperta di nuovi territori.         
Partire è un po’ come morire
          È terribile ammetterlo, ma è una verità incontrastata. Per molti adulti l’esperienza del viaggio si identifica con l’andare via, mettere una distanza dai luoghi e dai legami della famigliarità, allontanarsi da una quotidianità che appare poco significativa. Va da sé che queste definizioni non riguardano soltanto l’esperienza personale del viaggiare, quanto il dover subire i viaggi dei propri figli, che appaiono ai genitori molto più che un salutare passatempo e non raramente sconfinano in paventate forme di evasione dal controllo familiare e trasgressione delle regole abituali.
          L’estate assume, per questo, tinte diverse e non sempre gradevoli. L’attesa delle vacanze spesso produce l’attesa di un viaggio che possa essere una sorta di premio o di risarcimento di un anno di vicende faticose e poco gratificanti; si fanno progetti e programmi che mescolano festosamente curiosità e voglia di avventura, bisogno di nuove conoscenze e incontri, la necessità di evadere dal già dato e dal già visto. Poi, al momento di realizzare questa vacanza del corpo e della mente, ci si accorge quasi puntualmente che i conti non tornano: le esigenze di ogni membro della famiglia sono sempre differenti dalle altre, non si riesce a stare nei limiti del tempo e dei soldi disponibili, il desiderio di ritrovare se stessi attraverso l’esperienza del viaggio rischia di sconfinare in una problematica uscita dal proprio mondo esteriore e interiore.
          E comunque vada il rapporto fra aspettative e rea-lizzazioni, il viaggiare viene affrontato con percezioni ambigue: quel che si vive è spesso diverso e inferiore a quel che si sperava di raggiungere. La rappresentazione mentale del viaggio, inevitabilmente, va ben al di là di quel che si sperimenta e per questo molti adulti tornano dalle vacanze talvolta più delusi e stressati che prima della partenza e resta in bocca un sentimento amaro di rimpianto e di nostalgia verso un’occasione persa. La verità è che se non si mettono in moto il cuore e la mente, accanto al corpo, non si va mai davvero lontano o comunque si resta in fuga da qualcosa o qualcuno, quando sarebbe giusto invece poter sperimentare nuove forme di prossimità, di accoglienza, di confronto, di contemplazione del mondo.
          Sarebbe bello poter imparare dai giovani, che sono figli della globalizzazione, che il viaggio non è solo un andare ma ancor più un arrivare; che la ricerca di una meta non annulla la possibilità di godere del percorso; che la strada percorsa ha il misterioso potere di trasformare in profondità la persona, consentendo l’accesso ad una rinnovata cosmologia.
          Ma forse anche gli adulti hanno qualcosa da insegnare alle nuove generazioni: ad esempio, la capacità di assaporare tanto la gioia della partenza, quanto quella del ritorno, che è il grande antidoto alla tentazione dello sradicamento giovanile dalla propria realtà quotidiana. Ma ancor più, la consapevolezza che viaggiare non vuol dire soltanto cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi.
 
Marianna Pacucci
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