La piana sotto la città di Assisi, non solcata di strade e ricca di campi coltivati com'è ora, ma ancora selvosa e paludosa. Là c'è la piccola chiesa che Francesco predilige e lì ama dimorare, un certo giorno dei primi anni del Duecento, insieme con uno dei compagni più cari, Masseo da Marignano.
del 02 marzo 2009
La piana sotto la città di Assisi, non solcata di strade e ricca di campi coltivati com’è ora, ma ancora selvosa e paludosa. Là c’è la piccola chiesa che Francesco predilige e lì ama dimorare, un certo giorno dei primi anni del Duecento, insieme con uno dei compagni più cari, Masseo da Marignano.
Torna dal bosco dov’era solito pregare, Francesco. E Masseo gli si fa incontro e gli chiede, risentito, quasi aggressivo: «Perché a te? Perché a te? Perché a te?». Perché tutto il mondo ti viene dietro, perché tutti vogliono vederti e udirti? Non sei bello, non sei colto, non sei nobile: e allora?
L’episodio è narrato in una fonte bella e commovente, ma insidiosa e inaffidabile, i Fioretti. Se è davvero accaduto, va situato al più presto attorno alla metà del secondo decennio del secolo, quando ormai la fraternitas raccolta attorno al Povero d’Assisi stava cominciando ad avere un sempre crescente, torrentizio successo. Sorvoliamo sulla risposta che, secondo i Fioretti, Francesco fornisce a Masseo. Non è la risposta di quegli, ma proprio la domanda di questi, che ci risuona ancora dentro e che resta enigmatica: ancora, e nonostante tutto, senza una risposta davvero soddisfacente.
Permane un mistero la fortuna dinanzi alla storia, alla Chiesa, al mondo, di questo piccolo uomo sgraziato che pure doveva possedere un fascino trascinante. Conquistò il suo tempo.
Continua ad attrarre oggi: ad essere oggetto dell’omaggio di romanzieri, di registi, di soggettisti di fiction, di uomini politici. Al di là dell’interesse degli studiosi abbiamo conosciuto nei suoi confronti, nell’ultimo secolo, un Francesco cattolico, uno protestante, uno socialista, uno anarchico, uno fascista, uno animalista, uno ecologista, uno new-ager. Non piacere a nessuno, è una bella sfortuna: piacere a tutti, è forse ancora peggio. Lo scotto da pagare, in tal caso, è il continuo rischio d’incomprensione, di distorsione, di tradimento. Com’è mai possibile che Francesco abbia riempito della sua fama e del suo esempio il secolo nel quale visse, e anche quelli che vennero dopo, dal momento che nulla sembra più lontano dal suo messaggio dello sviluppo della Modernità? La «proposta cristiana» di Francesco è quella di seguire il Cristo povero e nudo, il Cristo bambino affamato e infreddolito e il Cristo piagato e inchiodato alla croce: e per questo egli rinunzia a qualunque tipo di potenza e di ricchezza. Anche alla scienza e alla cultura, che sono forme di potenza e di ricchezza. Francesco non voleva sentir parlare di chiese edificate per lui e per i suoi, dormiva sulla nuda terra o in poverissime dimore, pretendeva che i suoi frati non possedessero nulla, neppure un salterio per cantare i salmi. Eppure, la Chiesa e la cristianità che gli prestarono omaggio e che sostennero convinti la sua fraternitas trasformata (lo avesse voluto o no...) in Ordine, assisterono all’inarrestabile successo dei suoi figli che risiedevano in splendide basiliche e in ricchi conventi, che divennero maestri venerati nelle università di Parigi, di Bologna, di Oxford, che rivestirono il ruolo di consiglieri dei re e accettarono cattedre vescovili e porpore cardinalizie.
Furono, perfino, ancora proprio dei francescani che, nel XV secolo, trovarono il modo di render teologicamente lecito quel profitto bancario che fino ad allora era stato proibito dalla Chiesa. Il messaggio di Francesco, ostile a potenza, ricchezza e sapienza, era profondamente e irrimediabilmente antimoderno; eppure, senza il francescanesimo non sarebbe forse mai nata la
Modernità. Di questo segno di contraddizione, di questo miracolo, ci apprestiamo a celebrare proprio in questi mesi l’ottavo centenario. Sarebbe stato nel 1209 (qualche storico indica anche una data precisa, il 16 aprile, mentre altri si spingono fino al 1210) che la fraternitas guidata da Francesco e composta da pochi seguaci avrebbe ricevuto da papa Innocenzo III una prima autorizzazione orale a seguire una primitiva forma vitae, non ancora una regola: una semplice scarna raccolta di passi evangelici. Era la novità. Niente più esegesi: non, almeno, per quei quattro poverelli. Solo la pura e dura sequela Christi, alla lettera, come la presenta il Vangelo. Francesco non era né un eretico, né un riformatore, né un rivoluzionario. Non pretendeva per nulla – e non lo pretese mai – che tutta la cristianità si conformasse a quel rigoroso modulo; era lontanissimo dal pretendere che quella fosse l’unica maniera di essere perfettamente cristiani. Quella era la sua via, quella che il Signore aveva indicato a lui e ai suoi. Ma la visita del Povero e dei suoi « frati » a papa Innocenzo aveva avuto una lunga preparazione.
I primi eventi, noti, della sua conversione vanno situati grosso modo tra 1205 e 1207: il ritorno dalla guerra contro Perugia e dalla prigionia, la malattia, il colloquio con il crocifisso di San Damiano, lo scontro con il padre, infine la vita di penitenza, vita comune con i lebbrosi e di mendicità nei dintorni di quella stessa città che pochi mesi prima lo aveva visto trionfare in splendide vesti e in ricchi conviti, rex iuvenum e aspirante cavaliere convinto d’esser destinato a divenire un gran principe. Ma il giorno fondamentale e decisivo della sua conversione si situa esattamente ottocento anni fa. Secondo la Vita prima di Tommaso da Celano, nell’autunno del 1208, nella festa di san Luca (il 12 ottobre) o nell’inverno del 1209, nella festa di san Mattia (il 24 febbraio). Nella chiesetta del fondovalle dedicata alla Vergine, la sua diletta Porziuncola, Francesco ascolta la messa.
E ode leggere il Vangelo di Matteo 10, 7-10 ( che ha riscontri anche in Marco 6, 8-9, e in Luca 9, 1-6), il passo celebre della «missione apostolica», liturgicamente previsto appunto in entrambi questi giorni: «Andate e predicate dicendo che il regno dei cieli è vicino... Ciò che avete ricevuto gratuitamente, date gratuitamente. Non portate né oro, né denaro nelle cinture, né bisacce per il cammino, né due tuniche, né calzari, né bastone... Entrando in una casa, salutatela dicendo: Pace a questa casa». Questa è la vita di Francesco, questa la sua vocazione. Il passo evangelico mostra letteralmente quel ch’egli sarebbe stato da allora a quel tramonto del 3 ottobre 1226, quando le allodole – che usano cantare solo al sorgere del sole – salutarono il suo transito al cielo. Questo è
Francesco, alter Christus: e non nascerà mai nessuno che gli stia al pari. Si potranno mai contare coloro che continuano a dirsi cristiani, nonostante tutto, solo nel suo nome? Quelli che tali non sarebbero mai se egli non fosse vissuto?
 
Franco Cardini
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