Figlio di

Non era facile confrontarsi e crescere all'ombra di una personalità significativa. Non è mai facile confrontarsi a fronte di una storia, una tradizione ricca che ti precede. Ma ciò non toglie il fatto che questo sia un dono prima che un problema.

Figlio di

da Quaderni Cannibali

del 02 dicembre 2010

         

          Vorrei subito rassicurare i lettori, di volgarità ne abbiamo a sufficienza, quindi non spaventatevi del titolo.Fatto questo non mi resta che estrarre qualcosa dal baule dei miei ricordi, qualcosa che spero prezioso. Ed è una delle cose che più mi faceva arrabbiare e innervosire nella mia lontana adolescenza: il fatto che la mia persona fosse letta, traguardata direbbe un muratore, alla luce di un altro.

          Detto in altri termini io ero molto spesso non “Loris” quanto “il figlio di Vittorio”. Sentivo, allora, questa espressione un attentato alla mia identità e al mio valore, quasi che “l’essere figlio di…” fosse un diaframma insuperabile espressione della mia personalità.

          Rimane vero che non era semplice confrontarsi con mio padre: a livello professionale era un artigiano eccellente. Nel suo lavoro risolveva problemi non semplici in modo brillante ed esteticamente apprezzabili. A casa non amava parlare di banalità, e quando si entrava (spesso) in discussioni si impegnava appassionatamente e la maggior parte delle volte con buoni argomenti.

          Non era facile confrontarsi e crescere all’ombra di una personalità significativa. Non è mai facile confrontarsi a fronte di una storia, una tradizione ricca che ti precede. Ma ciò non toglie il fatto che questo sia un dono prima che un problema.

          Chi viene al mondo, dalla vita non ha solo il dono di un padre e di una madre, ma anche il regalo di una cultura, di un tesoro di risposte di senso e di significato di fronte all’esistenza e di fronte alle esigenze, anche le più banali, che il quotidiano presenta.

          Non si nasce mai soli, veramente. Basterebbe questo per lodare la bontà di Dio. E non solo: non c’è la necessità ogni volta di ricominciare daccapo.

          Viviamo però tempi difficili da questo punto di vista, sembra che tutto ciò che ci precede ci accompagna e che non abbiamo determinato noi stessi sia qualcosa di sconveniente, qualcosa di cui vergognarsi o al limite qualcosa su cui recriminare.

          L’idea, ma che trova drammatica realizzazione pratica soprattutto in campo educativo, è che uno “deve farsi da solo”, ha il “diritto” di farlo, agli educatori in genere non spetta altro compito di “tirar fuori” dal figlio o dal ragazzo “quello che ha dentro”, come se noi possedessimo, di nostro, una ricchezza inestimabile. Dimenticando poi che, purtroppo, c’è anche la drammatica possibilità che da noi stessi riusciamo a tirare fuori la cattiveria.

          Ed è un peccato ragionare in questo modo, perché la tradizione, l’eredità hanno anche valore di limite, di confine da poter oltrepassare. Chi ti precede nella vita ti offre la sua di ricchezza, ma te la consegna con la consapevolezza che dovrà essere messa alla prove e superata, nel senso di arricchita. E questo è compito che spetta ad ognuno. Credo che qualunque padre, degno di tale nome, desidera appassionatamente essere “superato” dal proprio figlio. Abbandonando la vita sa che questa è in buone mani, quelle del proprio figlio che ha contribuito a crescere ed educare.

          È solo dentro alla risignificazione del genere che può svilupparsi quella dimensione fondamentale per le relazioni che ha un nome ben preciso: riconoscenza. Da una parte, deposta la devastante presunzione adolescenziale e istruiti dalle vicende della vita, si può realmente gustare quanto bello e prezioso sia stato il dono di chi ti ha preceduto e ti ha consegnato quanto di buono aveva scoperto per il proprio cuore.

          Dall’altra, nel lento declinare della vita, si scopre che aver faticato e combattuto tanto non è stato inutile, che l’affetto e l’amore sparso in ogni gesto educativo, dal più ordinario a più impegnativo, ha prodotto frutto in maniera anche sorprendente, cioè inaspettata, al di là di ogni aspettativa.

          Concludo dicendo che oggi sono orgogliosamente riconoscente di essere “il figlio di Vittorio”, nonostante il buon Vittorio abbia fatto “one step beyond” (come cantavano i Madness), ma lo sono anche di più perché questa esperienza mi fa assaporare il gusto di dire che, oltre di Vittorio, sono anche “figlio di Dio”.

don Loris Benvenuti

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